Chirurgia. Come cambiare il percorso formativo
di Stefano Rausei
28 MAR -
Gentile Direttore,
nei giorni scorsi ho avuto l’onore di moderare il dibattito sulla formazione dei giovani chirurghi italiani nell’ambito del 30° Congresso Nazionale della Società Polispecialistica Italiana che li rappresenta (Genova, 21-22 marzo). Benché il problema “education” in Chirurgia fosse noto da tempo e da tempo la Società ne denunciasse la portata, mai come oggi è risultato di così stretta attualità, occupando spesso le pagine di quotidiani e richiamando (finalmente!) l’attenzione delle istituzioni.
A rendere così interessante la formazione del giovane chirurgo italiano è stata l’improvvisa presa di coscienza che di chirurghi l’Italia ne avrà sempre meno. Tante e note le cause, ma tra queste la tortuosità e l’inefficienza del percorso formativo di certo rivestono un ruolo rilevante, invitando tanti giovani a desistere nella scelta della chirurgia o, quantomeno, a desistere nella scelta della chirurgia italiana. Ora questo tardivo risveglio fa muovere obbligatoriamente provvedimenti urgenti, che fronteggino l’impellente carenza di personale in sala operatoria.
La recente Legge di Bilancio ha aperto le porte dei concorsi di ruolo anche agli specializzandi iscritti all’ultimo anno e proprio l’urgenza della situazione ha tradotto già nella pratica questa possibilità. Ebbene, da questo passaggio di sicuro non otterremo chirurghi già in grado di poter condurre in autonomia e sicurezza una seduta di sala operatoria, ma esclusivamente personale calcolato per la copertura dei turni di guardia chirurgica, ambulatorio e, ancor peggio, di pronto soccorso. Peraltro, questo comporta che il reale completamento del percorso formativo ora diventi appannaggio di questi giovani “strutturati” piuttosto che (ancora una volta) degli specializzandi, sia in forza dei policlinici universitari che nelle strutture ospedaliere su cui le università si appoggiano.
Nelle more che gli organi deputati trovino una soluzione all’imbuto numerico dei contratti di formazione a disposizione dei neolaureati (e questo vale ormai per molte delle discipline mediche), di certo quindi merita attenzione la necessità di implementazione della formazione delle nuove leve.
Le recenti polemiche, figlie di “scomode” indagini giornalistiche, sulla qualità delle scuole italiane di specializzazione medica hanno posto ancora più in evidenza l’argomento. Innanzitutto con personale rammarico non posso che confermare come ad oggi, in medicina, il concetto rinascimentale di “Scuola”, alla luce delle conclamate problematiche formative, sia stato profondamente messo in crisi dalla più precoce aspirazione ad un contratto remunerativo da parte dei nuovi laureati e dalla facilità con il quale essi possano acquisirlo.
Attualmente un giovane laureando italiano non è stimolato a creare alcun “vincolo formativo” con la propria Università: infatti, il concorso nazionale per l’accesso alle scuole di specializzazione non tiene conto del curriculum dello studente in termini di “internati” né di argomento di tesi finale, ma considera esclusivamente i dati numerici dei voti di esame e di laurea. In più, l’imbuto di cui sopra fa sì che chi aspira, per esempio, a fare il Dermatologo nella propria sede universitaria magari si ritrova a frequentare Chirurgia Generale da tutt’altra parte: il risultato è che, da un lato, avremo un Chirurgo Generale scontento (quand’anche riuscisse a trovare stimoli per completarne la specializzazione!) e dall’altro, come si anticipava, durante il corso di laurea ciascun iscritto non troverà più proficuo investire già con determinazione su uno specifico percorso specialistico. Di qui, si evince bene come la figura del Mentore che “cresce” generazioni di chirurghi oggi sia del tutto eccezionale, in quanto anacronistica.
Emerge quindi la stringente necessità che lo Stato si faccia responsabile dell’inviduazione di singoli chirurghi (nuovi Mentori) in grado di esercitare ed insegnare chirurgia, dislocati su tutto il territorio nazionale, nel contesto di strutture pubbliche quanto private e specialisti (ed ultraspecialisti) per le diverse branche chirurgiche. E di questo “accreditamento” - si ribadisce, non di struttura, ma di “persona fisica” - dovrà farsi promotrice l’Università a braccetto con le diverse Società Scientifiche. Il percorso formativo del nuovo specializzando in Chirurgia dovrà contemplare una sua efficace rotazione tra i diversi docenti con gli opportuni riscontri relativi alla sua reale “education” .
Se, da una parte, questa rivoluzione potrebbe mettersi in scia agli sforzi già in atto dell’Agenzia Nazionale per i servizi sanitari Regionali (Agenas) mirati all’individuazione di centri accreditati per specifici ambiti chirurgici, dall’altra, di certo potrebbe entrare in conflitto con le dinamiche universitarie delle diverse Scuole di Specializzazione italiane, che, ad oggi nella maggior parte dei casi, “scuole” non sono.
Stefano Rausei, MD, PhD
Specialista in Chirurgia Generale,
Dottorato in Oncologia Epato-Biliare.
Dipartimento di Chirurgia,
ASST Valle Olona – Varese
28 marzo 2019
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