Piano liste d’attesa. Qualsiasi intervento è inutile se c’è carenza di medici e personale
di Giulio De Michelis (Asl Roma 1)
06 MAR -
Gentile Direttore,
l’attesa per le prestazioni specialistiche ambulatoriali costituisce un ciclo complesso su cui è necessario intervenire su tutti gli elementi che lo compongono in maniera coordinata e sequenziale. Partiamo, innanzitutto, dall’uso, spesso intercambiabile, che si fa dei termini “liste di attesa” e “tempi di attesa” che, pur essendo l’uno un proxy dell’altro, andrebbero, soprattutto per fini pratici, ben distinti tra loro e ai quali dovrebbero, poi, essere aggiunti altri due elementi: “la coda” e “il tempo massimo accettabile”.
Nell’ insieme, essi costituiscono il cosiddetto “ciclo dell’attesa”, rappresentando:
a. la coda, le persone che attendono di essere servite, e che si crea quando un servizio non viene effettuato just in time;
b. la lista, il modo con cui la coda viene disciplinata (termine ripreso dalla teoria delle code);
c. il tempo di attesa, il risultato del modo in cui vengono servite le persone in lista;
d. il tempo di attesa massimo accettabile, il tempo che può aspettare un paziente senza che ci sia un pregiudizio per la sua diagnosi o il suo trattamento.
Trattandosi di un ciclo complesso, esso va approcciato secondo la “logica sistemica degli interventi” con azioni sequenziali, e coordinate tra loro, su tutti gli elementi, nessuno escluso, altrimenti si rischia di avere risultati completamente diversi da quelli sperati (si veda il c.d. effetto tunnel, Yourstone S, Smith H., 2002).
Quali le azioni possibili?
- Sulla coda, l’azione migliore, è l’applicazione nella pratica clinica, di “Linee guida sull’appropriatezza prescrittiva”, con le quali si stabilisce chi, appropriatamente, può richiedere quella prestazione e, dunque, mettersi in coda. Si tratta di un intervento di lunga durata, dai risultati non sempre certi, e che arrivano a distanza di molto tempo;
- Sulla lista, cioè quando ormai, appropriatamente o inappropriatamente gli utenti sono in coda, il metodo migliore è quello di stabilire criteri espliciti, con cui stabilire chi trattare per primo;
- Sul tempo di attesa, il riferimento è alle risorse disponibili (attrezzature e personale) e al modo in cui sono organizzate, per trattare i pazienti che sono in lista;
- Sul tempo di attesa massimo accettabile, infine, è l’applicazione di criteri basati sulla gravità clinica, come ad esempio i R.A.O., Raggruppamenti di Attesa Omogenei - metodo originale, tutto italiano (G.Mariotti 1999, 2005) – a giocare il ruolo più importante.
Alcune di queste azioni, riprese nel nuovo Piano nazionale, sono già, da molto tempo, una realtà in numerose aziende sanitarie, locali e ospedaliere, delle nostre Regioni.
Del resto, il principio del tempo massimo accettabile, declinato come “garanzia dei tempi di attesa”, era cosa già prevista nei Piani precedenti 2006-2008 e 2010-2012, così come, è consolidato l’utilizzo dei RAO, oggi presentati nella versione rivista dell’Agenas (allegato C),
Lo stesso vale, poi, per altri obblighi richiamati nel Piano - la trasparenza, il divieto di blocco della agende ect: punti che comunque è bene che vengano ripetuti e posti all’attenzione.
Il punto, però, è che qualsiasi intervento/azione che si metta in campo - dall’uso delle linee guida, all’utilizzo dei RAO, dall’ implementazione dei CUP, a nuove soluzioni organizzative, o ad una maggiore trasparenza - a nulla serve se le “unità serventi” (utilizzo ancora un termine legato alla teoria delle code), ossia i medici e il personale che con esso collabora, sono insufficienti: la prestazione non sarà mai just in time, né tantomeno la coda, le liste e i tempi si ridurranno.
Ora, In questo momento preciso, ciò che sembra mancare di più, per agire su tutti gli elementi del ciclo dell’attesa, sembra essere proprio la mancanza di risorse (umane soprattutto).
E questa mancanza, condiziona anche l’impossibilità di dare vita ad altre iniziative previste nel Piano - come l’utilizzazione piena delle attrezzature o l’apertura degli ambulatori di sera (che comunque hanno un effetto del tutto secondario) – così come quella di sperimentare soluzioni diverse quali l’open access, (fai oggi quello che devi fare oggi), che costituisce una nuova mentalità di approccio alla problematica di cui parliamo (vedi l’esperienza di Pisa, C.Tomassini, 2019).
Perciò, è sulle risorse che, oggi, bisogna porre l’enfasi maggiore, lasciando in seconda battuta altre questioni, come quella sulla libera professione o sullo sviluppo dei CUP, sui cui vorrei fare queste ultime riflessioni:
CUP - Appartengo ad una Regione che possiede il più grande, e credo antico, sistema regionale di prenotazione (RECUP Lazio), di cui ho partecipato, nella primissima fase, alla sua ideazione.
Ma ho alcune perplessità, sull’enfasi e le aspettative riversate su tale sistema.
I CUP sono dei “canali di distribuzione dell’offerta, e come tali distribuiscono ciò che viene loro richiesto di consegnare: se questo è inappropriato, essi distribuiscono inappropriatezza, e lo fanno tanto più bene quanto più sono efficienti e moderni.
Con questo, non voglio affatto sminuire la funzione di utility che essi hanno per i cittadini, ma solo sottolineare che gli interventi sul booking dovrebbero essere gli ultimi a cui mettere mano, e a cui riservare risorse, se non dopo che a monte sia stato sistemato l’intero ciclo dell’attesa.
Libera professione - Non trovo giustificazioni logiche, per capire quale sia il rapporto tra libera professione e liste di attesa, ove si consideri oltretutto, il basso rapporto tra volumi dell’ALPI e quelli svolti in “regime istituzionale”
Se l’organizzazione dell’assistenza specialistica ambulatoriale non riesce a dare, dopo che è stata messa in atto ogni azione possibile, un prodotto yust in time, la libera professione fornisce oggettivamente (al di là di ogni considerazioni etica, morale, ect, ect, ect.) un aiuto ad “accorciare” i tempi di attesa, nel senso, evidente, che toglie pazienti dalla coda, e successivamente dalla lista.
L’unica giustificazione che si può dare, a favore dei sostenitori della sospensione della libera professione, in presenza di tempi di attesa che superino quelli dovuti, è che i medici volutamente - e a questo punto con metodi illegittimi, se non illegali – allunghino artificiosamente i tempi, in modo da costringere i pazienti a ricorrere all’intramoenia (giustificazione punitiva).
Ma questa sono situazioni che andrebbero denunciate, caso per caso, colpendo il singolo e non il sistema.
Dott. Giulio De Michelis
dirigente medico e Responsabile Unico Aziendale per le liste di attesa (RUA), ASL Roma 1
06 marzo 2019
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