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Se medici e infermieri si formassero “insieme”

di Ivan Favarin

02 MAR - Gentile Direttore,
vorrei portare all’attenzione dei lettori una prassi formativa che ha dato spesso buoni frutti: i cosiddetti “shadowing programs” interprofessonali. Lo shadowing implica seguire come un’ombra il proprio mentore in sessioni brevi ma che possano far toccare con mano ciò che si fa in un determinato ambito. È un momento formativo intenso, di osservazione e presa di coscienza della pratica sul campo di un professionista.
 
Le sessioni si svolgono in una giornata, breve lasso che però dà l’idea dell’impegno profuso da una determinata professione. Scopo dello shadowing interprofessionale è quello di conoscere osservando, al di là di stereotipi, le peculiarità dell’operato quotidiano.

I fruitori dello shadowing possono essere professionisti oppure studenti. Un articolo della University of Michigan Medical School testimonia l’esperienza positiva di affiancare studenti di medicina agli infermieri. In questa sessione di tirocinio osservazionale, i futuri medici hanno affiancato gli infermieri per capire e imparare un po’ della loro prassi quotidiana. Confrontando il pre e post-shadowing, si è notato un miglioramento dell’atteggiamento  degli studenti di medicina nei confronti degli infermieri, una maggiore comprensione della professione infermieristica a beneficio del lavoro in team. Quelli che fino a ieri erano visti come “sottoposti” ora sono validi “compagni d’armi” nel comune sforzo di fornire un servizio sanitario. 

Altri articoli
hanno sottolineato altri aspetti, quali il guadagno in termini di rispetto reciproco, il superamento di stereotipi e la maturazione di una visione diversa dell’altro professionista. Si sottolinea che medici e infermieri (“pilastri della sanità”) beneficiano sempre della conoscenza interprofessionale, a patto di abbattere i muri edificati per ruolo, tradizione, prestigio sociale, etc.

Un bagno di umiltà che si rivela utile anche per figure amministrative in sanità, con sorprendenti “scoperte”. L’esperienza sul campo può far apprezzare pregi e carenze di risorse, sistemi di valutazione, politiche di reclutamento, regolamentazione e retribuzione. Molti intellettuali e politici prestati alla sanità beneficerebbero certamente di un periodo “all’ombra” di veri professionisti sul campo, in reparto, sala operatoria o pronto soccorso. 

E in Italia? Magari a livello informale lo si fa, ma manca una programmazione. C’è però un’esperienza tutta Italiana, che va oltre lo schema classico mentore-professionista che affianca uno studente o un altro professionista. Anni fa l’Università del Piemonte Orientale introdusse la Peer Education. Partendo da precedenti esperienze delle università di Bologna e di Perugia, presso gli ospedali di Vercelli e Novara si attuò un programma di educazione fra pari detto “Famulus Nursing”.
 
Per 2 settimane studenti del 2’-3’ anno di Medicina si affiancavano a studenti del 3’ anno di Infermieristica che insegnavano loro tecniche di autoprotezione e rilevamento dei parametri vitali, esecuzione corretta di un ECG, somministrazione farmacologica per vie parenterali e di prelievo venoso, detergere e medicare ferite, inserire e rimuovere un sondino nasogastrico e un catetere vescicale. Studenti infermieri che fanno da tutor agli studenti di medicina, affinché apprendano “a lavorare insieme in équipe, metodo certamente più curativo che lavorare da soli su binari paralleli che non si incontrano”. 
 
Al di là della competenza tecnica, siffatto “shadowing” diventa occasione per osservare come valutare e prendersi cura del paziente; organizzare l’assistenza; rapportarsi con le esigenze dell’utenza, spesso sotto pressione e senza alcun riconoscimento. 

Nella mia professione quotidiana ho avuto sempre grande curiosità e voglia di apprendere, voglia che ho cercato di trasmettere a chi affianco come tutor clinico (studenti italiani e professionisti stranieri). Ho potuto affiancarmi ad altri professionisti sanitari (medici, ostetriche, fisioterapisti e tecnici) che mi hanno insegnato e insegnano moltissimo. Apprendo molto dagli OSS e dai miei studenti, e li ringrazio tutti. 

A mio modesto parere, nessun titolo o prestigio sociale vale quanto l’esperienza di tecnica e relazione sul campo quando si lavora per la salute del paziente, ma occorre farlo assieme.
Farsi “ombra” di altri professionisti, abbattendo divisioni e gerarchie preconcette è istruttivo per tutti e può migliorare la qualità dell’assistenza, come le esperienze internazionali sembrano confermare in questa revisione sinottica.

Ivan Favarin
Infermiere

02 marzo 2019
© Riproduzione riservata

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