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Il regionalismo differenziato e il tradimento del M5S

di Marcella Gostinelli

02 FEB - Gentile direttore,
le scrivo per potermi esprimere sul regionalismo differenziato. Ho letto nel merito gli ultimi articoli del prof. Cavicchi e quelle che sembrano essere le risposte a questi della ministra Giulia Grillo. Da cittadina avverto nei confronti del prof. Cavicchi un sentimento profondo di gratitudine perché lo sento dalla nostra parte a lottare per il mantenimento del diritto alla salute come diritto assoluto; da infermiera gli sono ancor più grata perché nei suoi scritti egli “risolve” là” dove gli angeli esitano”, (G.Bateson, M.C.Bateson, Dove gli angeli esitano, verso una epistemologia del sacro, Adelphi,2017).
 
Risolve perché prima pensa, poi sceglie, decide, critica e propone gratuitamente.
 
La Ministra Grillo però non lo vuole ascoltare, anzi sembra temere il suo pensiero, defilandosi dall’ idea originaria di voler cambiare il mondo.
 
Il Movimento 5 stelle, in sanità, sembra tradire i suoi elettori e non tanto per un programma che dice poco o nulla nel merito, e che dicono, comunque, di rispettare, ma perché non dimostrano di avere una saggezza diversa e un diverso coraggio rispetto a chi li ha preceduti.
 
Non affrontano di petto le tante domande che il cittadino, nel segreto della propria casa, ed il professionista sanitario con il malato ogni giorno si pongono.  
 
La soluzione nuova, che ci aspettavamo dal governo del cambiamento, in ambito sanitario, era quella di riuscire a separare scrupolosamente le voci del cittadino sano-malato da quelle di un sistema sempre meno universalistico e sempre più diseguale perché sempre più amministrato e sempre meno governato, ed ascoltarLe con il cuore in mano perché “Loro” di “cittadino” si sono nutriti sempre.
 
Quell’ascolto autentico, non fuorviato dal potere di dominio, li avrebbe dovuti portare almeno a considerare una nuova idea della tutela, che nascesse da un dibattito vitale e produttivo, capace di andare oltre lo standard assistenziale, minimo o massimo, da assicurare e iniziare a parlare di adeguatezza assistenziale in ogni comunità; comunità quale emancipazione della nozione di territorio. Emancipazione che avrebbe portato, fra le altre cose e per esempio di cambiamento,  gli infermieri ad essere veramente “prossimi” al cittadino divenendo  Infermieri  di prossimità   e operando tutte quelle attività, oggi mortificate, previste dal profilo, che aiuterebbero  a ripensare  in chiave assistenziale l’intera territorialità.
 
Passare dal concetto di territorio a quello di comunità, con la competenza avanzata dell’infermiere di prossimità, avrebbe garantito anche il mantenimento del principio di universalità in ogni comunità in quanto gli infermieri leggendo i bisogni differenziati dei cittadini a loro prossimi, più facilmente avrebbero potuto soddisfarli o inviarli su canali formali per essere soddisfatti in maniera adeguata dal sistema dei servizi. Se i bisogni di ogni comunità sono soddisfatti il principio di universalità è garantito.
 
L’infermiere in un simile scenario avrebbe avuto cosi la possibilità, oggi negata, di implementare modelli di salutogenesi nel rispetto della cultura differenziata di ogni cittadino e avanzare, davvero, competenze specifiche e non sostituibili.
 
Nel regionalismo differenziato, anche solo per come nominato e per come  poco pensato ed argomentato, nonostante sia tanto rammentato, manca il malato e ciò che lo spiega, non ci sono i contenuti e neanche gli obiettivi che al malato interessano; ciò che forse è anche   peggio, e toglie ogni speranza di cambiamento,  è che c’è un modo di fare che somiglia alla condotta del “curatore  distaccato”, e che quindi corregge e introduce piccole modifiche nei suoi capitoli, secondo la necessità del momento, arrivando, a tratti, a sembrare un vero e proprio amanuense, a Lega obbedendo.
 
La ministra Grillo rassicura i lettori  sul “differenziato” utilizzando solo slogan di solidarietà e di responsabilizzazione decentrata, intesa come necessità; in realtà l’idea che ci si fa leggendola o ascoltandola è che si tratterebbe di un regionalismo sbilanciato proprio sui temi classici, relativi  al ruolo, alla funzione, alle caratteristiche e al mandato di un servizio sanitario nazionale,  proprio perché non vi è stata prima, una svolta culturale e neanche una analisi critica al sistema attuale nel suo insieme.
 
Come si fa a cambiare o a correggere “qualcosa” se non si sente prima la necessità di approfondire, capire, le questioni  in essere in quel “qualcosa”? Come può rassicurare la ministra Grillo sul regionalismo differenziato quando non ha mai  ancorato a questa idea le tematiche della questione medica, o quelle di una  medicina assoggettata all’attuale ideologia dell’economicismo? Come può pensare di rassicurare i professionisti sanitari quando ancora la medicina non è resa autonoma nel rispondere alle istanze sociali, prima ancora che a quelle scientifiche?  E in queste non risposte sulla medicina possibile come pensa di risolvere la   questione infermieristica? Come possiamo rassicurarci se prima non corregge le tematiche sanitarie, se non ci dice in maniera chiara e inequivocabile come ogni cittadino, con i suoi concittadini distribuiti in ampi territori, mai convertiti in comunità, potrà avere la stessa opportunità di accedere ai servizi sanitari e come questi saranno serviti con la stessa copertura?
 
Difficile rassicurarsi quando chi ci governa non capisce che prima che un sistema possa passare da nazionale a locale ( federale nella migliore delle ipotesi)  è obbligatorio che si  integri l’approccio classico alle tematiche sanitarie con un approccio totalmente diverso, filosofico- politico e quindi salutogenico;   bisognerebbe riprendere in mano le questioni della medicina ( medica, infermieristica, medicina amministrata etc), il legame di questa con la società e la scienza e ripensarle   in chiave  locale attraverso la definizione di controfattuali chiari ed espliciti. Allora potremmo anche affidarci ad un cambiamento possibile. Bisogna, insomma, avere in mente dove andare, perché andare, con chi andare e con cosa.
 
In epoca non sospetta Cavicchi scrisse il libro Salute e federalismo ( ed.Bollati Boringhieri, 2000) dove “aggiornava l’idea di diritto alla salute e dove spiegava  quale poteva essere l’idea che innovava la teoria di fondo che ispirava da trenta anni la legislazione sanitaria” ; nella terza ed ultima parte del libro, entrava invece  profondamente nei contenuti dimostrando che non è più possibile amministrare le necessità cliniche con delle verità di ragione, con dei criteri stabiliti a priori e standardizzati, ma che serva invece una obiettività più a misura di malato, e più coinvolgimento da parte di chi vive i servizi  sanitari e per questo capaci di soggettivare i saperi; a mio avviso aggiungo che oggi  servirebbe  anche più politica  infermieristica capace di determinare nelle prassi  una clinica più relazionale che osservazionale.
 
Ha scritto poi “ i Mondi possibili della programmazione sanitaria , e logiche del cambiamento” ( McGraw-Hil,2012)dove si attribuisce alla programmazione una funzione riformatrice perché si possano esprimere nuove politiche.  In questo libro, decisamente operativo, rende l’idea di come si possa mediare con l’implicazione di un “obbligo ideativo che soddisfi le esigenze di innovazione e quelle di invarianza”.
Ha scritto anche “La Quarta Riforma” dove, nella seconda parte del libro, offre 10 proposte concrete spiegate didatticamente per raggiungere lo scopo pragmatico del cambiamento e quindi riformare davvero.
 
Esiste, in bibliografia, anche Un atlante concettuale di salutogenesi (Atlante concettuale della salutogenesi ( I.Simonelli e F.Simonellied.F.Angeli, 2010)  , tanto caro agli infermieri, perché , se glielo facessero fare, potrebbero aiutare a capire, con nuovi strumenti e sguardi,  i meccanismi che generano la salute promuovendo nuovi modelli di salutogenesi. Esistono, inoltre, fra i tantissimi altri libri non citati, anche testi dove, non solo in chiave teorica, si riflette anche sui nuovi ambiti di ricerca e di programmazione delle politiche per la salute e che per questo potrebbero essere utili anche a quei politici che vorrebbero cambiare, ma che non sanno da che parte farsi (Mara Tognetti Bordogna, Nuovi scenari di salute. Per una sociologia della salute e della malattia, ed F.Angeli, 2017) .
 
Certi libri, sussidiari, non vengono letti da chi ci governa o da chi li consiglia?  Perché? E se li leggono perché non li usano per le loro e le nostre pratiche?
 
Capita, a noi infermieri, di raccogliere dai cittadini opinioni senza artifizi sulla incapacità dei politici, vecchi e nuovi, di cambiare le cose.
 
Difficile essere franchi con chi è malato o teme di diventarlo, non si può dire loro tutto, mentre li si assiste, circa la medicina ed il rapporto della stessa con la politica e allora l’infermiere per il bene del malato, occupandosi anche di saperi più relativi, diventa con il malato retorico e   “cerca di non far  corrispondere il vero con il punto di vista del malato” ( Cavicchi,2000) .
 
Ma allora chi può dire la verità al cittadino prima che diventi malato? Chi puo dire che il regionalismo differenziato non sarà per lui una cosa buona?
 
Vorrei che ogni ordine infermieristico di provincia organizzasse campagne informative per la cittadinanza sul regionalismo differenziato cosi come è imposto, poco pensato, per niente approfondito. Soprattutto andrebbe detto al cittadino come stanno realmente le cose e cioè che il regionalismo differenziato porterà regioni diverse ad adottare, in funzione delle diverse disponibilità finanziarie, diverse modalità di copertura delle prestazioni erogate.
 
 Il diritto assoluto alla salute, con il regionalismo differenziato, finirà quello che fino ad oggi era stato l’inizio di un suo passaggio graduale: quello da uno stato di diritto assoluto ad uno stato di diritto relativo, dipendente cioè dalle risorse disponibili. La necessità clinica coinciderà cioè con la possibilità finanziaria. E la medicina? E il malato?
 
Più che cambiare si è continuato un percorso già tracciato.
 
Marcella Gostinelli
Infermiera

02 febbraio 2019
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