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Carenza medici e dirigenti sanitari. Il Ministro non “dimentichi” l’assistenza sanitaria territoriale

di Mario Sellini

06 SET - Gentile Direttore,
in questi giorni, molto opportunamente, si sta discutendo della carenza di personale medico e sanitario e della necessità di incrementare il numero di posti nelle scuole di specializzazione. Il Ministro della Salute ha “preso di petto” il problema e ha aperto un confronto con tutte le Organizzazioni Sindacali della Dirigenza medica e sanitaria per raccogliere le opinioni e le proposte di chi in Sanità ci lavora.

All’interno di questo percorso, che condividiamo, crediamo sia opportuno inserire alcuni elementi che riteniamo siano utili a completare ed arricchire il dibattito ma che servono a migliorare, rendendole efficaci, le soluzioni che il Ministro vorrà assumere.

Per fare ciò, dobbiamo porre una domanda: qual è la prima e più grande emergenza che si deve affrontare se davvero vogliamo salvare il Servizio Sanitario? L’emergenza delle emergenze è, senza ombra di dubbio, il Finanziamento. Dopo oltre 10 anni di tagli e di mancato adeguamento, le risorse disponibili non sono più sufficienti a tenere in piedi il Sistema.

Nei prossimi 4/5 anni andranno in pensione 30/40.000 dirigenti medici e 6/7.000 dirigenti sanitari (Psicologi, Farmacisti, Biologi, ecc.) oltre il 50% dell’organico attuale e il problema della carenza di personale che si verrà a creare  lo risolviamo solo se si mettono a disposizione delle Aziende le risorse necessarie per le assunzioni.

Ciò significa che senza un piano straordinario di assunzioni, nell’arco temporale di un quinquennio, oltre il 40% delle strutture sanitarie verranno chiuse. In verità il processo è già iniziato e l’accelerazioni dei pensionamenti lo renderà inarrestabile.

Manca il personale della dirigenza medica e sanitaria negli ospedali; mancano medici e dirigenti sanitari nelle strutture sanitarie territoriali. L’emergenza personale è “una”, ma tutti i settori sono coinvolti: ospedale e territorio. Rischiano di chiudere e stanno già chiudendo reparti e servizi ospedalieri. Identica sorte per i servizi territoriali.

È vero che l’emergenza ed urgenza negli interventi sanitari è attività squisitamente ospedaliera, ma è altrettanto vero che una scarsa attività di prevenzione, l’impossibilità a “curare” e “riabilitare” sul territorio, fa si che le emergenze e le urgenze ospedaliere aumentino a dismisura.
La chiusura dei servizi sanitari presenti sul territorio renderà più gravi i problemi, già enormi, degli ospedali. Guai se l’unico presidio sanitario disponibile dovesse essere l’ospedale. Ciò comporterebbe, come avviene già negli Usa, l’esclusione di milioni di cittadini dalla possibilità di ricorrere all’assistenza sanitaria. Perché senza servizi sanitari territoriali pubblici resterebbero in campo solo i privati. E i primi esempi sono già riscontrabili, soprattutto nelle grandi città.

I cittadini che non trovano più sul territorio i presidi sanitari ai quali rivolgersi, sano costretti a rivolgersi, in numero sempre maggiore, ai pronto soccorso degli ospedali ed ai reparti ospedalieri.

Molti servizi territoriali stanno già chiudendo o, come dicono le Aziende, sono oggetto di razionalizzazione (termine politicamente corretto ma che è sinonimo di chiusura). Consultori familiari, Servizi per le tossicodipendenze, Centri di salute mentale, di riabilitazione, di assistenza domiciliare, Servizi per il trattamento delle dipendenze da gioco, bulimia, anoressia ecc. sono solo alcuni dei servizi e delle strutture territoriali che quotidianamente garantiscono assistenza sanitaria continua e svolgono una funzione fondamentale, anche dal punto di vista economico.
È vero che chiudere un Consultorio Familiare o un Sert non produce l’allarme sociale che creano i fenomeni di urgenza ed emergenza. Ma è altrettanto vero che senza questi presidi la qualità, l’efficacia e l’efficienza dell’assistenza sanitaria si riducono ed i costi sono destinati a moltiplicarsi.

Se chiudono questi servizi e stanno già chiudendo, a chi potranno rivolgersi gli utenti? Agli ospedali, intasandoli, o alle strutture private pagando di tasca propria.

E che fine fanno i Lea? Dopo oltre 10 anni sono stati rivisti ed aggiornati. Oltre che legge dello Stato, i Lea costituiscono un obbligo che la collettività ha assunto nei confronti dei cittadini che necessitano cure ed assistenza.  Chi garantirà l’erogazione dei Lea se le aziende dovessero chiudere i servizi sanitari territoriali?

Chiediamo quindi al Ministro di non “dimenticare” l’assistenza sanitaria territoriale; di non sottovalutare i rischi per la Salute e per i conti dello Stato derivanti dalla chiusura di servizi quali i Consultori Familiari, Centri di Salute mentale, Sert ecc. A maggior ragione perché questi servizi si rivolgono alle fasce più deboli, povere ed indifese della popolazione. Per milioni di cittadini questi servizi sono l’unico presidio sanitario al quale rivolgersi. Ed in molti di questi presidi sanitari, la figura dello Psicologo è quella più adatta a fronteggiare situazioni di crisi individuali e collettive, costituendo un argine ai tanti accessi in “codice bianco” ai pronto soccorso. Le esperienze del Nhs, il sistema sanitario inglese, che investe moltissimo nella collaborazione tra medicina e psicologia ci indica la strada da seguire. Non a caso l’idea guida dell’Nhs è: No health without mental health “non c’è  vera salute senza la salute psicologica”.

Mario Sellini
Segretario Generale Aupi

06 settembre 2018
© Riproduzione riservata

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