Io, i medici, il dottor Porro e una libreria piena di libri
di Luca Benci
03 AGO -
Gentile direttore,
vengo chiamato in causa dal
dottor Gianni Porro dalle colonne di questo giornale su un mio articolo recentemente pubblicato di
commento a una sentenza che ha visto la condanna per violenza privata nei confronti di un medico che ha imposto una trasfusione a una paziente dissenziente. Prima di rispondere nel merito preciso che non formulerò critiche personali, non solo perché non è mio costume farlo, ma anche perché non conosco il dottor Porro.
Lo premetto perché invece il dottor Porro, che non ho il piacere di conoscere, mi ritrae sarcasticamente scrivendo che mi faccio ritrarre “davanti a uno scaffale (
rectius libreria) tappezzato di libri, sicuramente segno di grande cultura”, che avrei in antipatia i medici, che sarei freddo e, financo “crudele” che commentando sentenze senza rischiare nulla – in effetti non sono l’imputato… - faccio spesso un “figurone”. Forse la deformazione professionale del dottor Porro – è uno psichiatra - lo conduce a formulare questi giudizi superficiali senza conoscermi (spero che non faccia così anche con i suoi pazienti).
La stessa superficialità il dottor Porro la utilizza per commentare il mio articolo “Se il medico è mandante e l’infermiere esecutore”. Come prassi, il titolo di un giornale è sottratto all’autore dell’articolo, ed è formulato dal direttore o comunque è scelta redazionale. Il titolo però è del tutto fedele, non al mio pensiero, ma alla sentenza del Tribunale penale di Termini Imerese. E’ il giudice che ha definito il medico “mandante”.
Il dottor Porro, nella vicenda che stiamo commentando – ripeto: imposizione di una trasfusione a una paziente dissenziente senza un reale stato di necessità – conclude con un appello ai suoi “fratelli medici, infermieri e oss” di “tenere aperto il cuore più aperto possibile”.
Chiariamo allora ai lettori ciò che il dottor Porro non ha capito: il medico condannato ha rappresentato al magistrato una realtà volutamente falsa – intervento salvavita per la donna e per il feto già abortito – per carpire un consenso che il magistrato non aveva il potere di dargli, per imporre una trasfusione che i periti hanno stabilito non essere salvavita. Se il dottor Porro avesse avuto la pazienza di leggere, non una intera libreria, ma la mezza paginetta di precisazioni che il professor
Daniele Rodriguez, medico legale di chiara fama e che ha fatto parte dei consulenti tecnici di parte civile nel processo, e che ho citato
allegando il link in fondo al mio articolo, si sarebbe risparmiato il tempo di scrivere.
Riporto testualmente quanto scritto da Rodriguez: “la trasfusione non era finalizzata, pur in presenza di un basso valore di emoglobina, a salvare la vita della persona” e che nel caso di specie non si poneva “alcun dilemma etico: la persona rifiutava un trattamento che non era salva-vita”. Ripeto: il link con le parole di Rodriguez era in fondo al mio articolo.
Quando si violano scientemente – non è infatti un processo per la classica responsabilità colposa caratterizzata dalla negligenza, l’imperizia e l’imprudenza - diritti sanciti da norme costituzionali e deontologiche – imponendo una cura che contrasta con il consenso del paziente è difficile poi non pagarne le conseguenze. Il dottor Porro nella sua veste professionale dovrebbe poi essere un esperto di consenso visto che la legge 180 – di cui quest’anno sono stati, giustamente, celebrati i quaranta anni di vigenza - precisa che anche nei casi di trattamenti sanitari obbligatori devono vi devono essere “iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato”.
Consenso e partecipazione anche nei TSO, figuriamoci in atti che non sono da trattamento sanitario obbligatorio come quello relativo alla signora di Termini Imerese.
Ricordo inoltre che in una recente pubblicazione (
Cavicchi I, Ordine dei medici di Trento, Riformare la deontologia medica, Dedalo, 2018, p. 13) il presidente della Fnomceo,
Filippo Anelli, ci informa che il prossimo codice di deontologia medica sarà informato ai principi della Carta costituzionale che enfatizzerà, ulteriormente e inevitabilmente, i diritti dei pazienti.
Invocare una generica umanità disprezzando i diritti dei pazienti e principi etici e deontologici chiamando i “fratelli” alla correità è assolutamente fuori luogo anche se lo scrive chi ha il demerito di non farsi ritrarre con le ciabatte infradito invece che davanti a una libreria.
Luca Benci
Giurista
03 agosto 2018
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