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Quel ticket sui generici è colpa delle liste di trasparenza

di Andrea Gazzaniga

24 LUG - Gentile Direttore,
davvero impressionano – se pur conosciute, reiterandosi negli anni - le informazioni che si ricavano dall’articolo “Ticket a quota 2,9 miliardi. Ma oltre un terzo è pagato per “scelta” del cittadino. L’analisi di Gimbe” apparso sul suo giornale a commento del recente rapporto OSMED. A mio avviso, impressionante è il dato relativo all’esborso “spontaneo” da parte dei cittadini di oltre un miliardo di euro, derivante appunto dalla scelta di preferire medicinali diversi dai generici.

Esborso che, come noto, deriva dal pagamento della differenza di prezzo esistente fra questi ultimi e altre tipologie di medicinali (originatori e “vecchie” specialità copia con marchio) per i quali vale il concetto, e vige la possibilità normata, di proposta di “sostituzione” da parte del farmacista.

Ci collochiamo al penultimo posto su 27 Paesi per quanto riguarda il consumo di generici, sia in termini di volumi che di valore.

La lodevole analisi di GIMBE riporta di: “Un ticket, in qualche modo scelto dai cittadini che ancora diffidano dei generici...”. Cittadini che diffidano in modo differenziato da regione a regione. Forse in maniera proporzionale diffidano anche medici che prescrivono e farmacisti che dispensano questi medicinali?

Di fatto, poco meno di due terzi di coloro che entrano in farmacia con la prescrizione di un medicinale contenente un principio attivo a brevetto scaduto decidono di non avvalersi del possibile risparmio legato alla scelta del prodotto generico.

E’ possibile individuare ragioni oggettive con cui tentare di giustificare una così grande diffidenza di noi italiani, evidentemente molto maggiore rispetto a quella, per esempio, di tedeschi, danesi e inglesi?

Non sono facili da trovare:
- non certo nell’iter registrativo ormai completamente condiviso con gli altri Paesi
- non certo in una ipotetica carente “qualità” produttiva delle nostre officine farmaceuticheche peraltro tutti ci invidiano; avendo recentemente portato a termine il sorpasso sulla Germania siamo ora i primi produttori europei di medicinali
- forse nel non ineccepibile percorso di “sostituibilità” strettamente legato alle di Liste di trasparenza?

Le Liste di trasparenza normano e sanciscono la “sostituibilità”, previo consenso del paziente, dei medicinali riportati all’interno di gruppi omogenei e prospettati come prodotti bioequivalenti e quindi intercambiabili.

Sono esse redatte in modo tale da rendere oggettivamente e complessivamente affidabile, e univoco, l’atto sostitutivo da parte del farmacista?

A mio modesto avviso la risposta è senza ombra di dubbio negativa. Le Liste di trasparenza continuano a mostrare i limiti già sussistenti quando sono apparse nella loro veste attuale oltre dieci anni fa. Soffrono, fra l’altro, del fatto di essere state concepite con funzione non solo tecnico-scientifica - in quanto dovrebbero appunto raggruppare medicinali bioequivalenti - ma anche tecnico-amministrativa.

I maggiori problemi derivano dalla circostanza che molto frequentemente si trovano raggruppati nello stesso elenco l’originatore, in qualche caso addirittura gli originatori, i generici e le già sopra ricordate “vecchie” specialità-copia con marchio, registrate prima che entrasse in vigore la legge 425/96 che introduceva, come necessari alla concessione dell’AIC, gli studi di bioequivalenza.

Inoltre, in qualche caso, vengono accomunate tipologie di forme di dosaggio così diverse da escludere l’eventualità di una biodisponibilità confrontabile (la bioequivalenza appunto). In alcuni casi, è addirittura, non facile individuare l’originatore; in altri non lo si identifica affatto. Tale confusione non può che preoccupare: una volta inseriti nello stesso elenco, tutti i medicinali sono a pieno titolo a disposizione del farmacista per la proposta di sostituzione.

Per ultimo un dubbio: coloro che a un certo punto cominciarono a pensare che la mancata affermazione dei medicinali generici potesse derivare dal brutto nome che si portavano addosso, e propose di cambiarlo in medicinali equivalenti, saranno stati a conoscenza delle differenze, non solo semantiche, che intercorrono fra preparati farmaceutici equivalenti e preparati farmaceutici bioequivalenti?

C'è la sensazione che, a certi livelli, permanga un po' di confusione su questi aspetti. E’ un peccato: sul fronte mediatico incalzano infatti i biosimilari e, anche in questo caso, una adeguata cultura farmaceutica risulterebbe di grande aiuto per affrontarne le essenziali problematiche.
 
Andrea Gazzaniga
Presidente del Comitato di Direzione della Facoltà di Scienze del Farmaco, Università Statale di Milano 

24 luglio 2018
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