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Se un cittadino vuole cambiare medico dovrebbe dire perché

di Bruno Ravera

20 APR - Gentile Direttore,
sia consentito a un medico anziano (per non dire vecchio), per molti anni Presidente dell’Ordine dei Medici di Salerno, di fare alcune considerazioni non moralistiche, a proposito della denunzia del Presidente della Regione Sicilia dei cosiddetti “furbetti della 104”. Così li ha definiti la stampa.
 
Incominciamo col cambiare il vocabolario. Non si tratta di furbetti, che è un termine vezzeggiativo e quindi vagamente assolutorio, che mal si adatta a questi comportamenti. La lingua italiana ha molti vocaboli, che potrebbero con ben altra precisione definirli.
 
La legge 104 è una legge di civiltà che in situazioni particolari è un reale sostegno alla famiglia da parte di uno Stato che non ha mai fatto una vera politica per essa. Ma non dovrebbe essere consentito ad alcuno di abusarne. E che vi siano degli abusi nel pubblico (soprattutto) e nel privato (anche) è una obiettiva constatazione.
 
E allora una domanda, che ci dobbiamo porre noi per primi; chi ha redatto i certificati che hanno consentito ai dipendenti di avanzare la richiesta per ottenere i benefici previsti dalla legge? E da chi sono in prevalenza costituite le commissioni che hanno sancito il loro diritto a godere dei benefici previsti?
Da noi medici.
 
E allora senza geremiadi, moralismi e giustificazioni, diciamo che bisogna cambiare passo. Io non mi sento di condividere il messaggio della bella canzone napoletana, “chi ha avuto avuto avuto con quel che segue, “scurdammoci o’ passato”. I benefici illegittimamente concessi vanno revocati e chi li ha concessi deve essere sanzionato. Non è il caso di invocare provvedimenti draconiani.
 
Accontentiamoci di eliminare gli abusi (e lo dico non per realismo, ma per convinzione). Il lavoro “è un bene primario che va tutelato in via prioritaria”, è scritto in una sentenza. Benissimo. I rinnovi contrattuali del pubblico impiego prevedono espressamente la centralità dei controlli e monitoraggi bilaterali (PA – Sindacati) specie in concomitanza con festività, eventi sportivi e quant’altro (questo per dire che il problema degli abusi si estende al di là della legge 104).
 
Nella convenzione dei medici di medicina generale bisognerebbe inserire una specie di art.18. Quando un cittadino (utente è una brutta parola) vuole cambiare il suo medico di fiducia (che è un suo diritto) dovrebbe spiegarne i motivi. Ci vorrebbe una specie di giusta causa. Troppo comodo dire che è venuta meno la fiducia.
 
E se un cittadino richiede una prestazione inappropriata e il medico rifiuta di darla perché deontologicamente e scientificamente ingiustificata, siamo sicuri che un altro medico non sia disposto a concederla, realizzando di fatto una concorrenza sleale? Sarebbe difficile sostenere che il rifiuto di una prestazione non dovuta (si tratti di un farmaco, di un accertamento o di un certificato compiacente) possa comportare la perdita della fiducia. Troppe volte i colleghi sono sottoposti a un vero e proprio ricatto.
 
Una categoria (non una classe) come la nostra deve avere il coraggio di riconoscere i torti ed eliminarli, almeno nei limiti del possibile. E’ vero che siamo bistrattati e che continuiamo a lavorare per senso del dovere, in condizioni che nessun metalmeccanico o operatore ecologico tollererebbe, ma questo non ci autorizza a violare il nostro codice. No alla criminalizzazione, ma anche no alle confortanti amnestie.
 
Vorrei però allargare il discorso.
Premetto che il SSN (è convinzione diffusa) sta reggendo sia pure a fatica, per il senso del dovere, direi di abnegazione di chi ci lavora (non solo dei medici, anche se essi forse sopportano il maggior disagio; basti vedere com’è attuata la normativa europea sul riposo). E’ una situazione insostenibile che non può essere ulteriormente tollerata.
 
Aggiungo che ritengo sacrosanta la rivendicazione di una maggiore autonomia. L’appropriatezza è un concetto medico, non amministrativo, ma diciamo la verità: uno Stato che intende riconoscere (non dare) una reale autonomia, la quale è una condizione costitutiva dell’essere medico (v. oltre tutto le note sentenze della Suprema Corte), ha però il diritto di pretendere che ad essa corrisponda una maggiore responsabilità (vi dice niente l’ossimoro: AUTO-RE?).
 
Non usiamo parole difficili per esprimere concetti semplici (ma è vero anche il contrario). Qui c’è un muro di diffidenza reciproca che deve cadere (come quello di Berlino), ma chi deve fare il primo passo?
Non possiamo fare come quei due soggetti che timorosi di addentrarsi in un antro buio dicono reciprocamente: se trovassi uno disposto ad accompagnarmi io entrerei e non si accorgono che sono già in due. Forse ci vorrebbe un garante, per esempio la FNOMCeO, riappriopandosi della sua funzione rappresentativa.
 
Qualcuno potrebbe pensare che si rischia di affidare l’AVIS a Dracula, ma non è così e dobbiamo dimostrarlo con i nostri comportamenti. Mi pare sia stato Machiavelli a dire che uno Stato non si governa con i Pater Noster; questo per indicare che non bastano le parole per risolvere i problemi, né la mozione degli affetti cari agli antichi e purtroppo anche ai moderni retori. Alcune nostre vecchie abitudini potrebbero giustificare le altrui perplessità. Rivendicare i meriti storici (che pure ci sono) è inutile; minacciare sfracelli o proclami “ruggibondi e divorieri” lascia il tempo che trova. Comportiamoci con responsabilità e pretendiamo di essere creduti.
 
E allora?
Tavoli di lavoro, punti fermi, impegni precisi e verifiche periodiche. I medici, i sindacati rappresentativi, gli Ordini Provinciali, la FNOM dovrebbero ritrovare una sostanziale unità. Sono sicuro che è possibile.
 
Dott. Bruno Ravera
Primario Emerito di Cardiologia

20 aprile 2018
© Riproduzione riservata

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