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Ticket. Via quelli sulla specialistica, ma non quelli sui farmaci

di Giuseppe Imbalzano

07 OTT - Gentile Direttore,
mi associo alla sua nota sulla abolizione del ticket, con qualche differenza di prospettiva, e nella necessità di gestione di questo controverso e pericoloso strumento di limitazione della possibilità di cura da parte dei Cittadini. Molti milioni di Cittadini non riescono a definire la diagnosi, e a curarsi, per i costi. Mentre per altri Cittadini per i tempi di attesa che costringono ad accedere tempestivamente alle prestazioni sanitarie e alle cure solo come solventi.

Quanto  scrivo è orientato alla abolizione del ticket per la specialistica, poiché ritengo che la compartecipazione alla spesa, determinata dal consumo di prodotti farmaceutici e da un reddito adeguato, debba far parte della copertura economica per i servizi di cui ognuno di noi usufruisce.

L’abolizione del ticket per la specialistica è di molto inferiore ai 3 miliardi di euro annuali ed è pesantemente affetta da spese fisse per circa il 40% per l’esazione delle stesse, per cui, al netto, è di circa 1 miliardo di euro e forse meno.

L’abolizione del ticket sulla specialistica consentirebbe un recupero di visite specialistiche significativo, di migliaia e migliaia di ore perse dai Cittadini agli sportelli, di interventi precoci e tempestivi per chi oggi ritarda la diagnosi e che causano aumenti dei costi successivi di assistenza per un paziente sicuramente più critico rispetto ai possibili corretti tempi di diagnosi. Oltre a diventare elemento fondamentale di equità e rappresentare un elemento di eliminazione della diseguaglianza non solo manifesta ma anche grave nei confronti di una fetta, la più debole, importante della nostra comunità.
 
Ma è una spesa che va compensata, e qui credo che vada fatta una scelta chiara, con attenzione e correttezza, poiché non possiamo fare valutazioni contraddittorie e utili solo per garantire interessi non sempre ben definiti.

Chi ha malattie croniche, consumo regolare e reddito sufficiente (possiamo immaginare un livello di reddito minimo per l’esenzione) deve contribuire come tutto il resto della popolazione alle spese del SSN, altrimenti anche qui si crea una ingiustizia e, importante, una carenza di responsabilità diretta nei confronti della propria salute. Si tratta di considerare una contribuzione sui farmaci di circa 10- 15 euro al mese, che non hanno costi di esazione diretta e che vengono, almeno in parte, compensati dai risparmi che comunque avranno questi pazienti, anche loro, per la esecuzione di prestazioni specialistiche. Considerato che i Cittadini esenti sono circa 10 milioni, il recupero economico netto appare coerente con la riduzione della contribuzione per i ticket per la specialistica.

I quattro grafici (seppure non recenti) che seguono, danno significato della frequenza, dei costi e del valore relativo delle prestazioni che vengono eseguite per l’attività specialistica, oltre alle esenzioni per classe di età.

L’eliminazione dei processi per la determinazione della esenzione, comunque economicamente a carico del Cittadino, sono, ulteriormente, elemento di risparmio e del recupero di non poche prestazioni specialistiche non destinate, oggi, alla diagnosi e cura.

Vorrei porre una seconda questione che, credo, comunque, debba essere ripresa nell’ambito della discussione sulla revisione del finanziamento e della gestione dei servizi sanitari, la casualità o la causalità del nesso tra patologia sofferta e condizione personale, con una selezione di compartecipazioni “preventive”, una “assicurazione sul danno potenziale” nel secondo caso, che potrebbe coprire ampiamente queste condizioni di finanza “integrativa” che ci viene, di volta in volta, proposta, ad ogni nuova legge finanziaria e che non risolve, comunque, i problemi della sanità e di salute dei Cittadini.
 
E ancora meno i problemi dei tempi di attesa. Elementi che sono diventati, oggi, una questione di grande significato qualitativo del sistema sanitario, nel combinato disposto tra riduzione imponente degli organici e incremento dei cronici e della popolazione da assistere e comportamenti di natura anomala (ho telefonato ad una struttura privata accreditata per una prenotazione e mi è stata proposta, circa un mese fa, per il 26 maggio 2018- quella a prezzo “facilitato” dopo 10 giorni) da parte degli erogatori.

Una domanda: ma dobbiamo dare gratuitamente i servizi sanitari a chi evade in modo evidente le tasse e mantenere in una situazione critica un sistema che non garantisce chi invece ha comportamenti corretti e persino virtuosi, sia economici che per la propria e altrui salute?

I 110 miliardi di evasione annue potrebbero consentire di svolgere e promuovere attività sanitarie di ben altro livello e qualità. E senza ticket.
 

 



 
Giuseppe Imbalzano
 
Gentile dottore,
 
intanto grazie per la sua lettera e i dati che ha voluto condividere con noi. Una sola cosa: non sono d'accordo sul fatto che il mantenimento del ticket sulla farmaceutica, pur se rimodulato per reddito, vada mantenuto e che, come scrive, “debba far parte della copertura economica per i servizi di cui ognuno di noi usufruisce”.
 
Stiamo infatti parlando di un ticket su farmaci che sono esclusivamente di fascia A, e quindi ritenuti essenziali dai Lea e  tutti con obbligo di prescrizione del medico e quindi non soggetti ad abusi consumistici per autonoma decisione del paziente.
 
Ma a parte questo ricordo che già oggi paghiamo il nostro contributo al Ssn attraverso le nostre tasse progressive e quindi in base al reddito. Perché dovremmo far pagare chi si ammala? Non ha senso, se non quello di fare cassa sulla malattia.
 
Infine, come lei ricorda giustamente, se tutti gli italiani pagassero le tasse avremmo in cassa 110 miliardi di euro l'anno in più, l'equivalente della spesa sanitaria pubblica. Ecco chi va perseguito e colpito, non chi si ammala avendo, magari, pagato anche tutte le tasse "matte" di questo Paese.
 
Cesare Fassari
 

07 ottobre 2017
© Riproduzione riservata

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