La salute ai punti Coop
di Piero Caramello
21 LUG -
Gentile Direttore,
la salute ormai è merce, come nelle migliori società liberiste, ed un pezzo alla volta stiamo perdendo il nostro Servizio Sanitario Pubblico con un’azione culturale continua la cui impronta nella mente dei cittadini è “non può esistere una tutela universalistica come previsto dalla Costituzione”.
Il fatto: in Toscana Unisalute, del gruppo UNIPOL, e Coop Firenze stanno stringendo un accordo, che stando agli organi di stampa appare in dirittura d’arrivo, che aprirà una nuova frontiera della mercificazione della salute. Questo accordo prevedrà una campagna di raccolta punto presso i centri commerciali Coop che il cliente potrà “spendere” in prestazioni sanitarie presso le strutture private del gruppo Unipol.
Premesso che questa analisi non vuole assolutamente mettere in discussione la “libera impresa”, tutelata dalla Costituzione, non vi è dubbio però che questo accordo si aggiunge a tutti quelli che nella regione Toscana sono in piedi da anni con l’unico scopo di “deviare” culturalmente il cittadino ed abituarlo ad un sistema “misto”. Un sistema misto dove però il primo accesso alle cure è sempre più spostato sul privato.
In un quadro sociale, come richiamato dai dati emessi dall’ISTAT, in cui la situazione di accesso alle cure è messo in discussione dalle condizioni economiche in cui versa una percentuale drammatica del Paese, proporre una “raccolta punti” per comprare prestazioni sanitarie è decisamente un ulteriore schiaffo alla dignità delle persone e l’ennesimo passo indietro da parte dello Stato dalla tutela della salute pubblica.
Chiunque abbia a cuore l’applicazione della Costituzione Italiana sa benissimo che la tutela della salute è responsabilità dello Stato e lo è non solo per mandato normativo ma soprattutto culturale. La nostra Costituzione, nelle intenzioni dei nostri Padri Costituenti, ha da sempre una radice sociale molto forte. Questa radice ha lo scopo di prevedere tutta una serie di servizi di tutela delle condizioni sociali, di salute, del lavoro, della scuola e dell’ambiente derivante dal contributo fiscale dei cittadini.
Nessuno afferma che il cittadino debba sentirsi deresponsabilizzato verso la comunità ma è evidente che non può esistere coesione e rete sociale se ognuno di noi si autotutela, soprattutto se nel farlo finiscono per affermarsi istinti di sopravvivenza che portano a tensioni sociali.
Il silenzio della politica di fronte a queste operazioni non saprei definirlo se di opportunismo o connivenza, di certo è che la classe politica ancora una volta si dimostra inefficiente ed incapace di visioni a lungo respiro in termini di salute. Come ci insegna il
Prof. Cavicchi, dal momento che la programmazione sanitaria è stata da tempo abbandonata in ossequio alle programmazione economica fatta spesso di tagli lineari che non aggrediscono il problema ma ne acuiscono le storture ed aumentano le difficoltà di accesso, se la politica non sarò in grado di esprimere un pensiero riformatore che rimetta al centro non solo il cittadino ma anche il lavoro, le speranze di poter vedere rinascere il nostro Servizio Sanitario Pubblico sono sempre più ridotte.
L’accordo si inserisce in situazione sanitaria che non è più in grado di rispondere ai bisogni dei cittadini, i quali sono messi nelle condizioni della scelta obbligata. Le lunghe liste d’attesa, la desertificazione delle periferie in favore di un accentramento nei grandi centri urbani, la chiusura degli ospedali nelle zone disagiate e l’accorpamento dei servizi di diagnostica, l’attività del privato sociale che lavora grazie alla politica dei ticket sanitari, la cancellazione dei posti letto, gli ospedali in project financing sono solo alcuni degli elementi che configurano in questo accordo l’ennesima risposta ad un bisogno sempre più crescente di salute che il cittadino non trova più nel sistema pubblico.
Non si afferma che non debba esistere la libera impresa in sanità, anzi, ma ritengo tuttavia che essa debba giocarsela sul mercato e non certo attraverso le agevolazioni che il pubblico gli serve nel piatto.
Appare evidente che esiste anche un’altra importante contraddizione in questa operazione di marketing che sfrutta la malattia o la paura di essa.
Chiedo, spero di essere smentito presto, dove siano gli Ordini Professionali ed i Sindacati di Categoria. Se la politica non si espone, gli altri guardano da un’altra parte . Si sono accorti che la discussione intorno al Servizio Sanitario ha bisogno della loro voce e si sono accorti che pezzi di welfare sono ormai appaltati fuori le competenze dello Stato e pezzi di contratto di lavoro sono nelle mani di Compagnie Assicurative? Suppongo di si, visto che sono stati loro a contrattarlo. Trovo grave che non riescano andare aldilà delle questioni marginali o di corporazione rispetto ad un argomento che invece li dovrebbe investire di una forte responsabilità non solo come professionisti ma soprattutto come cittadini.
Tutto da chiarire, anche qui spero che le categorie professionali ci illumino con il loro pensiero, anche l’utilizzo di questi “buoni”. In tal senso cito l’intervento del Dottor
Mauro Valiani del Tavolo Regionale Toscano Diritto alla Salute “qualunque prestazione specialistica o strumentale che non viene valutata dal Medico di Medicina Generale è a più alto rischio di inappropriatezza”.
Infine una curiosità: questo accade nella Regioni guidata da
Enrico Rossi, che dopo la sua fatica letteraria “rivoluzione socialista” e l’intervista sul
Manifesto in cui diceva che serviva “più sanità pubblica”, tace sull’ennesimo tentativo di mercificazione della salute.
Il pensiero riformatore, a lungo invocato dal Prof. Cavicchi, deve poggiare le sue basi politiche su fondamenta salde che siano radicalmente di opposizione alla cultura liberista in atto, che sappia rovesciare l’attuale pensiero unico e rimetta al centro l’art. 32 della Costituzione Italiana attraverso l’interpretazione autentica del pensiero che trasmette.
Piero Caramello
Coordinatore infermieristico
Comitato Valdarno Fiorentino di Difesa Sanità Pubblica
21 luglio 2017
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