La fenomenologia del “non mi fido” e la lezione di Nanni Moretti
di Giovanni Rodriquez
20 GIU - Gentile Direttore,
un articolo di Cavicchi è sempre un evento. Almeno per me. Nel panorama attuale del pensiero sanitario penso che il nostro editorialista resti una voce altra, curiosa, provocatoria, mai banale. A volte condivido le sue tesi altre no. Ma stavolta la lettura del suo ultimo pezzo in risposta al tuo editoriale sui vaccini mi ha fatto riflettere più del solito. E quindi ho preso “carta e penna” e ti ho scritto questa lettera, da “lettore” più che da giornalista del nostro giornale.
“Io non mi fido”. Questo il grido cavicchiano che mi ricorda il celebre I'm as mad as hell, and I'm not going to take this anymore! urlato dallo splendido Peter Finch di Quinto Potere.
Non mi fido della ministra della Salute, non dimostra autorevolezza. I medici? Sono dei tartassati che si rifugiano nella medicina difensiva e si nascondono dietro le linee guida. Delle aziende farmaceutiche meglio non parlarne. Le stesse istituzioni scientifiche, nazionali o internazionali che siano, peccano di credibilità perché mosse da interessi di tipo economico diventando così manipolatrici di evidenze scientifiche.
Si attribuisce al Governo la spaccatura creatasi nel Paese a seguito della presentazione del decreto vaccini ma, parliamoci chiaro, questa divisione è già insita nei toni di questa contrapposizione che arriva a contestare tutto e tutti, a partire dalle evidenze scientifiche espresse da istituzioni nazionali ed estere. In che modo, ma soprattutto, su quali basi si può portare avanti un confronto quando si mette in discussione ogni cosa? Da quali presupposti potrebbe nascere una discussione se si contestano anche i dati raccolti o le statistiche elaborate nei decenni?
Quando si dice che dei vaccini ci si potrebbe anche fidare, ma non di chi ha scritto il decreto, cosa si vuole dire? Qual è la logica alla base di questa argomentazione? Se i vaccini hanno una loro utilità, ed ogni singola proposta di legge presentata punta ad offrirli tutti gratuitamente a carico dello Stato, al di là dell’obbligo o della raccomandazione, è implicito che venga loro riconosciuto un ruolo fondamentale di prevenzione della salute pubblica.
Di fronte a 2,988 casi di morbillo nei soli primi 6 mesi del 2017, si parla ancora degli interessi economici delle aziende sanitarie per il ricorso obbligatorio ai vaccini ma si sorvola su altri dati. Quanti soldi sono stati, e continuerebbero ad essere buttati al vento per gli oltre 1.200 ricoveri e le medicine alle quali sono dovute ricorrere queste persone? Questi farmaci non vengono forse forniti dalle stesse Aziende farmaceutiche, magari garantendo loro anche un profitto più alto delle vaccinazioni? Quanto sono poi costate l’assistenza domiciliare, l’assenza dal lavoro di genitori e o parenti? Per non parlare dei patemi d’animo dei familiari perché, com’è noto a tutti e riportato nella letteratura mondiale (a meno che non si voglia mettere in discussione anche questa), 1 caso morbillo su 20 va incontro a polmonite; 1 su 2000 a Encefalite; 1 su 3000 a Morte. Il tutto evitabile con il ricorso ad una semplice vaccinazione gratuita.
Si parla di sporadici episodi di poliomelite certificati in terre lontane, Israele ed Africa, e riportati dall’Istituto superiore di sanità come uno spauracchio per incentivare il ricorso all’obbligo vaccinale. Ma anche in questo caso, si ignora quanto accaduto in questi anni in Ucraina, nel nostro Continente.
Lì, tra giugno e luglio 2015, sono stati notificati 2 casi di poliomielite paralitica (un bambino sotto un anno di età e in uno di 4 anni) causata da poliovirus tipo 1 derivato dal virus incluso nel vaccino orale (Opv). I casi provengono dal sud-ovest del Paese nell’area che confina con Romania, Ungheria, Slovacchia e Polonia. L’Ucraina è un’area ad alto rischio per la circolazione di virus polio anche di origine vaccinale, a causa della bassa proporzione di vaccinati. Nel 2014 solo il 50% dei bambini è stato vaccinato contro polio e altre malattie prevenibili, anche a causa dell’instabilità politica e dei conflitti nel Paese. Il verificarsi di un caso in un bambino di 4 anni ha suggerito che negli anni recenti si siano accumulati soggetti suscettibili che ora sostengono la trasmissione dell’infezione.
Ecco, il verificarsi di questi casi, in un Paese normale, rafforzerebbe l’importanza di mantenere elevata la copertura vaccinale per evitare di far arrivare anche da noi malattie terribili sparite ormai da decenni. E, di conseguenza, ci farebbe tenere alta la guardia su tutte quelle vaccinazioni che, in questi anni, hanno visto un calo delle coperture al di sotto della soglia minima di sicurezza. E invece no.
Perché quel “non mi fido” che mette in discussione tutto e il contrario di tutto, rischia di dar vita a una spirale di non fiducia collettiva senza soluzione di continuità, interrotta magari da qualche sussulto fideistico (non di Cavicchi ben inteso) da riporre nell'opposto della verità scientifica tradizionale con quelle improvvise fiammate di fiducia assoluta verso guaritori e cure miracolose, che purtoppo ben conosciamo, con il loro codazzo mediatico anti-sistema subito pronto a scagliarsi contro il ministro e lo scienziato di turno accusati di difendere il "sistema" contro la libertà di cura.
E così tutti, l’informatico come l’architetto, la casalinga e il parrucchiere, smettono di essere persone che si informano e diventano improvvisamente esperti (in questo caso di virologia) capaci di spazzare vie le conquiste della medicina dell’ultimo secolo in pochi minuti, contrapponendo al tutto un semplice "non mi fido".
E allora non può che tornare in mente quella scena del film di Nanni Moretti, “Sogni d’oro”, quando Michele Apicella, parlando di cinema, ben sintetizzava con queste parole un fenomeno sempre attuale.