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Il Codice di Pisa. Spero che Ipasvi ne prenda nota 

di Luca Sinibaldi

12 OTT - Gentile direttore,
ho apprezzato molto quanto prodotto dal Collegio IPASVi di Pisa. La proposta di un nuovo Codice Deontologico proveniente da una entità non precipuamente definita da quel direttivo della federazione (che si comporta in tutto e per tutto come un deus ex machina, in un universo infermieristico ormai immoto) è in se fortemente sovversiva. E mi pare… a poco servano le parole di convenienza enunciate in apertura di documento  - “Siamo consapevoli che l’iniziativa del collegio di Pisa sull’art. 49 è stata un’iniziativa forte ma a nostro parere necessaria alla discussione. Non un’iniziativa contro qualcuno ma uno stimolo per il cambiamento.
 
Per questo, benché ci possano essere stati fraintendimenti, rinnoviamo la stima verso la presidente Barbara Mangiacavalli che invitiamo a considerare questo documento come un contributo al dibattito che, a nostro parere, dovrà inevitabilmente esserci in vista della presentazione del Nuovo Codice Deontologico al quale ha lavorato la commissione individuata dal Comitato Centrale.”-  se teniamo in considerazione una realtà che in molti vogliono ufficialmente negare, cioè che la nostra Federazione ha un leader formale ed uno informale. Riferirsi al primo facendo finta che non esista il secondo è obiettivamente un modo per non incappare in guai tutt’altro che lessicali. Ed è questa una delle impasse che, nella lunga lista di esempi di “regressione” (Cap.1.6) redatta sotto l’attenta ed esperta guida del Prof Ivan Cavicchi, non viene citata. Cioè…quella “piegata sudditanza” ad un vertice….temutissimo, dal novero dei consigli di collegio provinciali sparsi per lo stivale. Questa “stretta” autoritaristica sottaciuta ma che ha fino ad oggi tagliato piume alle ali di molti presidenti di collegio.

Ma al di là di questo inciso (dal quale forse il Presidente Carlotti provvederà a prendere le dovute distanze) mi trovo assolutamente in linea con tutta la proposta del Collegio di Pisa. Soprattutto perché definisce inequivocabilmente un’esigenza: per essere professione intellettuale occorre saper essere, prima che molto competenti tecnicamente, personalmente intellettuali. Mi trova assolutamente in linea quando, pur affermando di voler esprimere il valore delle specializzazioni e delle competenze, precisa che un infermiere competente non è quello che sa ma soprattutto quello che è - “oggi si tratta di capire che quello che fa l’infermiere non è più garantito solo dalle sue conoscenze, ma è soprattutto garantito dalle qualità, dalle virtù dalle disponibilità professionali di chi lo agisce.
 
Cioè dalle qualità di chi agisce; oggi l’infermiere non è più la conseguenza di ciò che sa ma è sempre più il risultato di ciò che è e di ciò che sa fare.” - In questo senso…se ne traccia, attraverso questa proposta, anche il percorso didattico, ora assolutamente spinto al tecnicismo e alla trasversalità, senza adeguati filtri legati alla predisposizione attitudinale personale. Mi piace molto quando rivede il concetto di rapporto con il cittadino malato reintroducendo la parola “cura” e legando quest’ultima ad una idea di adeguatezza che parte anche dalle esigenze di cura richieste, piuttosto che solo dal programma di cura indotto dal sistema. Mi piace perché parla di un infermiere che diventa autore dei propri atti abbandonando il concetto di ausiliarità per introdurre quello di “compossibilità”, parola più ampia ed attiva della ormai svalutata “multidisciplinarietà”.

Mi piace perché, ….è l’evidente segno di quanto il tempo della regressione (citata e rappresentata nel documento) abbia forse superato il suo colmo. Il collegio di Pisa incarna oggi l’esempio di ciò che ogni collegio provinciale dovrebbe fare: aprire alla discussione generale fornendo proposte di ampio respiro e di importante pregnanza politica superando i blocchi indotti da quel sistema che vorrebbe comandare anche la deontologia delle professioni. No, ci dice il collegio di Pisa nella sua riflessione…no: “La deontologia riguarda i comportamenti degli operatori e quindi le loro facoltà, i doveri e le responsabilità loro proprie. Essa rientra in quel genere di etiche definite “secondo il ruolo” e che definiscono la famosa identità professionale.   ……  la deontologia è un’etica che per forza deve avere un’autonomia. All’etica è fatto divieto di non essere etica. Alla deontologia è fatto divieto di non essere deontologia. Al dovere è fatto divieto di non essere dovere;…”

In fine, apprezzo di questa proposta l’articolo 9 e suoi successivi paragrafi, che finalmente si occupa di sanare (forse in modo esclusivo nel panorama delle deontologie delle professioni sanitarie) quel possibile “conflitto di interessi”  così determinante da invalidare tutti i precedenti articoli del codice, a piacimento di chi quel conflitto è in grado di agire.

Ringrazio i colleghi per questo prezioso lavoro con la speranza che la Federazione voglia prenderne dovuta nota. Soprattutto con la speranza che si sappia divulgare a tutti gli infermieri italiani.
 

Luca Sinibaldi
Infermiere di Medicina generale

12 ottobre 2016
© Riproduzione riservata

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