Ddl Lorenzin. La mano destra sa quello che fa la mano sinistra?
di Adriano Bottini
13 MAR -
Gentile direttore,
a 3 anni scarsi dall’inizio di questa Legislatura, il bilancio dell’iter parlamentare del ddl 1324 “Omnibus-Lorenzin” è tutt’altro che positivo: mancano infatti poco più di 2 anni all’indizione delle nuove elezioni, ed il provvedimento ancora non è stato discusso in aula da nessun ramo del Parlamento. Nemmeno è stato ancora licenziato dalla Commissione Igiene e Sanità del Senato, nonostante le esternazioni della Presidente on.
Emilia De Biasi dell’estate 2014 quando auspicò in una intervista alla sua testata lo spacchettamento del ddl per addivenire ad una sua più rapida gestazione.
Il motivo di questa lentezza e del mancato spacchettamento? Parrebbe legato al proponimento di emendare nel ddl le disposizioni per l’istituzione di nuove professioni sanitarie quali quella dell’osteopatia e della chiropratica. La proposta maturata, così come la si legge in taluni emendamenti presentati in commissione, è quella della creazione di 2 nuovi corsi di laurea magistrali a ciclo unico, di 5 anni di durata, per ciascuna delle citate professioni e con relativa abilitazione e collocazione professionale nel comparto. Più un generico percorso di accompagnamento per il riconoscimento tramite l’istituto dell’equipollenza della formazione pregressa maturata in ambito privato.
In Commissione Bilancio, dopo un anno di attesa, tale intento aveva incontrato una bocciatura a causa dei suoi alti oneri per le casse finanziari pubbliche: va ricordato infatti che per legge tutti i corsi di laurea, qualsiasi sia la loro durata, comportano oneri per lo Stato giacché il costo è solo in parte o addirittura per nulla a carico dei discenti. L’opposto quindi di quanto previsto per i corsi universitari post-lauream, rectius i cd. master universitari, che invece sono a totale carico dei discenti, anche laddove abbiano valore abilitante per professioni di estremo interesse sociale come è quella dell’insegnante di scuola secondaria (qui le tasse accademiche per il master arrivano a costare sino a 3.500 euro, anche per il sostegno) oppure anche quando sarebbero finalizzati alla formazione specialistica e a quella sulle nuove competenze in ambito clinico (è il caso dei master specialisti della legge 43/06 nonché dei percorsi formativi previsti dal co. 566 per le professioni sanitarie).
La bocciatura della Commissione Bilancio sull’istituzione di questi 2 nuovi corsi di laurea magistrale anziché però sortire l’effetto fisiologico, cassare cioè tali proponimenti e mandare il testo in aula celermente, non ha fatto altro che acuire lo stallo e la stasi che affligge questo ddl: si susseguono da mesi infatti comunicati e resoconti parlamentari che parlano in seno alla Commissione di accantonamenti e continui rinvii, col risultato che ancora oggi non è stato possibile licenziare il testo.
Cronaca di una morte annunciata quindi, quella del ddl? Per la parte sugli ordini delle professioni sanitarie parrebbe proprio di sì: coi tempi lunghi del bicameralismo perfetto, non bisogna essere dei gufi per vedere poco spazio di riuscita.
Ma il problema politico c’è anche senza il ddl e si trascina da illo tempore, ora più che mai con la fine del finanziamento pubblico ai partiti; e dopo la vicenda dell’istituzione della laurea in medicina romena di Enna, legittima per il Giudice e illegittima per il Miur, impossibile non vedere la questione “formazione sanitaria” che galleggia e lambisce anche la maggioranza: non soltanto per il ruolo agito dal sen.
Crisafulli, del PD, ma anche per l’iscrizione nel registro degli indagati dell’on. Agelino Alfano in merito all’indagine connessa avviata dalla procura di Roma.
Non a caso, se dal Miur chiosano che il titolo accademico di quella laurea non sia valido, nessuna dichiarazione circa il suo reale valore professionale è stata mossa ad oggi dall’altro esponente di NCD al governo, l'on.
Lorenzin, e nemmeno dal suo dicastero. Che sia in atto forse un superamento del sistema del numero chiuso ed un allargamento del baricentro della formazione sanitaria statale a quella privata.
Domanda da non facile risposta, e che trascina dietro di sé certamente tante altre domande, in particolar modo una: può uno Stato demandare la formazione degli insegnanti, anche quelli di sostegno, a percorsi post-universitari a totale carico dei discenti (i cd. TFA da 3000 euro l’uno), come anche quella per le specializzazioni e le nuove competenze delle professioni sanitarie (art. 6 co. 1 legge 43/06 e art. 1 co. 566 legge 190/14), con la motivazione che dalla loro istituzione non devono derivare nuovi oneri finanziari per le casse nazionali, e allo stesso tempo trovare le risorse necessarie per legiferare la creazione di 2 nuovi percorsi di laurea magistrale professionalizzanti i cui costi invece per i discenti, ancorché le scarne evidenze scientifiche a supporto di tali attività, verrebbero coperti totalmente o parzialmente proprio attraverso dei soldi pubblici.
Adriano Bottini
Fisioterapista
13 marzo 2016
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