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Una riflessione sul caso Lombardia

di Dario Valcarenghi

11 MAR - Gentile Direttore,
la scorsa primavera ho partecipato in qualità di moderatore a un convegno organizzato dalla mia Associazione professionale avente come tema il progetto di riordino della Sanità Lombarda e fra i relatori nella seduta del mattino vi era anche Fabio Rizzi in qualità di Presidente della Commissione Sanità Regionale.

Ebbi modo di fare un intervento in cui tra l’altro avevo apprezzato il tentativo, presente nel Progetto di legge regionale, di dare maggiore peso ai dati epidemiologici della popolazione nelle scelte di programmazione sanitaria. Evidenziavo come tale scelta avrebbe potuto evitare (o almeno lo auspicavo) alcuni squilibri del passato che avevano portato a ridondare nell’offerta sanitaria di alcune prestazioni (ad esempio in emodinamica o in cardiochirurgia) a discapito di altre.

La risposta che ebbi dal mio interlocutore è che lui, in caso di problemi alle coronarie, sarebbe andato a farsi fare una coronarografia in Slovenia, perché là esiste un istituto che effettua migliaia di queste pratiche e quindi si presuppone che i loro medici abbiano una manualità migliore rispetto a quella dei colleghi lombardi che esercitino in Centri con una casistica minore. Ho trovato curiosa questa affermazione, anche se certamente non irragionevole, da parte di un importante politico con la responsabilità di migliorare e promuovere la Sanità Lombarda. Al di là dei contenuti mi ha però soprattutto colpito il suo modo di esprimere giudizi forti e a volte trancianti su temi abbastanza complessi e delicati.

Sono consapevole che queste affermazioni possono far parte del folclore dei convegni, ma mi avevano lasciato comunque abbastanza perplesso. Non avevo minimamente pensato allora che, a parte alcune affermazioni troppo forti, ci potessero essere anche comportamenti dal basso profilo etico-legale.
Il pensiero che però spontaneamente mi è sorto, avendo avuto io in passato saltuariamente anche un ruolo di selezionatore di risorse professionali, è che uno così non l’avrei certamente scelto per svolgere un ruolo di elevata responsabilità. Non vi coglievo la disponibilità a voler approfondire i problemi e a ricercare soluzioni per quanto possibile condivise e, oltretutto, su temi così delicati come quelli della salute delle persone.

E quindi arrivo al punto della questione che, forse ingenuamente, vorrei porre alla riflessione attraverso questa mia lettera.

In Regione Lombardia, sono ormai molti anni, con diversi soggetti politici, che questi problemi di pessimi comportamenti etico-legali si presentano con regolarità e si ha quasi la sensazione che essi siano ineliminabili in quanto profondamente radicati nella cultura politica, professionale e civile di molte persone, con e senza ruoli di responsabilità.

Se vi fosse una forte coscienza civile, di attenzione al bene comune, al di là delle appartenenze politiche, questi comportamenti sarebbero esecrati e non sarebbero facilmente perdonati, quantomeno a livello elettorale, a tutte le forze politiche che si mostrassero incapaci di selezionare e porre in ruoli di grande responsabilità persone che siano contemporaneamente competenti, oneste e attente al bene comune.

Purtroppo questo senso civico mi sembra oggi appannato o distratto da altri problemi certamente reali, ma forse anche enfatizzati rispetto al danno potenziale per la comunità. Così come fa più rumore un albero che cade rispetto ad un’intera foresta che cresce, allo stesso modo fanno grande notizia solo alcuni problemi, spesso strumentalizzati politicamente, piuttosto che situazioni di lento ma progressivo deterioramento di un tessuto socio-professionale i cui danni si vedranno solo nel tempo.

Fra gli “autori”, per utilizzare un termine molto caro a Ivan Cavicchi, delle prestazioni sanitarie con cui ho contatti frequenti, percepisco frustrazione e un sentimento di rassegnazione che considero una grave perdita di valore per la nostra Comunità.

Rimango sempre convinto che la competenza e la motivazione, che ancora permane in molti operatori sanitari di qualsiasi famiglia professionale, sia il principale ingrediente per fornire un servizio di qualità alla popolazione. Accogliere, agire con competenza, parlare, condividere decisioni con le persone di cui ci si prende cura porterebbe probabilmente a ridurre anche i contenziosi legali e i costi derivanti da questi. Ma operatori e professionisti stanchi e disillusi tenderanno a proteggersi e a evitare situazioni di rischio, anche quando attuare un intervento rischioso sia necessario per il paziente, come trapelato da alcuni recenti servizi televisivi. Non voglio ovviamente giustificare tale comportamenti, ma possono essere visti come la spia di qualcosa che non va ed un richiamo a ricercare soluzioni che ridiano tranquillità, dignità e orgoglio di essere operatori e professionisti al servizio di una comunità.

Nella perdita di motivazione degli operatori vi è anche una grande perdita di “valore” per il Servizio Sanitario Regionale e Nazionale che purtroppo nessuna analisi economica sembra considerare. Con professionisti che lavorano in condizioni difficili (per i tagli lineari al personale) vi sarà un risparmio finanziario su tali voci ma non sono sicuro che il risparmio lo sia anche a livello di sistema (per più complicazioni, più cause legali, meno salute per la popolazione, emigrazione di professionisti, …). Bisognerebbe integrare la valutazione economica con altre valutazioni di “valore” come guida per le scelte politiche in materia. Ma per questo serve una buona politica, che ritrovi il senso più alto della sua funzione. In passato la Politica mi sembra che a tratti ha saputo esserlo.
 
Quando ho iniziato a lavorare per il SSN, negli ormai lontani anni 80, la cosa che ricordo con maggiore piacere è che si respirava un’aria di sviluppo e di forte tensione a voler creare servizi per la popolazione e spesso senza porsi la domanda sui possibili vantaggi economici personali. Erano gli anni in cui, con il supporto di medici specialisti, come giovani infermieri ci si è presi cura al loro domicilio di persone che ne avevano la necessità (malati di aids, malati oncologici in fase avanzata, anziani non autosufficienti, …). Quella esperienza rimane per me la più ricca e pregnante vissuta a livello professionale ed è stata resa possibile anche per la lungimiranza di alcuni politici del tempo. Quella tensione a mettersi in gioco per fare qualcosa di utile e significativo per le persone assistite è forse la cosa che più mi manca ancora oggi, anche se ora lavoro in un altro contesto sanitario.

A mio avviso, non ha senso continuare a disaggregare e riaccorpare le strutture sanitarie, con la principale risultato di creare una continua instabilità al sistema e incertezza agli operatori che vi lavorano. Il cambiamento che vorrei è quello che, Direttore Generale dopo Direttore Generale, si consolidi la qualità dei servizi di prima linea ai pazienti e non solo che si cambino le carte intestate e gli arredi della Direzione di turno.

Da sei anni sto lavorando in Canton Ticino, una realtà sicuramente con maggiori risorse ma anche con regole che mi sembrano maggiormente attente al bene comune o comunque meglio amministrata. L’Ente Ospedaliero Pubblico in cui lavoro ha avuto un Direttore Generale per circa 20 anni, che ha dovuto gestire un complesso processo di aggregazione e d’integrazione in un’unica realtà sanitaria di diversi ospedali, inizialmente sorti come divisi e dispersi sul territorio Cantonale. Da circa 4 anni vi è un nuovo Direttore Generale, che sta a sua volta gestendo la transizione verso ulteriori e importanti cambiamenti per rendere la sanità ticinese in linea con le future esigenze della popolazione e a costi sostenibili. Vi sono seri problemi anche qui, rispetto ai cambiamenti richiesti, ma non c’è la frequente rotazione di Direttori Generali e fra i professionisti che vi lavorano all’interno non si respira un’area d’instabilità. Su tali scelte, inoltre, la popolazione ticinese è spesso chiamata ad esprimere il proprio parere attraverso una votazione tramite referendum e questo fa molto parte della cultura politica svizzera.

Sarà forse anche solo per l’età, ma sono abbastanza scettico sulla possibilità di grandi cambiamenti etico-culturali in Regione Lombardia, ma forse si potrebbe cominciare a chiedere qualche regola del gioco certa e condivisa dalle varie forze politiche, al di fuori delle solite speculazioni politiche dal fiato corto.

Un primo criterio potrebbe essere quello di ridare vigore al principio di responsabilità. Quando si scoprono situazioni e comportamenti poco etici e di mala-amministrazione si sentono per un po’ di tempo “grida feroci”, che ben presto si affievoliscono e chi si è macchiato di colpe simili viene poi riciclato in altre attività. Tutto quindi apparentemente cambia, ma tutto torna poi come prima o quasi. Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, potrebbe oggi essere benissimo ambientato anche in Regione Lombardia e purtroppo anche in molte altre.

Sarà quindi mai possibile chiedere alle forze politiche che trovino il modo di garantire due apparentemente semplici regole:
• Che i corrotti, una volta provata la loro colpevolezza, vengano esclusi definitivamente da ogni ruolo d’interesse pubblico (hanno avuto la loro occasione e se la sono giocata) e che ne rispondano patrimonialmente in caso di danno alla comunità. In questi casi dovrebbe valere il principio della certezza della pena più che l’entità della pena, come insegnato da un illustre lombardo (Cesare Beccaria) i cui insegnamenti seguiamo molto poco. Se chi commette comportamenti illeciti sa che non sarà poi di fatto punito e non dovrà pagarne le conseguenze rimarrà attaccato al bene pubblico come una zecca. Negli scandali di questi ultimi anni alcuni nomi ritornano sempre.
• Che chi ha affidato a persone incompetenti o disoneste tale potere sul bene comune in qualche modo ne risponda. Se un politico non sa scegliere i suoi più stretti collaboratori, nella migliore delle ipotesi è un incapace e come minimo dovrebbe dimettersi. In altri Paesi, le dimissioni si esigono anche per molto meno.

Per evitare strumentalizzazioni politiche, che alla fine vanificherebbero il risultato di fare regole chiare e certe nell’interesse di tutti, sarebbe il caso di richiedere un impegno ad applicarle a partire dalla prossima legislatura e per chiunque governi. Le regole servono a garantire il libero confronto fra diverse soluzioni a comuni problemi e non a colpire l’avversario del momento. Mi auguro che prima o poi riusciremo a diventare un Paese quasi normale. Lasciatemi almeno questo speranza da cittadino italiano.

Dario Valcarenghi
Infermiere ricercatore, Canton Ticino, Svizzera 

11 marzo 2016
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