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Caro Naldoni, ecco perché resto scettico sulla riforma toscana

di Carlo Palermo

24 MAR - Gentile Direttore,
ovviamente non pretendo che il Consigliere Simone Naldoni, che ringrazio per il commento al mio articolo del 18 marzo, conosca la storia del dibattito interno all’Anaao Assomed e delle proposte che abbiamo avanzato negli anni, ma è doveroso ricordare come la problematica del ruolo dei Comuni in sanità e dell’integrazione a livello di zona/distretto delle attività sociali e sanitarie sia rinvenibile nei documenti congressuali dell’associazione fin dal 2002, ripresa ed elaborata progressivamente fino alle tesi congressuali del 2014, pubblicate anche su QS.
 
Le tesi del 2006 rappresentano, forse, il punto più maturo di elaborazione. Allora scrivevamo: “Appare opportuno anche nel settore socio-sanitario mettere in campo una programmazione ed un governo integrato delle funzioni che fanno capo a due diversi comparti istituzionali (SSR e Comuni)”. Ci siamo, però, sempre schierati contro l’introduzione di logiche gestionali separate e a proposito delle Società della Salute affermavamo: “Anche la creazione di nuovi soggetti come le Società della Salute per governare le politiche del territorio rischia di determinare un passaggio da una programmazione e gestione unica del SSR ad un sistema basato sulla concertazione tra soggetti diversi sotto il profilo giuridico (SdS e Azienda USL).L’introduzione di logiche di gestione diverse potrebbe determinare una rottura trasversale tra Ospedale e Territorio. La frammentazione del ciclo assistenziale potrebbe quindi avere effetti negativi sul “prodotto” salute in termini di qualità e costi”.
 
Nel mio lavoro, anche per motivi di spazio, ho solo tratteggiato questi argomenti. Ho cercato, piuttosto, di prospettare, in epoca in cui il gigantismo istituzionale sembra la soluzione per tutti i mali in campo sanitario, una governance della sanità che tenesse conto di ambiti territoriali nei quali i problemi siano rilevanti e le soluzioni organizzative pertinenti, proponendo l’azienda sanitaria locale con bacino di utenza provinciale come struttura di dimensioni adeguate per programmare e gestire le attività di I° livello (prevenzione, medicina di base, attività distrettuali) e di II° livello (attività ospedaliere diffuse), destinando l’alta specializzazione, l’adozione di investimenti di rilevante entità e, comunque, l’avvio di attività che comportino l’uso di tecnologie ad alto costo ed elevata complessità organizzativa, ad una programmazione di area vasta. I Comuni sono conseguentemente individuati come istituzioni centrali nella programmazione e valutazione non solo delle attività della zona/distretto ma anche delle attività ospedaliere diffuse. Ne deriva un modello orientato sulla comunità locale, con la Regione, quale ente di livello superiore, che svolge soltanto una funzione di programmazione generale, di indirizzo e coordinamento.
 
Nella nuova Legge 28/2015 concernente il riordino del sistema sanitario della Toscana, ciò che preoccupa, oltre al gigantismo istituzionale già trattato e criticato nel precedente scritto, è la separazione tra rete ospedaliera e territorio che in tutta evidenza emerge dalla lettura dell’articolato. Se, da un lato, il ruolo delle 34 zone/distretto nelle politiche di integrazione socio-sanitaria è mantenuto e per certi versi esaltato (peraltro “all’ultimo tuffo” visto che il relativo emendamento è stato presentato solo una settimana prima dell’approvazione in Consiglio), dall’altro il controllo delle attività della rete ospedaliera viene portato in luoghi distanti e lontani da quelli dove si esercita la cittadinanza e dove nascono e si esprimono i bisogni.
 
Secondo la Legge, l’organismo di controllo degli ospedali è costituito a livello di area vasta dai direttori generali dell’azienda sanitaria unica e dell’azienda ospedaliero-universitaria e dai coordinatori dei dipartimenti interaziendali (con larga prevalenza della componente universitaria?), nominati dal direttore della programmazione di area vasta, a sua volta nominato dal Presidente della Giunta regionale. Ai lavori di questo comitato partecipano un rappresentante per ogni dipartimento universitario medico (rieccoci!), costituito ai sensi della legge 240/2010, e un rappresentante dei responsabili di zona/distretto, quest’ultimo con scarsa possibilità di incidere in un organismo così composito. Siamo di fronte ad una verticalizzazione del governo della rete ospedaliera, all’adozione di una catena di comando sempre più corta e allineata. L’intento, più o meno dichiarato, è quello della forte limitazione dell’autonomia dei professionisti nei territori e della riduzione della nostra ricchezza umana e professionale a puro fattore produttivo da tagliare magari per puntare, in un futuro prossimo, a una mano d’opera a basso costo e con scarsa professionalità. Sembra quasi che l’implementazione delle nuove conoscenze scientifiche, degli sviluppi tecnologici e dei nuovi modelli organizzativi portata faticosamente avanti dal mondo ospedaliero pubblico negli ultimi 15 anni e che ha fatto grande la sanità toscana, rappresenti la causa principale dei problemi economici che il sistema sanitario regionale deve oggi affrontare.
 
Dobbiamo rassegnarci al trionfo delle riorganizzazioni stile Toyota e al task shifting che svilisce i valori economici e culturali della professione? Dopo anni in cui molto è andato perso, ma anche sperperato, la nostra categoria deve riprendere il cammino verso la riscoperta dell’identità e del futuro della professione che dà sostanza ad un diritto costituzionale dei cittadini. Recuperando l’autorità sul lavoro e costruendo le condizioni di una riscossa che rivaluti un capitale umano che oggi vale meno dei titoli greci. Certamente non saranno altri a farlo per noi.
 
Per quanto attiene la governance del sistema, rimaniamo convinti che l’azienda sanitaria locale, con articolazione territoriale provinciale per poter svolgere in modo efficiente, ordinato e controllabile le proprie funzioni gestionali, deve poter assicurare la unitarietà del sistema di cura e assistenza attraverso l’indirizzo e il coordinamento delle diverse zone/distretto afferenti e la programmazione e gestione del presidio ospedaliero provinciale, costituito anche da più stabilimenti, assicurando, in questo modo, equità di accesso alle prestazioni, livelli uniformi ed essenziali di assistenza, sostenibilità economica, erogando le prestazioni sanitarie tramite strutture che ricadono sotto il proprio controllo e non in mano a tecnocrati e “poteri forti” autoreferenziali, che, in genere, perseguono obiettivi non sempre collimanti con le esigenze delle popolazioni che vivono nei territori.
 
Siamo nel pieno di una transizione demografica ed epidemiologica, i pazienti sono sempre più anziani, pluri-patologici, disabili, fragili socialmente e complessi, non solo dal punto di vista clinico ma anche gestionale e terapeutico. Il trattamento richiede una presa in carico globale del paziente con una forte integrazione tra risorse ospedaliere e territoriali. La riorganizzazione degli ambiti ospedalieri e territoriali a oggi non è ancora riuscita a realizzare la continuità della cura. Abbiamo bisogno di “ponti” per permettere a due rive opposte di poter comunicare nell’ottica di una cura centrata sulle esigenze del paziente e di una filosofia organizzativa a intensità di cura transmurale (vedi in proposito il recente lavoro di Anaao Giovani “L’ospedale del futuro”).
 
Siamo sicuri che la concentrazione delle attuali 12 aziende USL in 3 aziende sanitarie di area vasta, essenzialmente destinate alla gestione della rete ospedaliera e, nel contempo, la loro frammentazione in 34 zone/distretto rappresenti la soluzione organizzativa migliore per questi problemi? E l’annunciato esubero dei dipendenti per recuperare 100 milioni di euro tra il 2015 e il 2016, traducibile per i medici dipendenti in un calo delle dotazioni organiche tra il 10% e il 15%, non rischia di provocare una coartazione del perimetro dei servizi sanitari che vengono erogati ai cittadini, finendo per favorire l’intermediazione finanziaria nel settore della diagnostica ambulatoriale e della specialistica? Ma forse è questa la nuova “integrazione” ospedale/territorio che noi “conservatori” ci ostiniamo a non comprendere.
 
Carlo Palermo
Vice Segretario Nazionale Vicario Anaao Assomed

24 marzo 2015
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