Se la privacy diventa “talebana”
di Francesco Buono
13 MAR -
Gentile Direttore,
leggo con vivo interesse
le dichiarazioni del Collega Dott. Francesco Gabbrielli in tema di privacy, tematica attualmente al crocevia tra diritto del singolo alla riservatezza ed obiettive esigenze di funzionalità delle organizzazioni, in particolare di quelle sanitarie. Lo spunto delle iniziative regionali trae origine dall'ambiente ospedaliero, ma credo che la problematica nel suo insieme investa il "pianeta sanità" nella sua interezza ed esiga che a considerazioni di carattere eminentemente filosofico ed etico, a buon diritto coinvolte in un'analisi seria e priva di pregiudizi, si affianchi una riflessione a tutto campo che, nel considerare la Società nella sue reali dimensioni e non in quelle che vorremmo fossero, dia il giusto peso a tutti gli interessi in gioco ed abbandoni dogmi e soluzioni preconfezionate che, a mio avviso, nell'argomento in questione hanno portato ad una pericolosa situazione di stallo che può e deve essere superata nell'interesse di tutti.
Pochi come i medici sono sensibili alla tutela dei dati dei propri pazienti, essendo da sempre custodi del "segreto professionale" che, in tema di riservatezza, costituisce per essi il "piatto forte"da sempre (anche se i tanti puristi della privacy inorridiranno se confondo questa con quello, ma secondo me è importante "fare a capirsi"): ma nei loro confronti si assiste da anni ad un progressivo incremento di carichi burocratici, in tema appunto di privacy, tali da oltrepassare il grottesco e rasentare finanche il ridicolo senza che ciò sia giustificato da lesioni del suddetto diritto deliberatamente perseguite e numericamente rilevanti nè da proteste degli aventi diritto, che - forse - è arrivato il momento di dire che sono i cittadini/pazienti. Si è progressivamente realizzata una deriva estremistica che fa pensare - e molto - sull'identificazione dei reali "stakeholders", atteso che ad oggi non si è avuto modo di vedere alcun movimento di massa a livello sociale paragonabile ad altri che, nel "secolo breve" ed oltre, hanno fatto sentire la loro voce in tema di diritti civili e non. Una volta si sentive dir male della consuetudine di identificare i pazienti con il numero del letto poichè erano "persone", oggi il politically correct ci impone di chiamarli per numero...questione di epoche storiche - si dirà - ma non si può certo fare a meno di sorridere dinanzi a queste mutevolezze di certo non imputabili alla sola fuggevolezza delle mode.
Il nipotino che va per la ventesima volta dal medico di famiglia per ricevere la solita ripetizione del solito farmaco per il nonno, affetto da una malattia dalla quale non si può guarire ma ci si deve accontentare di una gestione cronica, deve oggi avere una delega scritta del medesimo per avere la ricetta in busta chiusa direttamente dalle mani del medico, guai a lasciarla in Sala d'Attesa anche se il titolare del diritto è d'accordo, e per tale motivo, se magari capita in studio un lunedì affollato di presenze (possono essere 40 e più, ma chi fa le leggi forse non lo sa, si avvale di altri terapeuti se ha bisogno...), può attendere anche un'ora e mezzo prima di entrare: stesso discorso per la badante (almeno per chi se la può permettere), che deve lasciare solo chi è bisognoso della sua assistenza per adempiere ad uno sterile ed immotivato rituale, per non parlare di un indigente che non può avere un aiuto strutturato perchè le sue finanze non glielo consentono, e di certo con sempre crescente difficoltà può ricorrere a quello saltuario di parenti od amici che è raro possano stanziare tanto tempo per un atto per il quale sarebbero necessari solo pochi secondi.
Tutto ciò in nome di un giusto principio - quello della riservatezza - applicato però in modo oserei dire "fondamentalistico", "talebano", che non tiene minimamente conto che benchè importante è solo uno dei diritti delle persone, soprattutto di quelle più sofferenti. E soprattutto che dovrebbe essere un diritto disponibile del singolo avente diritto, non una norma imposta, in spregio alle più elementari norme di logica e buonsenso, anche se esso stesso vi rinuncia in nome di altri benefici. Si potrebbe dire che "vox populi, vox Dei" a giustificazione di una siffatta impostazione: ma se si vive sulla Terra, e non sulla Luna, ci si accorge che oltre il 99% dei pazienti non ha alcun interesse a tale gestione dei suoi dati, oltretutto molti di essi guardano con sorpresa (e magari con sospetto) il proprio medico il quale, dopo aver ricevuto copia della scelta effettuata in suo favore, gli chiede il consenso a...registrare i suoi estremi che già gli sono stati comunicati dalla ASL, e per il trattamento dei quali è obbligato per via contrattuale, essendo obbligatoria (e retribuita) tale attività nell'Accordo Collettivo Nazionale! Se poi si avanza la proposta di fare almeno sottoscrivere il famoso consenso nel momento in cui allo sportello si sceglie il medico, in modo da ottimizzare tempi e procedure, si viene guardati come animali strani (oltre che inguaribilmente ignoranti) perchè siccome la legge individua come redattore e tenutario delle scritture colui che è definito Titolare nella stessa, ciò non è possibile presso la ASL ma deve avvenire presso lo stduio del medico, pena la disfatta con ignominia dello Stato dal confronto con i "Paesi civili"...
Il livello di sostenibilità del Moloch burocratico costituito da tale normazione eccessiva ed inattuale è stato ampiamente superato, per cui va a mio avviso vista con favore l'iniziativa dell'Assessore altoatesino Stocker nel dover individuare nel silenzio/assenso, da molti "ortodossi della burocrazia" considerato contrario all'ordinamento dello Stato (!), l'unico rimedio in grado, grazie all'inerzia di noi tutti che dal 1996 in poi abbiamo permesso che prendesse piede e si consolidasse tale insieme di norme, di riportare la questione sul piano della ragionevolezza e del buonsenso. Rimedio forse non "ideale" in senso assoluto in Paesi dove il tasso di litigiosità ed il numero degli avvocati rientra in ambiti "normali", ma al momento attuale necessario nel nostro Paese dove il persistere della crisi, la ricerca di ammortizzatori sociali sempre più affannosa e destinata al fallimento e la ricerca di risorse a vari livelli spingono verso l'esasperazione della responsabilità civile dei medici e le vaste praterie che si aprono con i prevedibili contenziosi in tema appunto di consenso informato e di privacy, ove - come è noto - non esistono modelli inattaccabili (o troppo semplici o troppo complessi, o troppo specialistici o troppo generici, o con poche spiegazioni o con un eccesso di esse non idoneo a persone con basso livello culturale, ecc. ecc.) ed il ricorso a meccanismi semplificativi (ad esempio la biffatura di caselline ove si individua informaticamente l'avvenuta informativa ed il relativo consenso che viene data come procedura alternativa) è in pratica vanificato dal mancato chiarimento esplicito su chi prevale in caso di discordanza, da cui la necessità di ricorrere a quintali di carte per documentare il tutto...
Insomma, se la cultura della ragionevolezza non si afferma nelle varie espressioni del vivere civile, di cui gli istituti normativi sono l'espressione regolatoria, le uniche strade praticabili sono il cambiamento delle stesse o la pratica dell'illegalità diffusa e sotterranea, e non essendo etico nè attuare nè consigliare la seconda, non resta che la prima. Se la stragrande maggioranza degli Assistiti non ha in alcuna considerazione questo florilegio normativo vuoto e privo di senso, ebbene elementari considerazioni di logica ma anche di democrazia vorrebbero che la minoranza venisse certamente tutelata nei suoi diritti, ma per effetto di un suo atto positivo di volontà a fronte di una routine che, se non esplicitamente interrotta da questo, dovrebbe seguire il volere di chi numericamente prevale.
Ed il silenzio/assenso garantirebbe in effetti entrambe le esigenze.
Francesco Buono
Medico di Medicina Generale, Roma
13 marzo 2015
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