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Privacy sì, privacy no. Non si può liquidare la questione con un click

di Francesco Gabbrielli

10 MAR - Gentile Direttore,
sono un chirurgo ospedaliero, lavoro al Policlinico Umberto I di Roma e mi occupo di europrogettazione in medicina e chirurgia telematica. Ho letto con interesse della proposta avanzata da alcune regioni e province autonome, sostenuta anche da un'associazione di cittadini della regione Toscana, di introdurre la regola del silenzio-assenso al trattamento dei propri dati sanitari e le relative risposte della Società Italiana di Telemedicina e dell'Autorità Garante della Privacy.
 
Ritengo che la questione privacy, nella gestione dei nostri dati personali, quando abbiamo la sfortuna di diventare pazienti, vada affrontata da chi ha le competenze per farlo.
 
Il Friuli Venezia Giulia, le province autonome di Trento e Bolzano, e la stessa regione Toscana, non sono certo territori che si possono considerare arretrati nel processo di digitalizzazione della sanità. Se da tali aree giungono dei segnali di disagio nei confronti di un problema reale (tutelare la privacy e allo stesso tempo far circolare le informazioni necessarie, in tempo utile per le necessità cliniche, per il tempo necessario, a tutti coloro che sono titolati ad usarle per la cura e l’assistenza), significa che c'è bisogno di chiarire bene cosa occorre fare e di chi sono le responsabilità nel trattamento dei dati.
 
Ascoltando o leggendo chi ha competenze professionali in materia, documentate e non autoreferenziate, i principi normativi, e le disposizioni operative conseguenti, risultano chiarissimi. Il problema non appare risiedere nelle norme, né in  quella italiana né quella comunitaria, ma nella loro applicazione.
Inoltre, se chi le deve applicare non le ha chiare, come può spiegarne il senso ai cittadini ed agli stessi operatori sanitari che le devono utilizzare?
 
La “troppa privacy” è un concetto che non ha fondamento scientifico, né, tanto meno, giuridico.
E’ una reazione non mutuata da competenze specifiche destinata a generare problemi di sicurezza, sia in senso clinico sia nel senso della difesa della riservatezza (e quindi del rapporto medico-paziente su cui esso si basa). Allo stesso modo la reazione di negazione, quasi una rimozione (in senso psicopatologico del termine), dell’esistenza di una problematica da gestire non secondaria e non banale, è anch’essa destinata a creare rischi in tema di sicurezza dei pazienti.
 
Sarebbe però un errore liquidare la necessità di simili reazioni come irrazionalità di singole persone. Si tratta di qualcosa di più importante e profondo. Si tratta di “schizofrenia istituzionale”, che origina, a mio parere, dall'affannosa difesa di rendite di posizioni nella macchina burocratica dell’amministrazione pubblica, alimentate poi da commenti superficiali, molti dei quali dati con un click frettoloso, alla stregua di un banale "mi piace".
Questo è verosimilmente il punto più difficile da affrontare in termini scientifici e professionali: come costruire un sistema che sia efficace per la cura e l’assistenza senza che il processo di digitalizzazione si trasformi in un processo di tele-burocratizzazione, senza che il rispetto di norme e procedure, certamente conciliabili sul piano tecnologico, serva per giustificare una nuova burocrazia telematica ?
Qui, a mio modo di vedere, si intrecciano problematiche di natura diversissima: giuridica, clinica, deontologica, etica, amministrativa e persino di visione politica a ben vedere.
 
Un punto difficile e complesso da affrontare che richiede l’ascolto delle competenze professionali di chi vive nella propria quotidianità l’applicazione dei sistemi software e organizzativi per l’erogazione dei servizi sanitari, lo studio serio dei dati di realtà con metodo scientifico, la coerenza dei comportamenti di chi ha ruoli istituzionali.
               
Ecco perché serve informazione e formazione. Prima di tutto verso chi ha delle responsabilità pubbliche (politici, amministratori, gestori, medici, tecnici, ecc.).
Da questo lavoro di conoscenza può poi discendere una condivisione delle scelte che a sua volta generi soluzioni locali ma compatibili con un sistema sanitario di tutto il Paese.
La passerella di opinioni regionali, provinciali, comunali, aziendali, non basate sull’evidenza scientifica, non servono a costruire un sistema sanitario più efficace e più efficiente.
 
A tal proposito, ed in modo del tutto parziale, sollecito alcune riflessioni sull'istituendo FSE, da costoro ritenuto la "panacea" ditutta la sanità passata, presente e futura di tutta la popolazione italiana:
1) Qualità dei dati raccolti: le ultime evidenze pubblicate in letteratura internazionale ci dicono che i pazienti in ospedale rivelano solo il 20-30 % delle informazioni potenzialmente utili. I metodi di raccolta dati non seguono mai i criteri prescritti dalla metodologia clinica e le anamnesi sono modestissime, lo scambio dati tra reparti o ospedali è minimo e non codificato (e tanto meno standardizzato). I pazienti tacciono spesso molte informazioni per timore, per "ignoranza" e anche per riserbo o solo perché non le ricordano o non le ritengono importanti. Insomma la qualità dei dati per cui tanto ci affanniamo a voler condividere e a far circolare, alla fin fine è molto modesta e su questo c'è una vastissima letteratura al riguardo; insomma non basta condividere un'anamnesi, raccolta da medici diversi, per diventare "de facto" il medico curante di quel determinato paziente!
 
2) Obsolescenza delle informazioni: Vinton Gray Cerf, universalmente riconosciuto come uno dei "padri di Internet" insieme a Bob Kahn, con cui inventò il protocollo TCP/IP, ed attuale Vice Presidente di Google, ha lanciato un micidiale allarme durante la recente annuale conferenza dell'American Association for the Advancement of Science, dove, papale, papale ha detto: "Il nostro secolo rischia di trasformarsi, a causa della non corretta gestione dei dati digitali, in un enorme buco nero della storia... E' assai probabile che standard e formati oggi comuni, muoiano, rendendo impossibile l'accesso ai documenti nel futuro... Quanti di noi non sono riusciti a leggere la tesi di laurea scritta con un word procesor che non è più sul mercato ?.... Se avete foto e file a cui tenete molto, stampateli!.. Nel futuro chi si farà domande su di noi avrà enormi difficoltà a trovare delle risposte...". E noi avremmo la pretesa di costruire un fascicolo che contenga la storia clinica di tutta la vita degli individui, se già dopo 3-5 anni avremo enormi difficoltà a consultarlo? Ma perché ci si innamora delle proprie idee, senza prima riflettere? Ed ha senso consultare una scheda di dimissione ospedaliera magari vecchia di 10 anni?
 
E da queste ultime osservazioni origina un concetto a corollario del ragionamento appena svolto: l’interoperabilità dei sistemi non va ricercata nella tecnologia, ma nelle logiche organizzative con cui si costruiscono i servizi sanitari che usano strumenti digitali. L’autonomia delle amministrazioni locali deve trovare un limite nell’autodeterminazione dei cittadini a curarsi in luoghi differenti, da medici diversi, potendo contare sulla proprietà dei propri dati sanitari e sulla loro utilizzabilità ovunque.
 
Il problema, lo sappiamo tutti benissimo, compresi i proponenti, non risiede nella normativa privacy, ma nell'inadeguatezza delle procedure e dei software, non standardizzati e che non dialogano tra di loro neanche all'interno dello stesso ospedale o struttura sanitaria, né, tanto meno “privacy by design” come l'attuale normativa comunitaria invece prescrive. Una corretta raccolta ed informatizzazione del consenso privacy permette di lavorare su dati maggiormente corretti e correttamente limitati, rispettando i principi di coerenza temporale, pertinenza, necessità e non eccedenza prescritti, riducendo quindi il rischio clinico. L’affermare che vi sono sistemi informativi che non consentono di far ciò significa, di riflesso, ammettere che sono sistemi inadeguati e che i dati trattati non sono sufficientemente garantiti, il che significa un aumento del rischio clinico, non una sua riduzione!
 
 
In conclusione, caro Direttore, le problematiche sopra esposte sono troppo serie, a mio parere, per essere discusse e magari liquidate con un click su “mi piace” o “non mi piace”, in quanto è in gioco la sicurezza dei nostri pazienti.
 
Siamo disponibili al dialogo ed al confronto, come già detto dal Segretario generale Giancarmine Russo: rinnovo pertanto l'invito ai proponenti di partecipare al nostro 5° Congresso nazionale programmato a Roma per il 14-15-16 aprile, in un clima costruttivo e di collaborazione, basato però sulle evidenze scientifiche e sul rispetto delle norme e delle leggi vigenti anche in ambito comunitario.
 
               
Francesco Gabbrielli
Dirigente Medico Chirurgo, Dipartimento di Chirurgia Generale “P. Stefanini”, Umberto I Policlinico di Roma
Responsabile TeleMedicine EuroProject Group – SIT, Società Italiana Telemedicina e sanità elettronica

10 marzo 2015
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