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Il fallimento del Lazio. Non ci sono più scuse

di Roberto Polillo

02 DIC - Gentile direttore,
la relazione della Corte dei Conti sulla Regione Lazio ha il valore euristico di un referto necroscopico. Il corpo  malato della Regione è morto, affogato dai debiti,  e a questo esito infausto hanno attivamente contribuito tutti coloro che hanno amministrato la Regione negli ultimi decenni. Le denuncie più volte lanciate dai media non erano il frutto perverso di professionisti dello scandalo o di guastafeste insoddisfatti;  erano la semplice verità e questo dato è ora certificato, bollinato per usare un termine ministeriale,  dalla massima autorità di controllo sugli atti regionali.
Inevitabile e scontata la dichiarazione smiling del Presidente Zingaretti  “abbiamo ereditato una situazione drammatica” e questo è vero. Peccato però che il  refrain “ma che colpa abbiamo noi” di una celebre canzone degli anni ‘60 non è applicabile alla politica, dove la continuità e l’appartenenza a un partito che comunque ha amministrato la Regione comporta inevitabilmente una corresponsabilità  da cui è difficile sottrarsi con le sole parole.
 
E i fatti della Regione Lazio sono pochi per non dire assenti. Anzi è di pochi giorni fa la denuncia di Radio 24 che il costo per la sorveglianza della Regione Lazio sarebbe 5 volte superiore a quella della Regione Lombardia, mentre altre nubi si addensano sulle spese di alcuni consiglieri del PD della precedente legislatura, secondo quanto riportato alcuni gioni fa da diversi quotidiani che informano su indagini in corso della Guardia di Finanza su mandato della Procura di Rieti. 
 
Si delinea dunque un quadro preciso. Non sono le Province la fonte di sprechi da mondare  attraverso la loro abolizione. La verità è che sono le regioni le massime responsabili, molto più delle funzioni centrali dello Stato, dello sfascio in cui versa la PA.  La devoluzione di potere alle regioni ha fatto si che un esercito di consiglieri regionali con corte di nani e ballerine a loro seguito, abbiano potuto godere senza controllo alcuno di risorse pubbliche per soddisfare le loro personali esigenze con quel tocco di volgarità (vedi l’acquisto di lingerie, giochini per i figli, cravatte e altre utilities) che caratterizza gli arroganti certi della loro impunità.
 
Il vero fallimento della Regione Lazio (in buona compagnia con le altre come il Piemonte) non è il defalut finanziario, certamente gravissimo, ma il fallimento morale di una intera classe politica da cui Zingaretti se vuole smarcarsi, deve pubblicamente prendere le distanze.
Dalla crisi della Regione Lazio si esce solo con la discontinuità, cominciando a vedere la trave nel proprio occhio e non soltanto indicando quella degli altri. Servirebbe una generazione di uomini nuovi. Non per una improbabile palingenesi ma perché conosciamo la forza delle reti e dei reticoli che  ingabbiano le elites politiche. Quelle oligarchie autoreferenziali ferocemente attaccate al potere  che dal consociativismo e dalle sue pratiche di esclusione   traggono il carburante indispensabile per assicurarsi un livello di benessere e di status a cui mai avrebbero potuto aspirare per meriti personali. La politica come investimento a lungo periodo, non più  servizio, ma mestiere e mezzo di autopromozione sociale in cui le utilities sono privatizzate e i costi di esercizio sono scaricati impudicamente sulla comunità.
 
E’ questo il quadro desolante della politica italiana e mentre la nave affonda l’orchestrina ripete  la sua consueta  marcetta roboante di buoni propositi. Ma il materiale sonoro è sempre più vile, l’armonia più misera e scontata, e l’orecchio ormai stanco di ascoltarla.
 
Roberto Polillo

02 dicembre 2013
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