Gentile Direttore,
credo che sia doveroso tornare ancora sulla questione delle aggressioni, occupandosi specificamente di quelle in ambito psichiatrico, dove di fatto nessuno dei provvedimenti che si stanno prendendo avrà la minima efficacia.
Sappiamo infatti che l’inasprimento delle pene non avrà alcun valore in questo ambito e per due semplici motivi: tenere presente questa minaccia non costituirà alcun deterrente per situazioni di acuto malessere in cui gli aspetti di conoscenza razionale non rappresentano alcun argine; e il riconoscimento di una condizione di malessere renderà non imputabili la gran parte degli autori delle aggressioni.
Altre iniziative sono ugualmente prive di efficacia. Le cosiddette pratiche di de-escalation, che ormai riempiono documenti e procedure, costituiscono in realtà una galassia non omogenea, dove nessuna ha avuto prove di efficacia nell’evitare aggressioni. Pulsanti di allarme e protocolli con la Forza Pubblica (ove esistono) richiedono tempi di intervento che non garantiscono, se non in modo molto parziale, l’operatore. I corsi di autodifesa sono un fallimento etico e professionale, nel momento in cui affermano che all’operatore non basta avere una formazione clinica ma deve avere anche quella in arti marziali, oltre a dare la fragile illusione di governare fisicamente una situazione con qualche lezione su pugni e strangolamenti. Ci manca solo che nei prossimi concorsi in psichiatria venga richiesta una qualche cintura nera in arti marziali fra i criteri di ammissione.
Di fatto però ora le amministrazioni si sentono assolte nei loro compiti di tutelare gli operatori piazzando qualche pulsante rosso, un paio di telecamere e formulando corsi utili solo per dire ai giornali che si sta facendo qualcosa. Mentre ci sono alcuni aspetti che avrebbero valore preventivo sulle aggressioni e sulle loro conseguenze che di fatto non vengono attuati, perché richiedono pensiero e risorse.
Nel 1838 Esquirol segnalava che nella sua clinica psichiatrica non c’erano mai stati episodi di violenza e se vi era agitazione bastava ricorrere a due, tre gocce di acqua fredda sulla nuca. Precisa anche però che ogni paziente aveva un operatore specificamente dedicato per tutte le 24 ore. Quasi un secolo or sono si gestivano gli episodi di violenza in ambito psichiatrico molto meglio di quanto si faccia oggi.
La questione del personale è un problema importante, soprattutto considerando che molti servizi psichiatrici ospedalieri hanno dotazioni ridicole, sia di giorno sia specialmente nelle ore notturne, totalmente inadeguate non solo a gestire la situazione di aggressione quando si verifica, ma soprattutto quella presenza ed attenzione al singolo paziente che previene o prevede l’innescarsi della violenza.
Occorre poi tenere conto di come in taluni Pronto Soccorso il consulente psichiatra svolge la sua attività in spazi raffazzonati e non idonei, per disposizione interna dell’arredamento o materiali presenti, a consulenze che possono rivelarsi rischiose, e senza che sia lì direttamente presente ulteriore personale a supporto. Molti Centri di Salute mentale riescono ad assicurare un orario di apertura dignitoso solo affidandosi per ore a ad un paio di operatori abbandonati nel nulla che spesso possono contare solo telefonicamente sul supporto del medico.
Quanto al fatto che solo adeguate risorse costituiscono la base necessaria per seguire i pazienti sul territorio, prevenendo o gestendo sul nascere eventuali riacutizzazioni prima di crisi ingestibili, si è ampiamente detto. Purtroppo i dati SISM circa le riammissioni a 7 e 30 giorni, la percentuale dei pazienti dimessi che ottiene una visita ai CSM entro 14 giorni ed il tasso di richieste di interventi al Pronto Soccorso per problemi psichiatrici, mostrano solo un progressivo peggioramento nel tempo proprio di questa capacità della psichiatria territoriale nel gestire le acuzie. Ma oramai i dati servono solo come impersonale testimonianza di una progressiva demolizione dei servizi di salute mentale, senza avere mai avuto alcuna conseguenza propositiva o progettuale.
Concludendo: in ambito di sicurezza per gli operatori della psichiatria ciò che è inutile viene fatto ampiamente, di ciò che è utile nessuno si occupa. Poi ci si sorprende che una parte dei posti in specializzazione di psichiatra non sia coperta e molti colleghi vadano a fare attività privata.
Andrea Angelozzi