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La lotta agli sprechi nel Ssn: se non ora quando?

di Claudio Maria Maffei

29 OTT -

Gentile direttore,
in un Ssn che ha fame di risorse, innanzitutto per una politica del personale degna di questo nome, sembrerebbe logico chiedersi se non ci siano misure in grado di ridurre a breve termine gli sprechi e di ridurne il peso anche in prospettiva. In realtà a chiederselo nel dibattito corrente sulla crisi non sono in tanti, tra questi c’è Gilberto Turati che di recente in suo intervento ha scritto a proposito del sottofinanziamento che il vero problema è un altro e continua a rimanere inevaso nel dibattito politico, a destra come a sinistra: come spendiamo i 136,5 miliardi di euro del Fondo sanitario 2025, che – almeno sulla carta – dovrebbero garantire i livelli essenziali di assistenza in tutte le regioni. L’intervento di Turati poi si conclude con una frase sulla mancata applicazione del DM 70/2015 sugli standard per l’assistenza ospedaliera che è miele per le mie orecchie: “Le scelte su come ristrutturare la rete dei servizi, ridefinendo il peso relativo di ospedale e territorio, avrebbero inevitabili conseguenze distributive tra i principali attori del sistema (medici ospedalieri, medici del territorio, infermieri e altre figure professionali) e scardinerebbero uno status quo ormai palesemente inefficiente. Sarebbe importante che la politica prima discutesse su tali questioni e solo dopo sulle risorse complessive destinate al Ssn.” Andando dietro a Turati, in questo intervento cercherò di fornire un quadro di riferimento per la riduzione negli sprechi nel Ssn.

Come viene affrontata la riduzione degli sprechi nel Ssn: un po’ di storia

Qui non parlerò delle misure previste nelle varie spending review in tema di sanità per le quali rimando ad una pagina dedicata nel sito della Camera dei Deputati aggiornata al 14 gennaio 2022, ma parlerò di come la lotta agli sprechi sia stata inquadrata da chi si occupa di politica sanitaria nel nostro Paese e di come sia stata trattata a livello istituzionale.

Non si può non partire dal lavoro di Nino Cartabellotta e di Gimbe che nel 2013 proponevano in un intervento una tassonomia degli sprechi che poi hanno fatto confluire nei periodici rapporti GIMBE a partire dal primo sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale 2016-2025 per arrivare all’ultimo, il settimo, appena pubblicato. La tassonomia proposta da GIMBE articola gli sprechi in sei categorie: sovra-utilizzo, sotto-utilizzo, inadeguato coordinamento dell’assistenza, acquisto a costi eccessivi, inefficienze amministrative, frodi e abusi. Questa tassonomia viene ripresa da un lavoro di Donald M. Berwick (citatissimo) e di Andrew D. Hackbarth (che nessuno si fila), pubblicato su Jama nel 2012. Il primo Rapporto GIMBE fa una trattazione corposa del tema nel terzo capitolo alla cui lettura si rimanda perché di fatto mantiene inalterata la sua validità. In questo rapporto c’è anche la definizione che dà GIMBE di spreco: “gli sprechi sono generati da attività che consumano risorse senza generare value, secondo la definizione dell’ingegnere Taiichi Ohno, padre del sistema di produzione della Toyota. Di conseguenza, se in sanità il value risulta dal rapporto tra outcome clinici per il paziente e i costi sostenuti, tutte le attività che non migliorano lo stato di salute delle persone generano sprechi, anche se la loro esistenza è motivata da nobili motivazioni (occupazione, qualità percepita, etc.)”. Purtroppo questi giorni il nome Toyota risuona tragico nel nostro Paese, ma l’approccio Toyota alla qualità ha avuto una enorme ricaduta anche nel mondo sanitario. Poco più avanti lo stesso Rapporto GIMBE riporta anche la definizione di “disinvestimento” definito come: “recupero (parziale o completo) di risorse in ambito sanitario da qualunque pratica, procedura, tecnologia o farmaco che rispetto al costo determina un guadagno di salute minimo o nullo, consumando risorse che possono essere riallocate”. Il Rapporto stimava un impatto degli sprechi pari ad oltre il 20% della spesa sanitaria pubblica.

Il limite dell’approccio GIMBE, comunque pionieristico a suo tempo e utile a tutt’oggi, è quello di concentrare l’attenzione sugli aspetti clinici e gestionali, lasciando meno spazio a quelli programmatori e organizzativi. Lo stesso limite a mio parere si ritrova anche in un documento dell’OECD del 2017 che ha molto influenzato chi in Italia si è occupato di sprechi in sanità. Il documento si intitola “Dare la caccia agli sprechi in sanità” (Tackling wasteful spending on health) e ancora una volta si rimanda alla sua lettura, raccomandatissima. In questo documento l’impostazione ricalca abbastanza quella di GIMBE e prevede la distinzione tra tre tipologie di sprechi: quelli legati alla assistenza (clinical care), quelli legati alla operatività (operational) e quelli legati alle modalità di governo (governance-related). Da questo documento riprendo un paio di spunti interessanti. Il primo riguarda gli attori nella lotta agli sprechi che secondo l’OECD sono quattro: i pazienti, i manager, i professionisti e i politici. Il secondo riguarda le ragioni per cui i singoli attori possono contribuire agli sprechi: non ne sanno abbastanza, non riescono a fare meglio, se fanno meglio ci rimettono (e se fanno peggio ci guadagnano, aggiungo io) e infine lo fanno perché a loro conviene. Ho trovato illuminante questa classificazione.

Al tema degli sprechi Marco Geddes da Filicaia dedica poi diverse pagine del suo “La salute sostenibile”, Il Pensiero Scientifico Editore (2018), presentato efficacemente qui. Nel libro si riprendono sia l’approccio di GIMBE che quello dell’OECD e vengono fatte molte utili considerazioni sul tema, considerazioni che condivido e che probabilmente a distanza di qualche anno potrebbero essere aggiornate perché negli ultimi 6 anni le cose sono cambiate e non poco.

Di sprechi si è occupata anche nei suoi Report Trasparency International Italia, tra cui quello del 2016 (Curiamo la corruzione: percezione rischi e sprechi in sanità). L’attenzione nel Report è fortemente concentrata sugli appalti, sia in termini di trasparenza e correttezza sia in termini di risultati. Ma anche qui manca un approccio organico agli sprechi.

Di sprechi si è occupata nel 2016 Cittadinanzattiva nel suo Rapporto “I Due volti della sanità. Tra sprechi e buone pratiche. La road map della sostenibilità vista dai cittadini”, tra le cui fonti oltre a quelle GIMBE già citate c’erano un contributo di Piero Giarda del 2012 e il libro di Giuseppe Perrella e Riccardo Leggeri “La Caccia e la lotta agli sprechi in sanità, metodi e strumenti operativi per le strutture sanitarie pubbliche e private”, Franco Angeli (2007), ispirato all’approccio cosiddetto “lean” (Sistema Sanitario Snello), quello del già citato sistema qualità della Toyota. Le categorie di sprechi schematizzate da Cittadinanzattiva sono (con qualche lieve modifica) le seguenti:

In questo contributo di Cittadinanzattiva sono riportati anche i dati di una interessante rilevazione di segnalazioni sullo spreco in sanità, la cui elaborazione ha portato a identificare come cause maggiori di spreco le seguenti:

Questi risultati sono molto interessanti perché mentre il mondo dei clinici è fortemente orientato agli aspetti di appropriatezza delle prestazioni, i cittadini colgono invece un aspetto macroscopico che l’approccio clinico rischia di minimizzare: gli aspetti di programmazione e organizzazione.

Altri contributi sistematici alla lotta agli sprechi nel Ssn non li ho trovati, con l‘eccezione di un intervento del 2019 del diabetologo Alberto De Micheli pubblicato su JAMD , il giornale dell’Associazione dei Medici Diabetologi che molto meritoriamente aveva organizzato un Simposio dal titolo: “Dissipandum non est: avanzi, scarti, sprechi”. L’intervento è molto interessante e ha ovviamente un taglio molto clinico che viene sintetizzato nelle conclusioni con le seguenti parole: “Il controllo degli sprechi in Medicina passa attraverso l’implementazione della appropriatezza

clinica e della appropriatezza organizzativa, in un processo di miglioramento continuo.” Le categorie di sprechi prese in considerazione nell’intervento sono sostanzialmente le stesse del rapporto di Cittadinanzattiva.

Interventi su singole questioni in tema di sprechi sono invece numerosissimi, specie su alcuni temi come la spesa farmaceutica e la centralizzazione degli acquisti. A solo titolo di esempio ogni anno il Rapporto OASI del Cergas (Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale)

della Università Bocconi dedica un capitolo al procurement in sanità a cura dell’Osservatorio Cergas sul Management degli Acquisti e dei Contratti in Sanità (questo è l’ultimo) e un altro capitolo al tema della spesa farmaceutica a cura dell’Osservatorio farmaci del Cergas (questo è l’ultimo).

Tra i rapporti indipendenti di varia natura che monitorano lo stato del Ssn, nessuno affronta il tema degli sprechi in modo organico. Non lo fa né il Rapporto del Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità, Crea (vedi l’ultima edizione), né il rapporto Meridiana Sanità di European House-Ambrosetti (vedi l’ultima edizione), né il Rapporto Osservasalute della Università Cattolica (vedi l’ultima edizione).

A livello istituzionale, infine, manca una attività sistematica sul controllo degli sprechi sia da parte dell’Agenas che della Corte dei Conti. L’Agenas doveva avviare al riguardo un progetto con GIMBE che venne annunciato nel 2015 per poi uscire dai radar. La Corte dei Conti nella sua Relazione al parlamento sulla gestione dei servizi sanitari regionali esercizi 2022-2023 parla in una nota di inefficienze amministrative e gestionali, ma non dettaglia la loro natura e impatto, e dedica un capitolo al monitoraggio della spesa farmaceutica. In generale mancano nei Rapporti pure utilissimi della Corte dei Conti un approccio sistematico agli sprechi e un incrocio tra gli aspetti economici e quelli sanitari (tant’è che io ho proposto di integrare le Relazioni della Corte dei Conti con quelle di una Corte dei LEA, che purtroppo ancora non c’è).

Valutazione di sintesi sull’approccio alla ricerca degli sprechi nel Ssn
E’ noto come gli sprechi non ci siano solo nel Ssn. Nel già citato documento dell’OECD si riporta una stima dell’impatto degli sprechi in Olanda (il 20% del budget della sanità) e in Australia (il terzo della spesa sanitaria complessiva) che ricordano le stime di GIMBE. In realtà i dati sugli sprechi dei diversi Paesi sono scarsamente confrontabili e soprattutto sono diversi la loro natura e i loro determinanti e quindi il loro peso relativo. Un caso esemplare al riguardo è quello degli sprechi legati alla allocazione delle risorse sia in termini strutturali che tecnologici, il che vuol dire anche in termini di budget e di personale. Questi sprechi in Italia sono enormi e hanno come causa principale il ruolo abnorme della politica, altrove meno ingombrante.

Quello che sembra mancare nel Ssn è la convinzione che gli sprechi (di cui tutti conoscono benissimo l’esistenza e il peso) non siano comunque modificabili in tempi brevi, tempi compatibili con la crisi drammatica del nostro Ssn. Pochi sembrano cogliere che se non rimossi quegli sprechi influiranno sull’utilità delle eventuali risorse aggiuntive. Ma convinzione a parte mancano altre condizioni perché la lotta agli sprechi dia nel Ssn risultati significativi:

Un esempio clamoroso di quanto appena scritto negli ultimi due punti è la allocazione delle risorse strutturali (specie ospedali) e tecnologiche che la politica tende a fare in base non ai bacini di utenza, ma in base ai bacini elettorali. A solo titolo di esempio la Regione Marche sta facendo un programma di edilizia ospedaliera del valore teorico vicino ad un miliardo senza un atto che definisca la coerenza della sua rete ospedaliera col DM 70 e con la previsione di almeno tre Ospedali con DEA di primo livello di troppo (che in una Regione di un milione e mezzo di abitanti è insostenibile). Nella stessa Regione sono operative e/o previste 5 emodinamiche e sono operative e/o promesse 5 strutture pubbliche che saranno dotate di chirurgia robotica, tutte scelte “in eccesso” fatte in assenza di valutazioni preliminari di Health Technology Assessment, il cui ruolo il Ministro Schillaci anche oggi ha definito “fondamentale”. Di scelte di questa natura ci dovrebbe essere un momento centrale di verifica e validazione (ad esempio attraverso il Comitato LEA, il Tavolo di monitoraggio interministeriale del DM 70 e il Nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici), ma questo filtro non sembra impedire in molti casi che a prevalere siano gli interessi della politica locale e nazionale e la fiducia e le aspettative disinformate dei cittadini, mentre manager e i professionisti sembrano guardare da un’altra parte.

Per concludere una proposta e un post scriptum
La caccia agli sprechi nel Ssn deve diventare organica e progettuale. Ci sono le premesse e le competenze per costruirla sia a livello centrale (Ministero, Agenas, Istituto Superiore di Sanità e Consiglio Superiore di Sanità) che regionale. Ma ci vuole convinzione e metodo partendo dalla lotta ad alcuni sprechi clamorosi e di impatto sul lungo periodo, come quelli relativi alla allocazione delle risorse strutturali e tecnologiche, sprechi che grazie ai fondi del PNRR rischiano di aumentare ulteriormente.

PS So bene che la caccia agli sprechi integra e non sostituisce le alte misure necessarie a risollevare il Ssn, a partire dalle questioni finanziamento e gestione delle risorse umane. Ma non occuparsene sarebbe gravissimo, e non ce se ne sta occupando come si potrebbe e dovrebbe.

Claudio Maria Maffei



29 ottobre 2024
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