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A forza di equiparare la salute ad una merce si affossa la sanità pubblica

di Marco Geddes De Filicaia

27 GIU -

Gentile Direttore,
il dibattito che si è finora svolto su Quotidiano sanità fra Claudio Maria Maffei (14 Luglio 2024) e il Gruppo si studio per la salute del futuro (24 Luglio 2024), a seguito del loro interessante documento (Maria Luisa Sartor e al.), di valutazione critica dell’Appello degli scienziati, mi sollecita alcune riflessioni.

Edilizia sanitaria. Maffei scrive che “un programma di edilizia sanitaria esercita … un effetto deleterio sui livelli di tutela della salute dei cittadini: sposta ancora di più l’equilibrio ospedale/territorio a favore dell’ospedale”. Un’affermazione condivisibile con la precisazione che da tempo non si tratta di un “programma”, ma di molteplici iniziative senza una generale pianificazione che riguardi complessivamente una Regione, all’interno di una qualche strategia nazionale. La chiusura di tanti piccoli ospedali, al fine anche di assicurare appropriati volumi di attività e conseguenti esiti, non è stata seguita, se non in rarissimi casi, dalla trasformazione di tali strutture in adeguati presidi territoriali.

Contestualmente sono mancati – si pensi a varie situazioni nelle aree interne e in particolare in alcune regioni, come la Calabria – adeguamenti nella viabilità e nel trasporto pubblico, che assicurassero un collegamento con gli ospedali di riferimento.

Gli interventi di edilizia sanitaria, in particolare quelli ospedalieri, sono caratterizzati - e in parte “affetti” - da tempi lunghi di gestazione e realizzazione e gli stanziamenti avviati assorbono – necessariamente o inevitabilmente – ulteriori risorse, per l’aumento dei prezzi, le innovazioni tecnologiche, gli adeguamenti normativi e le conseguenti varianti. Vi è una rigidità e una autoalimentazione insita in tali investimenti, il cui riorientamento richiederebbe una continuità di intenti pluriennale, non con politiche finalizzate ad un rapido consenso in vista delle scadenze elettorali.

In mancanza di una adeguata programmazione vi è una concorrenza fra le strutture ospedaliere, che coinvolge anche il privato accreditato, con conseguente migrazione per ragioni sanitarie verso e il trasferimento, o accaparramento, di professionisti. Le strutture che attraggono più pazienti e trattano i casi più complessi sono prevalentemente al Nord (11), di cui 5 in Lombardia (3 privati); 7 al Centro e solo 2 nel Sud (Sole 24 Ore salute, 25 Giugno).

È con, e tramite, gli ospedali che si scatenerà la competizione fra Regioni, sia per acquisire pazienti che professionisti, una volta avviata l’Autonomia differenziata di recente approvazione.

La privatizzazione della sanità. L’Appello degli scienziati, a cui il Gruppo di studio rivolge varie critiche, afferma che “Il pubblico garantisce ancora una quota di attività (urgenza, ricovero per acuzie), mentre per il resto (visite specialistiche, diagnostica, piccola chirurgia) il pubblico arretra, e i cittadini sono costretti a rinviare gli interventi o indotti a ricorrere al privato. Proseguire su questa china, oltre che in contrasto con l’Art. 32 della Costituzione, ci spinge verso il modello USA”.

Si tratta di una affermazione condivisibile, ma che necessita di una valutazione sulle ragioni del progressivo indebolimento del pubblico che sono culturali e politiche, basate sulla convinzione che il privato sia migliore del pubblico e il mercato elemento di regolamentazioni, fra domanda di prestazioni e offerta, equiparando così la salute ad una merce. Questa idea si è diffusa anche in larga parte della Sinistra, che è stata oggetto di una “cattura cognitiva” con la convinzione che non vi fosse alternativa alla ricetta neoliberista.

Si lasciano conseguentemente al pubblico le emergenze e i grandi rischi, ma anche il compito di finanziare le strutture private!

La privatizzazione della sanità è un fenomeno in atto da tempo, ma che ha avuto una accelerazione con il Covid. Nel corso della pandemia l’opinione pubblica e la maggioranza delle forze politiche hanno percepito l’importanza di un Servizio sanitario pubblico potenziato, ma si è perso “l’attimo fuggente” per attuare qualche sostanziale riforma sotto il profilo dei finanziamenti, dell’inquadramento del personale (compresi i MMG), della formazione…

Vi sono dati impressionanti sulla ritirata del SSN a favore del privato. Un esempio: gli interventi di protesi dell’anca si sono ridotti durante la pandemia (2020 e 2021), per poi riprendere a crescere fino a 125.000 nel 2022. Mentre nel 2018 il 42,8% veniva effettuato dai privati accreditati e il 57,2% dal pubblico, le percentuali si sono invertite: 51,5% privato e 48,5% pubblico. Trend analogo per la protesi del ginocchio dove il privato era già maggioranza: nel 2018 il privato effettuava il 69,7% degli interventi e il pubblico il 30,3%; nel 2022 il privato il 77,8%, il pubblico solo il 22,2%!

Personale e formazione. L’Appello afferma che il grande patrimonio del SSN è il suo personale e che occorrono molti anni per disporre di professionisti sanitari competenti e che particolarmente grave risulta la carenza di infermieri. Si tratta di un problema rilevantissimo, presente da anni, ma che ha ormai caratteristiche emergenziali, a cui non si trova certo una soluzione che possa espletare il suo effetto rapidamente.

Le questioni che andrebbero affrontate sono molteplice: le retribuzioni, le condizioni lavorative, le mansioni da attribuire ai diversi professionisti (assai sotto livellate per infermieri e personale tecnico anche rispetto all’attuale percorso di studi e a quanto in atto in altri paesi), nonché la formazione.

Nei passati decenni è mancata qualsiasi programmazione - malgrado la documentazione disponibile, proveniente anche da parte sindacale (ANAAO) - che tenesse conto del fabbisogno di medici e infermieri per il SSN, sulla base delle classi di età degli occupati, della prevista curva pensionistica e del tasso di domande nelle varie sedi universitarie. La situazione di crisi si concentra attualmente sulle scuole di specializzazione di medicina che, a fronte di un incremento di posti, presenta nel 2022/2023 con un livello di copertura (domande/posti disponibili) del 64,7%; per molte specialità, fondamentali per il SSN, la situazione appare assai più drammatica, come evidenzia il Rapporto ANVUR 2023.

In Chirurgia Generale solo il 38,7% dei posti risulta coperto, annullando l’effetto dell’incremento di posti, con una riduzione di iscritti che passa da 430 del 2018/19 agli attuali 278! In Chirurgia Toracica il tasso di copertura è del 34,4%. La Medicina d’emergenza-urgenza ha raddoppiato i posti disponibili, ma il crollo del tasso di iscrizioni al 25,1% ha portato il numero di iscritti da 455 a 225! L’Anestesia e Rianimazione ha visto un calo significativo: dal 75,7% al 48,1%; la Medicina nucleare è scesa al 27,3%, con un trend negativo costante; la Radioterapia ha aumentato i propri posti, da 134 nel 2018/19 a 177 nel 2022/23, ma gli iscritti, con un tasso di copertura del 10,7%, sono crollati da 113 a soli 19; anche la Microbiologia e Virologia è crollata al 10,3%. Un record negativo – a proposito di territorio - è da attribuire alla Medicina di comunità e delle cure primarie: il 10,1% di copertura.

“Questo calo costante dei tassi di copertura - afferma l’ANVUR utilizzando ottimisticamente il condizionale - potrebbe, infatti, compromettere la capacità del sistema sanitario di rispondere adeguatamente alle esigenze del servizio sanitario nazionale”.

Meno comprensibile risulta la politica universitaria che incrementa, in alcuni casi raddoppiandola, la disponibilità di posti in alcune specialità: Chirurgia plastica, Oftalmologia, Dermatologa, Ginecologia ed Ostetricia ecc., che ottengono una copertura che arriva a oltre il 99%. Si tratta di specialità di cui il SSN ha necessità oppure – seguendo una logica tutta interna all’Accademia - si preparano professionisti, offrendo loro una alternativa rispetto ad altri percorsi formativi, destinati alla sanità privata o anche al trasferimento in altri paesi?

È evidente tuttavia che l’incremento dei posti nelle scuole di specializzazione ha scarso o nullo effetto senza l’adozione di misure per migliorare le condizioni di lavoro, aumentare i finanziamenti e incentivare la scelta di quelle specializzazioni che, seppure fondamentali, risultano meno attrattive per i giovani medici.

Il finanziamento del SSN

Nell’Appello degli scienziati si legge che “È necessario un piano straordinario di finanziamento del SSN e specifiche risorse devono essere destinate a rimuovere gli squilibri territoriali”. Questa affermazione lascia un margine di equivoco a causa dell’aggettivazione “straordinario”, dato che un finanziamento “straordinario” è stato ottenuto con il PNRR e, se necessario, in caso di crisi, si potrebbe ricorrere al MEF (ove approvato rimuovendo l’ostilità dell’attuale Governo).

Il documento intendeva, forse, riferirsi all’entità dell’impegno finanziario che è necessario che sia rilevantissimo, a confronto delle attuali ipotesi di bilancio per i prossimi anni. Ciò che è indispensabile è che tale incremento finanziario sia invece “ordinario”, rivolto prioritariamente a formazione e acquisizione di personale. In mancanza di ciò anche “… i fondi del PNRR finalizzati alla costruzione o ristrutturazione delle Case della Comunità, che intenderebbero migliorare l'assistenza territoriale pubblica – come scrive il Gruppo di studio per la salute del futuro – senza un aumento del personale pubblico destina [tali strutture] a rimanere scatole vuote, che potrebbero essere agevolmente svendute ad una gestione privatizzata e precarizzante”.

Resta ai margini del dibattito il tema di come sia possibile reperire risorse per il SSN, con i vincoli del debito pubblico e, contestualmente, con le criticità che sono presenti in altri settori pubblici: istruzione, ricerca ecc.

Parafrasando l’incipit di un noto testo ottocentesco potremmo affermare che uno spettro si aggira per l'Italia (e non solo): lo spettro della giustizia fiscale. È ormai tempo che, coloro che ritengono più equo, più efficace e meno oneroso complessivamente un sistema sanitario pubblico espongano apertamente in faccia a tutti che i sistemi di welfare si basano su una fiscalità progressiva (negli anni settanta, quando si è sviluppato il welfare in Italia, le aliquote erano 32 e andavano dal 10% al 72%), una riduzione delle esenzioni, la introduzione di una tassa di successione (nel nostro paese praticamente inesistente), la lotta all’evasione ecc.

In altri termini fra la scelta (usando una terminologia vieta) di “mettere le mani nelle tasche degli italiani” in relazione allo stato di bisogno sanitario e assistenziale, quando la persona è più indifesa e meno capace di opporsi, bisogna farlo in base alla capacità contributiva.

Si tratta anche di un problema che riguarda le politiche europee e i rapporti internazionali, ma da anni, come scrive una firma di punta del Financial Times, Martin Wolf: “Abbiamo una governance che premia gli insider potenti, un regime concorrenziale che tollera monopoli granitici, un regime di regolamentazione incline a lasciarsi corrompere e, non da ultimo, un sistema fiscale che permette ai ricchi di pagare le tasse quasi su base volontaria”.

Marco Geddes da Filicaia



27 giugno 2024
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