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Un ospedale “verde” è innanzitutto un ospedale “appropriato”

di Claudio Maria Maffei

21 MAG -

Gentile direttore,
ieri su Qs il tema dell’ospedale “verde” è stato toccato due volte. Da una parte se ne è parlato all’interno della descrizione dei lavori della Associazione Italiana Ingegneri Clinici (AIIC),
che ha appena concluso i lavori del 24esimo Convegno nazionale. Dall’altro ne hanno parlato F. Barone-Adesi, A. Bonaldi, P. Lauriola e S. Vernero in un intervento sulla transizione ecologica.

Al Convegno dell’AIIC Lorenzo Leogrande ha ricordato come l’AIIC ritenga che debbano “essere avviati dei nuovi punti di osservazione che favoriscano la diminuzione dell’impatto dei prodotti e dei rifiuti della sanità sull’ambiente”. Nell’intervento sulla transizione ecologica si conclude invece ricordando invece come si possa attuare, anche su larga scala, una transizione verde del sistema sanitario utilizzando le risorse attualmente disponibili. In comune ai due contributi c’è il riferimento alla possibilità di migliorare la sostenibilità ambientale degli ospedali attraverso una opportuna selezione e gestione delle tecniche anestesiologiche. Nell’ambito della iniziativa dell’AIIC si è ricordato come poche settimane fa sia stato presentato il documento di consenso della European Society of Anaesthesiology and Intensive Care sulla sostenibiltà che evidenzia come l’impiego di farmaci e dispositivi debba ripercorre i concetti della circolarità, mentre nell’intervento sulla transizione ecologica si sottolinea come si possano scegliere tecniche di sedazione alternative più sostenibili dal punto di vista ambientale, in linea con quanto riportato nelle linee guida del 2021 della World Federation of Societies of Anaesthesiologists sulla sostenibilità ambientale della anestesiologia.

Questi due interventi vengono buoni per evidenziare come il tema generale della sostenibilità ambientale degli ospedali e delle strutture sanitarie venga prevalentemente affrontato avendo come obiettivo la scelta appropriata di specifiche tecniche e prodotti. Per questa scelta vengono buoni i metodi e gli strumenti della Evidence Based Medicine e della Health Technology Assessment, che distinguo solo per comodità espositiva visto che hanno una filosofia comune. L’approccio della Evidence Based Medicine (EBM) è ad esempio centrale nella attività di Choosing Wisely Italy, che ha aperto per così dire una linea “green” , e della newsletter Pillole Green dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Bergamo. La Pillola n.8 riguarda proprio come rendere le sale operatorie più sostenibili. Quanto alla Health Technology Assessment (HTA) vi è da tempo accordo sul fatto che essa debba incorporare considerazioni di natura ambientale e di sostenibilità , come si può leggere in un importante contributo di due anni fa pubblicato sul Journal of Technology Assessment in Health Care.

In comune ad entrambi gli approcci (EBM e HTA) c’è, come già anticipato, l’attenzione prevalente alla scelta delle tecnologie/pratiche/prodotti più appropriati in base alle conoscenze disponibili in tema di sostenibilità ambientale (chiedo scusa per la semplificazione). Mi pare che sia importante integrare questo punto di vista con un punto di vista più di sanità pubblica in modo da rispondere a due diverse domande. La prima: “dove” e “con quale organizzazione” svolgere le attività sanitarie in modo da migliorarne la sostenibilità ambientale? La seconda: ci sono altre dimensioni di sostenibilità che vanno incrociate con quella della sostenibilità ambientale? L’esempio della attività chirurgica e quindi degli ambienti operatori è ottimo.

Partiamo dalla Pillola n.8 della newsletter Pillole Green sulla sostenibilità delle sale operatorie. Le misure previste sono molto semplici e di fatto consistono nella condivisione nella equipe di comportamenti e tecniche che richiedono momenti di definizione e momenti di verifica. Adesso portiamo queste indicazioni nel mondo reale attuale delle sale operatorie di molte Regioni italiane (a partire dalla mia, le Marche). Gran parte delle sale operatorie, se non tutte, dispongono di personale infermieristico insufficiente con elevato turn over e utilizzano anestesisti messi a disposizione dalle Cooperative o con un rapporto libero-professionale. Condizioni che trasformano nella stragrande maggioranzale attività di formazione in “tecnologie” difficili da realizzare adeguatamente. Dobbiamo poi tenere conto del fatto che progressivamente l’attività chirurgica programmata si sta spostando nelle strutture private, per cui come minimo le stesse “regole” e le stesse modalità di verifica vanno portate all’interno di queste. Quanto alle altre dimensioni della sostenibilità, non c’è solo quella economica. Ci sono ad esempio quella relativa alla necessità di garantire i LEA ai cittadini (alcune attività chirurgiche come quelle dell’oculistica ne stanno uscendo per carenza di offerta) e quella di garantire un ambiente sicuro e stimolante per i professionisti, che dal sistema pubblico italiano tendono a uscire.

La attività chirurgica ci ricorda allora che per avere ospedali “verdi” occorre che le attività vengano concentrate in strutture con adeguati volumi di attività, in rete tra loro in modo da avere linee produttive caratterizzanti ciascuna struttura e con una dotazione di personale stabile.Questo diventa possibile se si smette di parlare degli ospedali in generale, così come sono e quindi come se la loro organizzazione e distribuzione fosse ininfluente sulle buone pratiche, comprese quelle legate alla sostenibilità ambientale. La dimensione programmatoria e organizzativa degli ospedali va inclusa nei ragionamenti sulla transizione ecologica su cui si intende giustamente avviarli.

Claudio Maria Maffei



21 maggio 2024
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