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Sulle certificazioni Inail nessuno spazio per lo scaricabarile

di Gabriele Norcia

14 MAG -

Gentile direttore,
da qualche tempo sembra tornata in auge l’annosa vicenda della titolarità delle certificazioni d’infortunio e malattia professionale, come se fosse intervenuta una qualche norma a modificare l’ordinamento vigente. Siccome però il legislatore non ha partorito nulla di nuovo, ci pare opportuno dissipare ogni equivoco. Vediamo di fare un breve riepilogo dello stato dell’arte:

1. Il Codice di deontologia medica vigente, al suo articolo 24, recita: “Certificazione. Il medico è tenuto a rilasciare alla persona assistita certificazioni relative allo stato di salute che attestino in modo puntuale e diligente i dati anamnestici raccolti e/o i rilievi clinici direttamente constatati od oggettivamente documentati”.

2. Nella fattispecie delle certificazioni per infortunio o malattia professionale, l’articolo 21 del decreto legislativo 151/2015 ha introdotto un comma nuovo, dopo il settimo, all’articolo 53 del DPR 1124/1965 che, testualmente, recita: «Qualunque medico presti la prima assistenza a un lavoratore infortunato sul lavoro o affetto da malattia professionale è obbligato a rilasciare certificato ai fini degli obblighi di denuncia di cui al presente articolo e a trasmetterlo esclusivamente per via telematica all'Istituto assicuratore…”. La formula di chiusura dell’articolo 53 stabilisce inoltre che i contravventori delle precedenti disposizioni sono soggetti a sanzione pecuniaria.


3. Sul punto, è poi intervenuto il Ministero della Salute, con circolare del 17 marzo 2016, ribadendo il concetto fondamentale (qualunque medico è obbligato…) e precisando che la locuzione “… non attiene a tutti i medici iscritti all’ordine che occasionalmente potrebbero, in situazioni di urgenza o di emergenza, essere chiamati ad intervenire per prestare un primo soccorso ad un soggetto vittima di infortunio”, bensì sia da circoscrivere “… alla sola previsione di richiesta di intervento professionale che rientri in una prestazione inquadrabile come “prima assistenza”, intesa quale prestazione professionale qualificata rientrante nell’ambito di procedure organizzative strutturate per fornire assistenza medica, anche solamente di base…”. Dunque, non certamente il medico che presta assistenza in condizione di emergenza ed estemporaneità, ma senz’altro il medico di medicina generale che ha in carico l’assistito, come pure ogni struttura sanitaria che lo accolga per una prestazione assistenziale, sono tenuti, senza deroghe, a certificare.

4. La Legge n. 145 del 2018, ai commi 526-532, è intervenuta a istituire un apposito finanziamento per la compilazione di suddetti certificati, mediante trasferimento annuale da parte di INAIL di 25 milioni di euro al bilancio dello Stato, da ripartire tra le Regioni e le Province autonome. Tale finanziamento, da allora regolarmente erogato da INAIL, integra il Fondo per la contrattazione integrativa, in deroga all’art. 23, comma 2 del D.lgs. 75/2017, sia per il personale del Servizio Sanitario Regionale che per i Medici di famiglia (commi 527 e 528). La legge peraltro non distingue tra tipologie di certificati, ovvero se ‘Primi’ o ‘Continuativi’.

5. Delle suddette novità legislative, la FNOMCeO ha dato regolare ed esaustiva comunicazione a tutti gli iscritti con la Comunicazione n. 2 dell’11 gennaio 2019, prot. 473.

6. L’art. 6 dell’Accordo Collettivo Nazionale (ACN) dei Medici di Medicina generale, siglato in via definitiva da appena qualche settimana, in data 4 aprile 2024, recita quanto segue: 2. Il medico assolve al debito informativo ottemperando in particolare agli obblighi previsti da: (…) e) certificazione telematica di incapacità temporanea al lavoro per infortunio e malattia professionale. (…) 4. L’inadempienza agli obblighi di cui al comma 2, lettera b), documentata attraverso le verifiche del Sistema Tessera Sanitaria, determina una riduzione del trattamento economico complessivo del medico in misura pari al 1,15% su base annua.

Da tutto quanto esposto discendono alcune non opinabili conseguenze dirette. Nessun medico di medicina generale, nessun medico operante presso una struttura del Servizio Sanitario Regionale e, naturalmente, nessun Medico Inail, può sottrarsi all’obbligo di certificazione per un utente, infortunato o tecnopatico, che si presenti in ambulatorio, abbia i requisiti e ne faccia richiesta. I medici di medicina generale e i medici del SSR sono anche retribuiti specificamente per questa prestazione. Chi non ottempera all’obbligo è passibile di sanzione. Le sorprendenti dichiarazioni che abbiamo letto di recente su testate specialistiche on-line, per cui sarebbe “utile, per il medico che vede il paziente, se non è dell’Inail, emettere solo il certificato che documenta l’inizio dell’infortunio. Non riteniamo necessario né appropriato il rilascio di certificati successivi…” sono dunque prive di qualsiasi fondamento.

Chi poi afferma che sarebbe stata finalmente fatta chiarezza, si limita a enfatizzare una mezza verità: nessuno, infatti, e non solo il medico Inail, può permettersi di respingere un utente che chieda la certificazione (prima o continuativa che sia) di infortunio o malattia professionale. Certamente non può farlo nemmeno il Medico di medicina generale. Concludiamo con una provocazione. Come detto, la legge 145/2018 prevede un finanziamento di 25 milioni annui per retribuire le attività certificative suddette. In nessuno degli anni dal 2019 a oggi, l’attività certificativa ha determinato il pieno utilizzo del Fondo e nel 2023 gli infortuni sul lavoro sono stati molti di meno (circa 585mila) rispetto a quelli mediamente registrati nel quadriennio 2014-2018 (una media di 737mila all’anno), in base ai quali fu stabilita l’entità del versamento di Inail.

Da anni, per fare fronte alle disastrose condizioni degli organici INAIL e tentare di invertire la drammatica tendenza alla fuga degli specialisti verso altri ambiti della professione, presentiamo proposte di riforma legislativa che introducano l’estensione degli istituti giuridici ed economici del Servizio Sanitario Nazionale ai Professionisti medici EPNE. Ci viene sistematicamente risposto che per tale riforma, che comporterebbe un investimento di poco superiore ai 10 milioni annui, non ci sono le risorse. Orbene, visto che l’attuale disciplina della certificazione suscita così manifestamente scontento, si ridetermini il finanziamento di cui al comma 526 della legge 145, dimezzandolo e destinandolo ai soli primi certificati.

Con la cifra risparmiata, si finanzi quindi la riforma per i Medici Inail, anche utilizzando il principio di deroga all’art. 23 comma 2 della Legge 75 per l’integrazione dei Fondi, come accade per altri nella legge 145/2018. Se gli organici saranno rafforzati e i Medici dell’Istituto trattati come gli altri colleghi del Servizio Sanitario, vedrete che non avranno difficoltà ad assumersi l’onere della certificazione.

Gabriele Norcia
Segretario Nazionale ANMI
Associazione Nazionale Medici Inail



14 maggio 2024
© Riproduzione riservata

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