Non basta ampliare i Lea, bisogna garantirli
di Vincenzo D'Anna
13 MAG -
Gentile Direttore,innanzitutto, un sentito grazie per l'ospitalità che concede alle
mie considerazioni volte a chiarire l'importante questione delle "liste d'attesa" per l'accesso alle prestazioni di diagnostica e specialistica ambulatoriale. In relazione allo specifico argomento, dalle colonne del
Quotidiano Sanità ho appreso, con soddisfazione, che il Ministro Schillaci non intende tagliare prestazioni che siano ricomprese tra quelle già indicate nei nuovi LEA. E tuttavia la questione non riguarda solo il numero e la tipologia delle prestazioni erogabili in favore dei cittadini quanto quella della accessibilità alle stesse.
Ora, che non vengano modificati i livelli essenziali di assistenza, anzi, che vengano ampliati, è cosa buona ma, per essere anche giusta, occorre che la fruibilità delle prestazioni sia effettivamente garantita nei modi e nei termini necessari, ossia con l'efficienza e l'efficacia che ogni singolo caso richiede. Ne consegue che occorre ridurre i tempi di attesa per l'erogazione di tali prestazioni.
Il potenziamento delle attività ambulatoriali e diagnostiche è un elemento decisivo per rendere effettivamente fruibili all'utenza ciò di cui essa necessita. Questo però passa sia dall'assegnazione di maggiori fondi per personale ed attrezzature del comparto a gestione statale, sia per la rete delle strutture accreditate a gestione privata. Queste ultime operano con criteri di maggiore efficienza organizzativa e non hanno liste di attesa, ma vengono vincolate, nelle loro attività, ad anacronistici tetti di spesa che ne limitano l'impiego. Questi tetti di spesa rappresentano il correlato limite della programmazione che ciascuna regione predispone laddove addirittura si arriva a sottostimare il reale fabbisogno che proviene dal cittadino-paziente.
Più che rilevare l'effettivo numero di prestazioni occorrenti, le Regioni limitano infatti il fabbisogno alle risorse economiche disponibili, fortemente limitate dalla spending review che, per altro, grava solo sul comparto accreditato. Questo provoca il blocco forzato delle attività ambulatoriali e diagnostiche e lo sviamento forzoso dell'utenza verso il comparto statale che non riesce ad assorbire i maggiori carichi di lavoro, allungando, di conseguenza, i tempi delle liste d'attesa. In queste condizioni il sistema non regge e viene anche meno la facoltà di poter esercitare la libera scelta del luogo in cui curarsi.
Le regioni Emilia-Romagna e Toscana denegano alla radice tale diritto, pure sancito in varie leggi italiane e finanche nella Costituzione dell'Unione Europea, assegnando tetti di spesa a dir poco irrisori alle sole strutture accreditate. Nessuno fiata e l’abuso prospera in danno dei residenti. In disparte come tutto questo incida, e non poco, sul problema delle liste di attesa e sul principio di leale concorrenza tra strutture pubbliche, sia statali che private accreditate.
Ma veniamo al ragionamento vero e proprio per debellare e accorciare tali liste. Il rimedio per eliminare la non appropriatezza prescrittiva non risiede nel tagliare le ricette ai medici di medicina generale. Una mossa del genere, infatti, significherebbe sparare nel mucchio andando a colpire indistintamente tutti oltre ad aggravare i già gravosi limiti prescrittivi esistenti.
Tagliare le ricette significa infatti limitare gli accessi alle prestazioni o, se preferite, ridurre i tempi attraverso il blocco degli accessi!! Un rimedio peggiore del male. D’altra parte, già gravano sui medici i limiti economici (budget) assegnati a ciascuno di essi per limitare gli sprechi, oltre che una complessa attività statistica-contabile a carico di quei professionisti.
Quello che occorre sono semmai i protocolli diagnostico terapeutici per ciascuna condizione patologica, soprattutto per quelle croniche che maggiormente sono soggette a ripetizione nel corso del tempo. Se per una determinata patologia già viene definito il percorso sanitario, indicando le varie attività e gli esami a cui sottoporre il paziente, ecco che lo spreco viene eliminato alla fonte. Fuori da quelle indicazioni lo Stato non deve fare da terzo pagatore. Un ulteriore rimedio suggerito è quello di assegnare al cittadino l'ammontare delle risorse destinate per la diagnostica e la specialistica di modo che questi sia consapevole di quanto spende.
L’attuale sistema esclude ogni conoscenza dell'impatto finanziario sulle cure mediche da parte del fruitore che non avendone contezza e responsabilità, tende a chiedere oltre il necessario. Se ciascuno ha in dotazione una card appositamente caricata dell'importo stabilito, farà in modo che quella dotazione basti per tutto il periodo di riferimento.
Trasformare in libertà responsabile il diritto alla salute è un rimedio ineccepibile che non altera le opportunità ma le rende note dal punto di visto economico. Una piccola rivoluzione senza la quale si affastelleranno proposte che alla lunga non potranno che rivelarsi inutili se non addirittura dannose.
Sen. Vincenzo D'AnnaPresidente della Federazione Nazionale degli Ordini regionali dei Biologi (FNOB)
13 maggio 2024
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