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Medicina di genere, un approccio indispensabile 

di Massimiliano Cinque

08 MAG - Gentile Direttore,
quello che sto per affrontare è un argomento ostico che causa dibattiti accesi, talvolta feroci, di contrapposizione politica e sociale, ma che la scienza ha l’obbligo di esplorare e trattare - anche se poi ci sarà qualcuno che utilizzerà la lettura di determinati dati a proprio piacimento ed in modo improprio. Lo studio delle differenze sessuali e di genere è infatti un tema di fondamentale importanza per comprendere pienamente e approfonditamente, ad esempio, la patogenesi di determinate malattie o l’epidemiologia delle stesse, o le variabilità di individui dello stesso sesso nella dieta e nel peso corporeo; ma per far ciò serve liberarsi dal clima di paura e reticenza che avvolge questa branca.

Un passo indietro nella storia è necessario per capire i perché di questa necessità. Da quando la ricerca biomedica clinica e di laboratorio è iniziata, gli animali femmine e le donne sono state quasi sempre escluse, fino a quando, nel 1993 il Congresso degli Stati Uniti d’America ha approvato il Revitalization Act del National Institutes of Health (NIH) con l’intento di stabilire linee guida sull’inclusione di donne e gruppi di minoranza (etnici e sociali). Ad oggi i risultati di tale “riforma” sono incoraggianti: si è avuto infatti un miglioramento nella comprensione di alcune peculiarità legate al sesso. In tema di farmaci e prescrizione, l’approfondimento della ricerca clinica legata alla medicina di genere ha portato al ritiro dal mercato statunitense di 8 farmaci che avevano gravi effetti collaterali per le donne dopo l’assunzione. Vi sono tuttavia ancora degli aspetti grigi che andrebbero migliorati ed implementati in seno alla sperimentazione clinica e al processo regolatorio, come riportato dallo studio di Lorraine Greaves1.

Gli approcci scientifici, quindi, devono tenere in considerazione anche altri aspetti. Se il sesso è con noi da quando la specie umana ha avuto origine, come risultato della riproduzione sessuale e della conseguente differenziazione genetica codificata dai cromosomi sessuali (XY nei maschi e XX nelle femmine), le variabili legate al numero e tipo di cromosomi e i meccanismi a valle che determinano i fenotipi hanno un ruolo importante nella caratterizzazione del genere, unito a fattori sociali ed ambientali. Il “sesso è biologico e il genere è sociale” è buon punto di partenza per la ricerca scientifica, ma ciò non basta ad affrontare adeguatamente la complessità e la diversità degli esseri umani.

Fermo restando che il confronto tra individui che hanno i cromosomi XX e quelli che hanno i cromosomi XY è una componente fondamentale della ricerca di base e clinica nel miglioramento della salute umana, la comunità scientifica deve cercare di fare un passo in avanti e interrogarsi sul se e come la fisiologia delle persone, gli attributi biologici, possano essere influenzati dalle esperienze vissute, e se queste trasformazioni possano aumentare il rischio di sviluppare malattie e la prognosi2.

Affinché si faccia questo passo occorre che le preoccupazioni – e i costi - dovute in primis alla complessità della ricerca scientifica vengano meno e che non ci si faccia intimidire dalle tensioni che scaturiscono dal dibattito politico sull’identità di sesso e genere. In Texas, nel settembre 2023, è stata introdotta una norma che vieta le cure mediche che prevedono l'affermazione del genere per le persone sotto i 18 anni, sulla base dell'asserzione scientifica che ciascun individuo appartiene a uno dei due gruppi di genere.

A mio avviso sarebbe più logico invece prendere esempio dal Canada che, nel suo programma sanitario, ha inserito l’analisi basata sul sesso e genere (SGBA+) per valutare in che modo diversi fattori (come età, sesso, razza, etnicità, disabilità, ecc.) influenzano il modo in cui i canadesi vivono le iniziative, per poi formulare ricerche, politiche, programmi e servizi sanitari reattivi e inclusivi.

Il progresso in quest’ambito di ricerca, a lungo trascurato, è cruciale per l’implementazione della salute pubblica e nella comprensione di malattie, per il raggiungimento degli obiettivi del One Health; occorre pertanto che la comunità scientifica collabori affinché le differenze tra gli individui possano essere esplorate in modo responsabile, inclusivo e a beneficio del maggior numero di persone possibile.

Massimiliano Cinque
Dottore in Farmacia


NOTE
1 https://www.mdpi.com/1660-4601/20/4/2962
2 Mauvais-Jarvis, F. et al. The Lancet 396, 565–582 (2020)

08 maggio 2024
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