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La rassicurante, inevitabile, ineliminabile e costosa inappropriatezza   

di Franco Cosmi

30 APR - Gentile Direttore,
la decisione della scelta di un percorso diagnostico e di una terapia non è libera. Il medico deve decidere secondo il diritto del malato e l’interesse della collettività dell’art.32 e la compatibilità finanziaria dell’art. 81 dalla Costituzione, i principi di universalità, uguaglianza, equità del Servizio Sanitario Nazionale, secondo la scienza e coscienza del Codice Deontologico, secondo le linee guida e le buone pratiche assistenziali della legge sulla responsabilità professionale, secondo la corretta informazione della legge sul consenso informato. Rimane poco per la discrezionale scelta personale del medico e del paziente. Entrambi, però, hanno bisogno di rassicurazione, illusione, speranza che trovano il loro terreno fertile nell’inappropriatezza.

Il Servizio Sanitario Nazionale e il Mercato Sanitario Globale hanno obiettivi diversi, spesso divergenti. Il primo ha il compito di tutelare la salute in una medicina senza mercato. Il secondo ha l’obiettivo del profitto. Il primo per essere sostenibile ha bisogno dell’appropriatezza, il secondo per avere il massimo profitto ha bisogno dell’inappropriatezza. Anche gli obiettivi di paziente e medico sono diversi. Il primo ha l’obiettivo del mantenimento o del recupero della salute indipendentemente dall’appropriatezza. Per il secondo, dipendente o convenzionato del Servizio Sanitario Nazionale, l’obiettivo di salute è legato all’appropriatezza.

In un contesto di bisogni infiniti come quello della salute e risorse scarse come quello del mondo reale l’equilibrio può essere trovato con il prezzo nel mercato e con l’appropriatezza in un sistema solidaristico non di mercato. L’inappropriatezza è il prezzo pagato dalla collettività alla mancanza di appropriatezza. Come decidere l’appropriatezza? Quale è il metodo? Come applicarla nella realtà?

La medicina non è una scienza esatta e nella teoria del caos segue una progressione non lineare del rapporto causa-effetto. È la scienza dell’incertezza e l’arte della probabilità con in mezzo la metafisica della burocrazia. Al contrario di altre arti una diligente esecuzione dei compiti non garantisce un buon risultato e quello che è un semplice insuccesso può essere scambiato per un errore.

È di comune osservazione che uno stesso trattamento produca risultati diversi in pazienti diversi e anche nello stesso paziente in tempi diversi. Scienza e statistica si traducono in linee guida raccomandate per il paziente “medio” sulla base di dati di probabilità di popolazione mentre al paziente interessa l’utilità per il suo caso personale. Il medico dà una risposta di probabilità statistica che dovrebbe essere di casualità stocastica. Una terapia che riduce il rischio relativo in media del 50% e quello assoluto del 2%, implica un beneficio in un solo paziente per 50 trattati (NNT) e un danno in un paziente per 100 trattati (NNH). Gli altri 49 e 99 non ottengono nessun beneficio e nessun danno, ma costano. Questo è il risultato matematico della valutazione della riduzione del rischio relativo, di quella del rischio assoluto, del numero di pazienti da trattare per evitare un evento e per avere un danno.

Noi medici però siamo più bravi con le parole che con i numeri, anche perché pochi pazienti capirebbero. Rassicurare diventa ineluttabile e per rassicurare non si può essere sempre appropriati. La gestione dell’inappropriatezza è diventato il compito principale del medico. In una medicina che diventa sempre di più metaclinica e che sta per essere affidata alla intelligenza artificiale bisogna operare tra l’incudine dell’appropriatezza e il martello dell’inappropriatezza.

Una delle definizioni di appropriatezza più facile, comprensibile e demagogica è quella di “fare le cose giuste, al paziente giusto, nel momento giusto, nel posto giusto, dal professionista giusto, con le risorse giuste, nel modo giusto”. Naturalmente con l’aggiunta che al centro del sistema c’è il paziente. Ci mancherebbe altro. Nella vita e soprattutto nelle questioni di salute le illusioni sono false ma il bisogno di illudersi vero. Ho visto paladini e crociati dell’appropriatezza diventare più inappropriati degli inappropriati per un semplice giramento di capo.

La malattia, o la sua semplice percezione, allontana la razionalità di ognuno. I termini “giusto” e “appropriato” diventano allora fastidiosi e irritanti. Ognuno ha una sua idea di appropriatezza: lo scienziato secondo il rigore scientifico, il medico secondo la sua esperienza e responsabilità, il paziente secondo le sue credenze che diventano esigenze, l’amministratore secondo le risorse disponibili che diventano l’elemento fondamentale. E allora che si fa: lo scienziato si trincera in linee guida non applicabili nella realtà, il politico decide per alzata di mano secondo consenso e non secondo evidenza, l’amministratore ricorre a percorsi burocratici ingarbugliati che ostacolano più che facilitare i percorsi diagnostico-terapeutici. Il paziente si fa una sua idea di “giusto” e “probabile” secondo le sue credenze e pensa che sia quella corretta, indipendentemente da qualsiasi evidenza. Il semplice fallimento terapeutico viene considerato un errore da denunciare e perseguire.

Il medico, come ogni buon soldato, cerca di difendersi con le armi che ha. Con il paziente esigente o diffidente richiede esami, cerca di rassicurare ricorrendo ad “accertamenti” per non incorrere nel sospetto di superficialità, cerca di rimpallare il problema tra specialisti e generalisti, cerca di mantenersi buono l’amministratore, in un “prestazionificio” inconcludente a spirale senza fine. In poche parole, applica la medicina difensiva che serve a lui e non quella clinica che serve al paziente. Il risultato è: corsie inflazionate, liste di attesa eterne, Pronto Soccorso intasati, Casse Statali esauste, tasche del cittadino svuotate, conflittualità esasperata. Perché condannarlo visto che dovrebbe essere un “eroe”, un amico del paziente, un confessore, ma è diventato uno che bisogna controllare, consigliare, indirizzare, diffidare, considerarlo più un medico d’ufficio che di fiducia? Nella diffidenza non ci può essere fiducia ma solo prestazioni appropriate e inappropriate, con il ricorso alla tecnologia.

Naturalmente quasi tutti cerchiamo di non identificarci in questo stereotipo e le anime belle dicono che non è così. In effetti non è sempre così. Una buona relazione medico-paziente fondata sull’intelligenza e sulla fiducia di entrambi gli attori può evitare l’esasperazione di una medicina che si vorrebbe certa e sicura “con tutti i macchinari che si hanno oggi a disposizione”. La rassicurante inappropriatezza è inevitabile ed ineliminabile in un contesto non di mercato. Paradossalmente è più contenibile nel mercato con la mediazione del prezzo.

In un Servizio Sanitario Nazionale bisogna affidarsi alla relazione medico-paziente. Una buona relazione non elimina l’inappropriatezza ma la governa perché l’empatia e la compassione migliorano la soddisfazione e la condivisione delle scelte del paziente, nutrono la sua speranza ma alleviano anche la fatica emotiva e professionale del medico. Il governo dell’inappropriatezza è possibile con la relazione, impossibile con la prestazione, l’algida medicina amministrata, la boriosa medicina burocratica e l’arida medicina scientifica. È un obiettivo difficile da raggiungere nel groviglio intricatissimo ed inestricabile delle vicende umane, che ha bisogno del profitto di mercato per innovare e dell’appropriatezza della scienza per governare persone con vario carico di intelligenza, furbizia, ignoranza e stupidità che porta ognuno a razionalizzare nella direzione che gli pare talvolta più giusta, spesso più conveniente e rassicurante.

Franco Cosmi
Medico cardiologo
Perugia

30 aprile 2024
© Riproduzione riservata

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