Il ruolo delle comunità nella promozione della salute
di Giorgio Banchieri
05 APR -
Gentile direttore,
intervengo nel dibattito aperto dall’articolo di Claudia Zamin “Quando il senso di appartenenza alla comunità vacilla”, su Quotidiano sanità del 13 marzo scorso.
Gran parte dei Paesi OECD dalla fine degli anni '90 si sono orientati a un approccio integrato alla produzione della salute, in un’accezione di insieme delle politiche del welfare per il mantenimento dello stato di benessere psicofisico dei cittadini.
Con il "New paradigm of health care" (OECD, 1999) si afferma il primato della prevenzione sul trattamento, le strategie di care piuttosto che di cure e, soprattutto, un’integrazione delle politiche che stimoli ed imponga azioni di coordinamento interistituzionale. Si afferma inoltre di conseguenza l’impegno della rendicontazione da parte dei sistemi e delle aziende sanitarie alle comunità da cui hanno ricevuto mandato ad operare.
Il passaggio dal vecchio modello di welfare ad uno nuovo consiste in un sistema di “welfare di comunità federate” basato sul concetto di “salute – welfare”. Con il “welfare di comunità” si vanno affermando anche due nuovi concetti, cioè quelli di” autonomia” e di “sussidiarietà”.
L'inclusione formale del “Programma Ambientale” delle Nazioni Unite (UNEP) condiviso da WHO, FAO e WOHA nel 2022, e il successivo lancio del “Global One Health Joint Plan of Action” (2022-26), affrontano in modo nuovo l’approccio integrato e unificante che mira ad equilibrare e ottimizzare in modo sostenibile la salute di persone, animali ed ecosistemi, riconoscendo che la salute dell’uomo, degli animali domestici e selvatici, delle piante e dell’ambiente in generale (ecosistemi inclusi) sono strettamente collegati e interdipendenti.
La prospettiva One Health spinge molteplici settori, discipline e comunità a vari livelli della società a lavorare insieme per promuovere il benessere e affrontare le minacce per la salute e gli ecosistemi, affrontando le necessità comuni di acqua pulita, energia e aria, alimenti sicuri e nutrienti, contrastando il cambiamento climatico e contribuendo allo sviluppo sostenibile [One Health High-Level Expert Panel (OHHLEP). Annual Report 2021]
Quanto sopra necessariamente spinge verso un approccio di “ecosistemi = comunità”.
Lo stesso “benessere quotidiano della persona” è collegato anche al suo “habitat relazionale”: le relazioni sociali sono fondamentali per la sopravvivenza dell’individuo, non solo per il suo inserimento all’interno dell’ambiente di vita, ma anche per il suo benessere psico-emotivo interiore; per questo è importante averne cura.
La Medicina arriva ad affermare che interazioni sociali positive, dove si riceve sostegno ed ascolto, favorendo il buon umore, aiutano anche a rafforzare il sistema immunitario abbassando il livello di stress, responsabile della produzione di ormoni pro-infiammatori.
Inoltre, accanto al “benessere oggettivo e materiale”, nella nostra società è cresciuto notevolmente il bisogno di “benessere soggettivo e psicologico” e di conseguenza l’attenzione si sta spostando dai problemi da risolvere nella vita a ciò che la rende meritevole di essere vissuta.
Come sostiene Claudia Zamin “… non si deve dimenticare che la natura dell’uomo è e rimane relazionale. Per quanto possano mutare nel corso dei secoli tante cose, esterne ed interne, l’essenza dell’uomo è la relazione: l’essere umano per vivere bene nelle città metropolitane contemporanee o sopravvivere nella giungla del passato dovrebbe riconoscere, anche a fatica, che è la relazione con l’altro – reale… che garantisce il suo stare nel mondo. Oggi abbiamo “guadagnato” la possibilità del “virtuale”, teniamocela ben stretta senza pretesa di esclusività ma in armonia con le sue altre declinazioni, …; essa è un valore aggiunto all’interno della parola comunità, ne espande in senso positivo il suo significato, così come l’abbiamo sempre conosciuto. Il “cum – munus” riguarda sia il mettere insieme, condividere qualcosa - in questa accezione si sottolinea quel "qualcosa con" - sia il munus, cioè il dono reciproco. La comunità contiene nel suo significato il riferimento alla mancanza di qualcosa (e non all'avere) che dobbiamo agli altri e viceversa. La comunità è fondata da ciascuno di noi in relazione all’altro, ciascuno per vivere deve riconoscere un pezzo che gli manca e che può trovare nell’altro.”
Secondo la definizione coniata dall’Institute of Medicine (IOM – www.iom.edu) l’assistenza centrata sul paziente significa “rispetto e attenzione ai bisogni, alle preferenze e ai valori del paziente, garanzia che quei valori guideranno ogni decisione clinica”.
È nel contesto dell’assistenza “centrata sul paziente” che si sviluppa la “relazione di cura tra medico e paziente” e più estensivamente tra medico e familiari o caregiver del paziente. Tale relazione si nutre di un continuo scambio bidirezionale d’informazioni finalizzato a esplorare e rispettare le preferenze e i valori del paziente, ad aiutare il paziente e la sua famiglia a fare le scelte giuste, a facilitare l’accesso alle cure appropriate, a rendere possibili i cambiamenti negli stili di vita necessari per mantenere o migliorare lo stato di salute. Da una prospettiva strettamente etica l’assistenza centrata sul paziente risponde all’obbligo dei professionisti di porre l’interesse del paziente al di sopra di ogni altro.
I risultati di una più intensa comunicazione tra paziente e team assistenziale – elemento fondamentale dell’assistenza centrata sul paziente – sono stati studiati in una serie di ricerche che hanno dimostrato il raggiungimento di una serie di outcome, come: il miglioramento della qualità della vita; una più lunga sopravvivenza; il contenimento dei costi assistenziali (es: minori accertamenti diagnostici, minori ricoveri ospedalieri) e la riduzione nelle diseguaglianze nella salute. Se alla base dell’assistenza centrata sul paziente c’è la relazione di cura tra medico e paziente, va subito aggiunto che la forza e l’efficacia di tale relazione è influenzata in maniera decisiva dal contesto.
Una comunità è empowered quando i suoi cittadini possiedono il desiderio, le competenze, le risorse per lavorare assieme al fine di identificare i bisogni della collettività, sviluppare strategie per indirizzare questi bisogni mettere in atto azioni volte ad un loro soddisfacimento. Ciascuno di questi livelli è strettamente interconnesso agli altri due e come processi di empowerment individuale, organizzativo, comunitario sono mutualmente interdipendenti e correlati in rapporti di causa-effetto.
L’Empowerment dei pazienti, quindi, è il processo con cui il paziente viene aiutato ad acquisire consapevolezza circa la propria salute e ad assumerne piena responsabilità, mediante la partecipazione al piano di cura, condividendo le decisioni che lo riguardano e, conseguentemente, adottando coerenti comportamenti. È necessario formare i cittadini per far sì che possano comunicare con il sistema sanitario, trovare, comprendere e valutare le informazioni disponibili.
A sua volta l’operatore deve essere formato per essere capace di valutare il grado di comprensione del cittadino ed esprimersi di conseguenza con linguaggio compatibile, semplice, dando informazioni corrette, utili. Una componente chiave di empowerment e centralità del paziente è l’accesso dei pazienti a informazioni accurate e di qualità elevata sulla loro malattia e le opzioni terapeutiche a loro disposizione. Questo è comunemente definito health literacy (alfabetizzazione sanitaria) che implica conoscenza, motivazione e competenze delle persone per accedere, comprendere, valutare e applicare le informazioni sanitarie al fine di esprimere giudizi e prendere decisioni vita quotidiana riguardante l’assistenza sanitaria.
La “comunità”, in quanto tale, quando esiste realmente: è la sede delle relazioni di cura; genera energie e opportunità a supporto del singolo; include e supporta; garantisce la sostenibilità dei servizi e li implementa e previene la fragilità e sostiene le cronicità.
La “e health literacy” o alfabetizzazione digitale è la ulteriore dote che cittadini e pazienti devono possedere per contribuire a e ricevere cure mediche perché buoni livelli di alfabetizzazione digitale determinano competenza e capacità di utilizzare tali tecnologie digitali in modo efficace e consapevole. Con un buongrado di alfabetizzazione digitale i pazienti diventano capaci di accedere a una vasta gamma di informazioni sulla salute online.
Un esempio di ecosistema nel nostro ordinamento potrebbe essere il Distretto. Lo stesso Distretto, se declinato come “agenzia di salute”, potrebbe diventare lo strumento di promozione dell’inclusione delle “comunità” nei processi di cura, nella prevenzione, nell’educazione sanitaria, negli stili di vita, nel supporto e nell’inclusione dei fragili e dei cronici.
Purtroppo anche il DM77 continua a concepire il Distretto come un’articolazione organizzativo-funzionale dell’Azienda Sanitaria Locale sul territorio; un modello dove i servizi vengono “calati” secondo silos organizzativi, anziché venir progettati e costruiti a partire dalla partecipazione, dai bisogni e dalle risorse delle diverse comunità che si differenziano per criteri geografici, sociali, culturali, organizzativi ed epidemiologici.
Anche i cittadini che fanno volontariato, così come tutto il Terzo Settore, vengono considerati in chiave eminentemente prestazionale: non se ne riconoscono le potenzialità di innovazione, di anticipazione, di capacità di incarnarsi nella comunità locale partecipando e portando ricchezza nell’ecosistema. Con queste premesse l’innovazione sarà una chimera.
Eppure non mancano ormai nell’esperienze internazionali esempi dell’ampia varietà di ruoli che i pazienti possono svolgere nel sistema sanitario: pianificazione, progettazione, consulenza, indagine, valutazione e formazione.
Sempre più spesso, le istituzioni sanitarie chiedono ai pazienti e ai familiari non solo di essere una "voce intorno al tavolo", ma di assumere ruoli di leadership. In questo contesto, l'arruolamento e la preparazione dei pazienti e delle famiglie sono fondamentali.
La capacità e lo spazio per definire meglio questi ruoli e responsabilità stanno aumentando, con la consapevolezza che le forme di conoscenza possono essere complementari e le competenze non sono strettamente riservate ai professionisti. I pazienti e i familiari possono agire come mediatori di conoscenza, collegando e traducendo la conoscenza tra le comunità nell'ecosistema sanitario, ma possono anche ridefinire le priorità apportando soluzioni pragmatiche alle sfide del sistema sanitario. Essere Case e/o Ospedali davvero di “Comunità” comporterà essere all’interno di questi processi di inclusione e solidarietà.
Il rischio di un approccio solo prestazionale è che le “Case di Comunità” non siano “della comunità” aprendo alla possibilità di gestioni privatistiche che ne potrebbero snaturare il fine. Questo sarebbe in contrasto con la visione e con quanto previsto nel DM77 …
Giorgio Banchieri
Segretario Nazionale ASIQUAS, Docente Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Università “Sapienza” di Roma
05 aprile 2024
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