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Comparto, l'atto di indirizzo non convince 

di Mauro Carboni 

04 APR - Gentile Direttore,
si è riaperta la stagione per il rinnovo del CCNL comparto sanità. Gli ultimi due contratti (2016/2018 e 2019-2021) non hanno avuto gli effetti sperati sul fronte della valorizzazione dei professionisti sanitari. In particolare, rispetto al contratto ancora in vigore, emerge una disomogenea ed incompleta implementazione, a livello locale, nello sviluppo della disciplina degli incarichi e nulla, o quasi, sul fronte della realizzazione della “quinta area”. Se tra i loro obiettivi era anche rendere evidente una forma di carriera nell’ambito delle professioni sanitarie, l’intento purtroppo non è stato raggiunto.

I contenuti dell’atto di indirizzo per il rinnovo contrattuale 2022-2024 mettono in rilievo la presenza di un logoramento del personale accompagnato ad un elevato tasso di abbandono del lavoro da parte dei professionisti.

Anche sul fronte delle iscrizioni ai corsi di laurea, in modo particolare di quello in infermieristica, l’appeal sta diminuendo. Il numero di coloro che lasciano il lavoro ogni anno è notevolmente più alto di quello che esce dalle università e il problema non potrà certamente essere risolto ritardando ad oltranza il pensionamento dei lavoratori interessati. L’invecchiamento dei professionisti incide anche sul loro stato di salute e sulla maggiore incidenza di limitazioni e prescrizioni all’impiego. Ritardare oltremodo l’età pensionabile rappresenta, per le aziende, una diseconomia accompagnata da una maggiore difficoltà organizzativa.

La Federazione Nazionale Ordini degli Infermieri ha recentemente evidenziato che in un anno entrano nel sistema 11.000 professionisti e ne escono 14.000 per pensionamento. Un saldo negativo che sta diventando preoccupante ai fini della tenuta del sistema sanitario pubblico e privato.

Stando ai contenuti dell’atto di indirizzo inviato al M.E.F. appare chiaro che il metodo per approcciare al tema contrattuale è invariato rispetto al passato. Ci si propone di intervenire su aspetti sicuramente importanti come conciliare meglio i tempi di vita e lavoro, la formazione, il benessere organizzativo, ecc., ma concretamente si incide molto poco sulle criticità dello scenario attuale.

L’intento dichiarato è di voler potenziare gli strumenti per fidelizzare e trattenere i dipendenti all’interno delle Aziende, ma i contenuti appaiono poco convincenti mostrando una continuità di approccio con i precedenti contratti poco apprezzata dai professionisti interessati.

Non è chiaro ancora come si intenda valorizzare il sistema degli incarichi, ma i concetti di dinamicità e flessibilità spesso richiamati, ma mai circostanziati, quando messi a terra in un contesto a risorse sostanzialmente inalterate, finiscono il più delle volte per avere un effetto negativo sulle condizioni di lavoro e in termini economici e di carriera.

L’ultimo contratto, proprio attraverso la disciplina degli incarichi, invece di favorire lo sviluppo delle carriere ha generato, in molti casi, precarietà degli incarichi e perdita economica. I titolari di incarico di media complessità (base economica da 4.000 euro annui lordi) infatti, hanno perduto il diritto ai compensi per lavoro straordinario, fino a quel momento garantito per incarichi con indennità annua lorda inferiore a 3.227,85 euro (per quelli a complessità maggiore era già così).

Sempre sul tema degli incarichi, a livello locale, si sono concretizzate purtroppo alcune situazioni indesiderate. Laddove le aziende e le organizzazioni sindacali hanno optato per non utilizzare quota parte di quanto destinato ad altro (Art. 103 - Fondo premialità e condizioni di lavoro), le risorse a disposizione nel fondo incarichi non ne hanno consentito lo sviluppo. D’altronde pensare di far crescere una parte a danno dell’altra all’interno di una stessa azienda difficilmente garantisce un buon risultato.

Al contrario si rischia di aprire una stagione di conflitti tra dipendenti in posizioni lavorative differenti. Oggi le realtà aziendali mostrano situazioni anche molto diverse tra loro. Dove l’assetto organizzativo ancora non è stato modificato, lasciando in piedi lo stesso numero di incarichi, si è verificato un livellamento in basso del valore degli stessi. Dove l’orientamento è verso una rivisitazione dell’organizzazione puntando a raggiungere valori di incarico più elevati, l’effetto è la contrazione del numero degli incarichi. In sostanza la politica degli incarichi in assenza di adeguate risorse sta avendo un effetto paradosso sulle “carriere”.

Alcune delle misure avanzate oggi dalle rappresentanze includono il miglioramento delle retribuzioni, ma senza ulteriori risorse, oltre a quelle già stanziate, l’obiettivo è destinato a non essere raggiunto. Anche per favorire le progressioni di carriera e sviluppare realmente il sistema degli incarichi avvicinando le retribuzioni a quelle europee occorrono più risorse. Una nuova organizzazione del lavoro che dia corpo al reale contributo delle professioni sanitarie ormai non è più rinviabile, ma senza una evoluzione dell’inquadramento giuridico dei professionisti sanitari non sarà realizzabile.

Siamo sempre in un contesto lavorativo rappresentato da aziende del SSN in cui convivono circa 110.000 dirigenti medici e meno di 500 dirigenti delle professioni sanitarie. La quasi totalità dei professionisti sanitari, che lavora ed eroga prestazioni ai cittadini è ferma al palo e dalla sua posizione contrattuale, pur essendo in possesso di laurea ed avendo responsabilità elevate, non ha alcuna possibilità di incidere realmente sul cambiamento organizzativo e sulle strategie aziendali. L’autonomia professionale e l'attribuzione della diretta responsabilità, della gestione delle attività di ciascuna professione sanitaria e delle connesse funzioni, pur essendo previste dalla legge 251 /2000, ad oggi, sono ancora da concretizzare.

Guardare la realtà con senso critico dovrebbe far riflettere tutti sul fatto che se da una parte vogliamo applicare la “disciplina degli incarichi”, tipica della dirigenza, a dei professionisti non dirigenti, dall’altra vogliamo farlo senza modificare minimamente il loro inquadramento giuridico ed economico.

Oggi, il quadro contrattuale del comparto sanità, nell’intento di valorizzare le differenze, sta diventando sempre più complesso e la sua applicazione a livello locale è sempre più difficile e più eterogenea. Destinare, ad esempio, l’area della elevata qualificazione alle professioni sanitarie e sviluppare al suo interno la carriera economica orizzontale e il sistema degli incarichi oggi proposto, potrebbe dare chiarezza al quadro contrattuale e rappresenterebbe un segnale tangibile ed inequivocabile anche per i professionisti. Naturalmente pure in questo caso è la politica che dovrebbe trovare le risorse se ha realmente a cuore l’assistenza sanitaria.

Se si vuole vincere il senso di impotenza e di frustrazione emerso dagli studi del settore, che sta spopolando la sanità, occorre cambiare approccio. Il problema non nasce principalmente dagli elaborati del comitato di settore e dalla conduzione delle trattative da parte dell’Aran, ma dal valore che la politica nazionale conferisce al problema, ormai epocale, che coinvolge le professioni sanitarie da una parte e l’intero sistema sanitario dall’altra.

Senza un nuovo inquadramento giuridico – contrattuale che renda coerente il progresso accademico, culturale, formativo e giuridico delle professioni sanitarie al loro contributo in termini di qualità e sicurezza delle prestazioni, di organizzazione, di gestione, di efficienza ed efficacia dei percorsi sanitari…., il logoramento e il senso di frustrazione professionale sarà destinato ad acuirsi. Le conseguenze sono già sotto i nostri occhi.

Dott. Mauro Carboni
Esperto contrattuale

04 aprile 2024
© Riproduzione riservata

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