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Ssn. Non serve solo una riforma, ma capire quale riforma

di Nicola Rosato

26 FEB - Gentile Direttore,
non vi è una sola voce dissenziente. Tutti convinti che una riforma del Servizio sanitario nazionale sia necessaria. Ma quale riforma? Qui le voci sono meno univoche. Il dibattito si polverizza su argomenti approssimativi e ripetitivi, non è incanalato verso chiari punti di approdo o, quando lo è, l’approdo è colorato da etichette ideologiche. Il che non aiuta a comprendere cosa sia una buona sanità e cosa, al contrario, una cattiva sanità.

Sono stati i “patti per la salute” tra stato, regioni e province autonome che hanno surrogato il piano sanitario nazionale, scomparso da sedici anni, a focalizzare l’analisi su singole tessere di un mosaico senza collocarle in una strutturata visione d’insieme. Senza la visione d’insieme gli spunti offerti dal dibattito per la riforma si arenano in conclusioni semplicistiche: manca il personale, mancano i soldi, è fallita la gestione aziendale, sempre bistrattata anche se non è stata mai veramente applicata. Insomma, si censiscono gli effetti di cause non analizzate. Mancano senz’altro risorse, ma la questione vera è: per quali scopi, dove e come queste risorse maggiori, e quelle recuperabili dagli sprechi che pure vi sono, devono essere allocate.

Il caso della irriducibilità delle liste d’attesa, nonostante i reiterati finanziamenti, fa scuola. Se una causa delle liste d’attesa è (e lo è) un’approssimativa appropriatezza delle prescrizioni, finanziamenti aggiuntivi non faranno altro che aumentare le attese se non si controlla l’appropriatezza con premi e sanzioni ai medici prescrittori. Se un’altra causa è (e lo è) la scarsa diffusione dell’associazionismo dei medici di famiglia, che potrebbero – associandosi – dare maggiore dignità alla professione svolgendo direttamente tante prestazioni di base, stanziare risorse aggiuntive per un’organizzazione del lavoro obsoleta (il medico single-handed) porta scarso giovamento se non si incentiva l’associazionismo. Non è forse l’associazionismo dei medici di famiglia anche lo snodo dell’operatività delle oggi vuote Case di comunità?

Le questioni aperte sono ovviamente molte di più di queste e con sfaccettature, implicazioni e correlazioni che devono essere approfondite e cucite da una visione strategica della riforma. Consideriamo l’organizzazione a rete degli ospedali. Le regioni più piccole non possono avere reti autonome, il che spiega gran parte delle migrazioni sanitarie. Si deve fare affidamento soltanto sull’adesione volontaristica delle regioni minori ad un’integrazione delle reti con le regioni limitrofe, o è più sicura e utile una prescrizione del Piano sanitario nazionale?

Il servizio sanitario che conosciamo è un’organizzazione con una pluralità di prestazioni eterogenee, caratterizzate da un basso grado di fattori e procedure tecniche produttive comuni. Si è persa la distinzione tra servizio sanitario e sistema sanitario che non sono sinonimi. La loro differenza sta nel concetto che la salute si persegue in tutte le politiche e con l’integrazione di discipline diverse. Pensiamo ai consultori familiari, che hanno trasformato l’originaria funzione di orientamento clinico-diagnostico e di prima accoglienza in materia di educazione e salute sessuale e di consulenza per il benessere familiare in ambulatori periferici di discipline specialistiche e sono stati caricati di competenze sociali pure, in materia di adozioni, affidamenti familiari, immigrazione.

Non è detto che si debbano concentrare tutte le funzioni nel SSN. Occorre valutare se non sia il caso di scorporare attività oggi svolte nelle Usl affidandole ad altre organizzazioni, come avvenne col referendum del 18 aprile 1993, da cui nacquero le ARPA, Aziende regionali di prevenzione ambientale, separate dalle USL. Valutare, cioè, se – esemplificando – i servizi veterinari non possano diventare i terminali nel territorio degli IZS, Istituti zooprofilattici sperimentali, che condividono con le USL la stessa missione di tutelare la sanità ed il benessere animale, per garantire la salute del consumatori; se i servizi di prevenzione per la sicurezza sui luoghi di lavoro – tema attuale di grande allarme sociale – non possano trovare più efficace collocazione nell’INAIL, Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro che per statuto, insieme a quella previdenziale e risarcitoria, ha la stessa missione delle USL di prevenire i rischi lavorativi; se gli ospedali di insegnamento debbano essere a mezzadria tra SSN e Università con non poche complicazioni gestionali, o debbano essere affidati alle sole Università; quali siano le lacune professionali e manageriali da colmare per gestire con profitto l’attuazione della riforma. E così ragionando si aprono spiragli per riordinare e semplificare altre aree della pubblica amministrazione.

È dunque appropriata la diagnosi di “crisi sistemica” del SSN fatta dalla Corte dei conti nella relazione presentata all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2024. All’allarme della Corte si deve rispondere hic et nunc con un tavolo della Conferenza Stato e Regioni, aperto alla partecipazione dei tanti centri studi di cui l’Italia dispone, per approfondire le analisi delle cause della crisi e mettere in campo i necessari organici interventi correttivi di un nuovo Piano sanitario nazionale.

Nicola Rosato
Analista economico della Pubblica Amministrazione



26 febbraio 2024
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