Sanità partecipativa, cosa serve perché lo sia davvero
di Andrea Angelozzi
16 FEB -
Gentile Direttore,ho letto con interesse su Quotidiano Sanità la istituzione in Veneto di una Assemblea Permanente della Associazioni mirante a “rafforzare e valorizzare la partecipazione attiva delle organizzazioni dei cittadini e dei pazienti impegnate nell’ambito sanitario e socio sanitario regionale”
La importante questione della partecipazione nelle politiche sanitarie e sociali vede tante strade e tanti problemi di non facile soluzione, ed in questo senso è interessante ripercorrere alcune tappe di questo percorso concettuale.
È stato sottolineato il ruolo che ha avuto l’etica protestante del lavoro, nata dalla logica che governa il monastero benedettino, dove l’anima trasforma il lavoro in un “dovere voluto”. Spetta alla autorità scegliere l’obiettivo e svilupparlo ed elaborarne i risultati, che devono poi essere accettati così come sono. I monaci adempiono senza discussione ai lavori assegnati, che non possono per origine essere irragionevoli, valorizzando i pregi del dipendente “laborioso, affidabile, leale”, che deve abbandonarsi alla obbedienza. Chi pensi che questo modello sia superato, si fermi a leggere i criteri delle schede di valutazione del personale o i tanti limiti posti al personale nell’esprimere critiche sulla organizzazione.
La fase successiva è quella della produzione “scientifica” tayloristica, che parte da una visione diffidente dei lavoratori, costretti ad una “cooperazione armoniosa” con il management da un’analisi scientifica, che elimini le controversie e definisca come svolgere le mansioni. Ne nasce un sistema burocratico e parcellizzato, dove spetta solo al manager ogni progettazione, con un meccanismo piramidale gerarchico che contabilizza e supervisiona, definendo anche la badilata ottimale del carbone. Qualunque attività viene trasformata in una linea di assemblaggio da suddividere in singoli frammenti analizzabili, al cui interno viene isolato il dipendente, prigioniero delle sue mansioni. È facile vedere come gli attuali meccanismi organizzativi in sanità siano spesso improntati da questa visione che scompone la visione globale in singoli frammenti quantificati. Si riflette anche nella stessa Salute Mentale organizzata per luoghi e ambulatori specializzati invece che per attività.
Sarà Elton Mayo nel 1923, studiando il fallimento produttivo del management scientifico, a scoprire che la variabile più importante per la produzione era il diverso clima delle relazioni sul lavoro. Questo ha aperto due strade, di cui la prima, talvolta utilizzata in modo distorsivo, sottolineava il ruolo degli aspetti psicologici, dove elementi patologici del dipendente o del gruppo influenzano i risultati del lavoro.
Ma la seconda mostrava come fosse determinante il coinvolgimento degli operatori e prendere atto che chi fa il lavoro lo conosce meglio di chiunque altro.
Peraltro, ne sono scaturiti filoni diversi, legandosi anche alla nuova realtà dei manager per professione, capaci di passare attraverso realtà produttive completamente diverse, collegate solo da fatto che si produce qualcosa, legittimato a non conoscere cosa realmente si faccia. E, potremmo aggiungere, con la nuova realtà di una politica che decide le organizzazioni. Troviamo filoni realmente partecipativi, esemplificati dal metodo Toyota (ed il successivo Six Sigma), ispirati da Deming, dove i processi produttivi sono analizzati insieme da manager e dipendenti, ipotizzando e testando insieme le soluzioni. Ma troviamo anche le tante distorsioni del cosiddetto “management dell’eccellenza” alla Peters, dove si sfruttano le giuste aspirazioni a sentirsi protagonisti per creare l’illusione di un ambiente di partecipazione. La porta di questi manager è sempre aperta, ma le orecchie sono chiuse o limitate a prendere tanti appunti sulla agenda, che semplicemente rimarranno là.
Così troviamo continue riunioni su tutto, dove però le decisioni non sono assunte o sono svuotate in altre sedi. Si trascura che l’importante non è fare riunioni, ma che in queste i problemi effettivi siano posti e venga chiarito o deciso qualcosa. Alla fine è una “tecnologia dell’entusiasmo” che sostituisce un’informazione corretta con slogan ed eventi celebrativi, mentre fallimenti e problemi rimangono nell’ombra.
La partecipazione reale alla fine si riconosce per tre cose: che non vi sia frammentazione fra chi è coinvolto, che vengano date alle persone le informazioni per poter conoscere la situazione e decidere di conseguenza, e che vi sia una effettiva condivisione in quelle che poi sono le scelte operative.
La differenza, dunque, non la fanno riunioni o assemblee, ma un effettivo cambiamento nella gestione del potere, che accetta di mettersi in discussione, consentendo un maggiore controllo da parte dei tanti soggetti coinvolti nel lavoro. Non si tratta di trasformare tutti in manager o risolvere i problemi con le votazioni, ma dell’importanza che le persone possano intervenire in modo informato sugli argomenti che le toccano direttamente, costruendo collettivamente la decisione, dove il manager è un leader, non un monarca.
In questo l'informazione è un punto centrale, mostrando approcci diversi nei modelli organizzativi tradizionali e in quelli partecipativi. Le organizzazioni gerarchiche limitano la condivisione di informazioni, centrate sull’idea che solo i livelli gerarchici elevati ne abbiano competenza, ammesso che le analizzino e ne tengano conto… Limitare questo aspetto nega la partecipazione, e, non solo impedisce la visione effettiva dei problemi per i quali si chiede un contributo, ma distrugge la fiducia reciproca. Come nota Carlzon, una persona priva di informazioni non può assumersi responsabilità; una persona a cui sono date informazioni non può che prendersi responsabilità.
Tutto questo per dire che è certo importante che la Regione Veneto istituisca l’Assemblea delle Associazioni, ma la partecipazione richiede molti altri aspetti che però sono messi in dubbio, ad esempio, da quelle che sono state le esperienze per la Salute Mentale. Queste esperienze ci parlano dell’ormai costante rifiuto da parte della Regione nel fornire informazioni con dati sullo stato dei servizi; e ci raccontano come un anno di lavoro di svariati gruppi di operatori e stakeholders su vari ambiti abbiano portato solo ad una onerosa conferenza senza alcuna ricaduta sullo stato dei servizi. E ci domandiamo che senso abbia coinvolgere nella partecipazione solo innumerevoli associazioni di pazienti e cittadini, creando una Assemblea tanto vasta quanto probabilmente improduttiva, ma escludere gli operatori, al punto da non accettare associazioni che abbiano, tra i componenti degli organi direttivi, personale dipendente di Aziende ed Enti del S.S.R. della Regione del Veneto.
Andrea AngelozziPsichiatra
16 febbraio 2024
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