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Gli infermieri e i giornalisti. Conoscere prima di scrivere

di Edi Sostero

16 NOV - Gentile direttore,
le cose che si vanno dicendo partendo dagli articoli di Mario Pirani pubblicati su Repubblica a mio avviso vanno tenute gelosamente attive. Sono cose che riguardano le infermiere e gli infermieri di questo paese. E non è poco visto che noi infermieri siamo in più di trecentomila.
 
La cosa che colpisce subito anche a chi non è del settore è che molti parlano di queste figure ma spesso chi ne parla non lavora da infermiere. Questo è già indicativo. Auspico che per il futuro venga chiesto alle infermiere, che operano negli ospedali nelle case di riposo, cosa pensano delle varie istanze e delle varie questioni affrontate ad esempio anche in questi articoli.
Un lavoro che costa ma è indispensabile. Forse un po’ trascurato.
 
La mia è solo una modesta proposta.
Provate con le domande inerenti il loro lavoro. Ad esempio quanti malati a testa le infermiere (dove si tratta di infermiere laureate) devono assistere nell’arco delle ore notturne del turno? Chiedete ad esempio quante ore consecutive fanno di notte? Potete cominciare per avviare le interviste parlando di ferie...di ore di straordinarie...sono argomenti importanti per chi lavora a contatto con il malato perché anche queste figure sono esseri umano con aspettative, bisogni, diritti, alla pari di un comune cittadino.
Il bravo giornalista, il bravo sociologo, chiede all’interessato prima di scrivere sulle cose che lo riguardano, e quando poi viene contestato, su quello che scrive, porta a testimonianza la sua fonte.

Sarebbe assurdo infatti che io da infermiere mi metta a scrivere di questioni legate al lavoro dei giornalisti senza prima avere per lo meno parlato con dei giornalisti in modo da portare poi a difesa di quello che ho scritto le testimonianze del diretto interessato.
Questo per far si che un ragionamento più ampio lo si affronti e non lo si tratti con delle dichiarazioni che oso constatare, ma potrei sbagliare, non arrivano sempre al nocciolo delle questioni.
Perché la mia sensazione è che le cose siano un pò cosi. E’ una sensazione non gradevole. Forse sono io a sbagliare ripeto. Vorrei tanto
essere smentito e vorrei che tutti voi sociologi, giornalisti, abbiate l’umiltà per una volta di agire in questo modo.
 
Facendo cosi, però, il vostro lavoro ne verrebbe arricchito.
Inoltre abbiate e lo ripeto abbiate il coraggio di dire di quali infermieri state parlando. Di quelli della sanità pubblica o privata. Di quelli di quale città e di quale struttura per cortesia e quando fate i paragoni con l’estero fateli anche con le varie realtà dell’Italia che, come si sa, è fatta a macchia di leopardo. Vi prego, cari giornalisti, abbiate il coraggio e la voglia di essere precisi di indicare di chi e di cosa state parlando.
 
Va detto che lo studio è importante. Laurearsi per fare l'infermiere è giusto e l'umanizzazione delle cure non può passare a prescindere dalla presenza o meno di luoghi di lavoro e di ritmi di lavoro più umani anche per chi lavora. Le cose si fanno e si ragionano sempre e soltanto per priorità. E' il nostro metodo di lavoro a insegnarcelo. In un organismo colpito dalla malattia prima si interviene sulla patologia più invalidante in un secondo tempo su quella secondaria e meno importante al fine dei segni e dei sintomi e delle necessità assistenziali. Andate per priorità. Del fatto che siamo in pochi per tutto quello che ci viene richiesto, ne vogliamo parlare?

Edi Sostero
Udine 

16 novembre 2012
© Riproduzione riservata

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