Gentile Direttore,
che mancassero i professionisti sanitari (e fra questi in particolare infermieri) è cosa nota. Mancano in ingresso (meno 8,6% - rispetto allo scorso anno - delle domande di ammissione ai 22 Corsi di Laurea triennale delle Professioni Sanitarie) e ne escono molti, a causa di organizzazioni non inclusive, modelli organizzativi obsoleti, scarse possibilità di sviluppo e carriera, remunerazioni inadeguate.
Ma ci sono alcuni elementi emersi nelle ultime settimane che conducono a quella che vogliamo definire “la tempesta perfetta”. Ci riferiamo ai tentativi maldestri di promettere formazione “breve” per diventare infermieri, di reclutarli dall’estero, di creare profili “tampone” e infine alla questione pensionistica.
Cosa hanno in comune questi eventi? Sono degli indicatori di una crisi generale: prima e durante (e dopo) il percorso professionale.
Prima: pochi scelgono la professione. La domanda tipica del marketing moderno: consiglieresti questo lavoro a un amico? Deve aver fatto il suo effetto. Chi ci lavora probabilmente porta con sé, spesso, una narrazione di fatiche, che se non è compensata da leve motivazionali ed etiche, rischia di avere la meglio.
Durante: organizzazioni sanitarie con scarsità di risorse e di spesso di strategie di sviluppo professionale e di retention, rischiano di essere poco attrattive sul lungo periodo e di favorire l’uscita precoce e le dimissioni di chi aveva aspettative diverse di autorealizzazione.
I tentativi di soluzione di questi problemi sembrano essere degli ulteriori squarci nella “coperta corta” degli organici. Alcuni sono fuori legge (come la formazione “breve” per diventare infermieri), altri sono in procinto di diventare legge, ma ci lasciano perlopiù insoddisfatti.
Non si parla di una vera rimodellazione del sistema, di innovazione, di sperimentazione, di futuro insomma. Sembrano tutte soluzioni attinte da un passato che non può essere il punto da cui partire per disegnare il nuovo.
Infine, rimane, forse, un ultimo aspetto, magari sullo sfondo ma che può avere un certo peso.
Ci riferiamo al noto fenomeno della c.d. “medicina difensiva” o, nel nostro caso, della sanità difensiva e di uno dei suoi aspetti. La paura. La paura della responsabilità, intesa come paura di essere prima o poi coinvolti, a qualche titolo, in un procedimento, penale o civile (e a volte contabile, per colpa grave).
E’ vero che la legge Gelli Bianco ha messo sullo sfondo la responsabilità penale del sanitario e offerto uno scudo importante con riguardo a quella civile, stabilendo, sostanzialmente, che è la struttura sanitaria o socio sanitaria, pubblica o privata che risponde, in prima battuta, delle condotte dolose o colpose dei propri collaboratori.
Ma ciò che davvero induce a una riflessione è il fatto che il contenzioso giudiziario, pur mitigato, si ribadisce, dagli effetti positivi della legge Gelli Bianco, ha rischiato e forse rischia ancora di diventare una sorta di “malattia sociale”. E i sintomi di questa malattia sociale, come ci ricordano Fiori e Marchetti (2018), vanno ben oltre all’aspetto legato alla medicina difensiva come la conosciamo oggi, ma sono costituiti dall’atteggiamento troppo diffuso di ostilità che pervade l’opinione pubblica nei confronti dei sanitari (e le troppo frequenti aggressioni nei P.S – e non solo – in danno di sanitari ne sono un sintomo ben evidente).
E tra i sintomi di questa malattia sociale vanno incluse anche tutte quelle conseguenze psicologiche che possono poi dare luogo a quella che, nel 1993, Elias Hurtado-Hoyo e altri, in uno studio commissionato dalla Associazione Medica Argentina, hanno definito la “sindrome clinico giudiziaria”, che può svilupparsi dopo che un sanitario apprende di essere coinvolto in un procedimento giudiziario e che produce rabbia e senso di ingiustizia
In sintesi, agli aspetti che prevalgono oggi sono l’insicurezza, la paura e la demotivazione. Come faremo a uscire fuori da tutto questo? E in quanto tempo? Serviranno politiche, strategie e applicazioni concrete che tengano conto di questa complessità e di tutti questi aspetti.
Ecco dunque, la “tempesta perfetta”, termine che è usato in meteorologia per descrivere un ipotetico uragano che arriva a colpire in maniera infallibile l’area più vulnerabile di una determinata regione, creando i maggiori danni possibili e che ben può essere utilizzato oggi per descrivere il drammatico scenario che si sta svelando nel mondo sanitario.
Annalisa Pennini
PhD in Scienze Infermieristiche - Sociologa
Giannantonio Barbieri
Avvocato esperto di Diritto Sanitario