Gentile Direttore,
lo stimolante intervento del dott. Romano sulle prospettive della AI (intelligenza artificiale) in ambito medico induce alcune riflessioni. Probabilmente pochi tra i giovani colleghi lo sanno, ma non è passato poi molto tempo (in un inquadramento storico della Medicina) da quando, in una sorta di delirio medico collettivo, l’asportazione chirurgica di tonsille e appendici ileo-cecali raggiunse livelli inimmaginabili: alcuni decenni orsono finirono nei rifiuti ospedalieri tonnellate di tali reperti anatomici. Se oggi dovessimo porre la domanda del perché di tutto questo, quasi certamente la risposta sarebbe che, siccome tutti i medici facevano così, allora era giusto fare così.
È quindi con favore che abbiamo assistito alla proposta di una medicina basata sulle evidenza/prove di efficacia (EBM), in grado finalmente di valutare, sulla base di prove scientifiche, la correttezza o meno delle nostre decisioni cliniche. A voler essere pignoli tuttavia qualche perplessità c’era ed in parte è rimasta, ad esempio:
È quindi con estrema partecipazione che molti di noi hanno vissuto un più recente passaggio ad una medicina definita “personalizzata”, che non esclude affatto la EBM ma anzi la integra con analisi per lo più genetiche in grado di definire/prevedere la risposta individuale alla terapia. Una medicina che ha quindi teoricamente come oggetto il singolo individuo, non gruppi di pazienti omogenei e selezionati. Ne consegue la definizione di “terapie target”, in genere proposte per una specifica condizioni morbosa nella quale si individua uno specifico bersaglio a livello molecolare, magari senza renderci conto che i nostri circa venticinquemila geni non agiscono in modo indipendente gli uni dagli altri, ma costituiscono un network assai complesso, non sempre chiarissimo e spesso non prevedibile, sino al punto che ad una singola variazione genetica (il bersaglio terapeutico) non corrisponde infallibilmente la riposta clinica sperata. Terapie a bersaglio molecolare, si chiamano oggi, per uno sviluppo notevole soprattutto in campo oncologico.
Sarà questo uno dei motivi che hanno di fatto costretto il medico a rapportarsi maggiormente con il computer piuttosto che con il malato, di fatto riducendo la possibilità di una corretta e indispensabile relazione medico-paziente?
In altre parole, sembra ormai che il focus dell’assistenza, passato progressivamente dal malato alla malattia, si stia dirigendo inesorabilmente verso lo schermo del computer. Ci si aspetta quindi che un utilizzo incrementale delle tecnologie e delle innovazioni informatiche possa contribuire a determinare una ulteriore distanza tra medico e paziente, altro elemento sul quale sarebbe necessaria una pausa di riflessione. Sarà (anche) per questo che forse sarebbe necessaria qualche considerazione sull’entusiasmo nei confronti del prossimo ineluttabile passo, ovvero del ricorso esteso alla AI (intelligenza artificiale), da molti annunciata come il prossimo obiettivo/traguardo della Medicina. Ancora una volta, come la nostra Storia insegna, nessun dubbio all’orizzonte e troppo poche riflessioni davanti ad un possibile cambio di paradigma.
Se questa è la strada, ormai segnata, che dovremo percorrere, forse non sarebbe male conservare una certa autonomia di pensiero e, a questo proposito, è con una certa sorpresa che abbiamo letto una recente ricerca pubblicata su Jama nella quale si verifica l’efficacia del Tongxinluo nella terapia dell’infarto-STEMI. Si tratta di un “farmaco” contenente radice di ginseng, estratto di scorpione, sanguisuga, scolopendra, cicala, radice di peonia rossa, borneolo e un orrido insetto dal nome di eupolyphaga sinensis. Un dato assai insolito, in una medicina dominata dalle multinazionali del farmaco e nella quale troppo spesso gli Sperimentatori si limitano all’arruolamento dei pazienti. Bisogna tuttavia riconoscere che, davanti al nostro prossimo destino di adepti di una Medicina basata sull’intelligenza artificiale, sulla dipendenza dall’Industria, sulla totale dedizione a computer sempre più performanti, ci si trova di fronte ad una proposta controcorrente.
Magari non si tratta dell’estratto di Artemisia, pianta angiosperma dicotiledone, che, a fronte di mille iniziali diffidenze, ha di fatto determinato un Premio Nobel per la Medicina ed ha costituito un grande progresso nel trattamento della malaria, però si tratta comunque di un dato interessante.
Non sarà che forse sarebbe opportuna qualche riflessione sulla storia recente della Medicina occidentale e sulla prossima prospettiva dell’AI? Magari riusciremo a rivalutare anche la NI (Intelligenza Normale) e forse persino l’autonomia del pensiero che, la nostra storia insegna, sembra divenuto un elemento sempre meno importante per esercitare la nostra professione.
Pietro Cavalli
Medico