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La scienza politica per salvare la sanità e il modello universalistico

di Alessio Cortiana

18 OTT - Gentile Direttore,
la salute è un diritto, non un bene, non un servizio. Constatazione sulla quale dovrebbe esserci consenso unanime, ma così apparentemente non è più, vivendo una (forse) inevitabile secolarizzazione dei diritti dell’umanità e della loro concettualizzazione, nell’era dell’”apice gaussiano” del capitalismo.

Il diritto, tuttavia, è una forma convenzionale dell’uomo che rinuncia allo stato leonino dell’homo homini lupus per un bene comunitario, come ci ben ricorda Hobbes, erede della lunga tradizione di superamento di una visione materialista dell’ordine naturale delle cose e, conseguentemente, del diritto.

Data questa ulteriore considerazione si comprende come, con da un lato l’aumentare delle cronicità e dei relativi costi individuali e collettivi associati e, dall’altro, data la tendenziale gestione capitalistica basata sul valore nominale altamente aleatorio del denaro nelle nostre società, Huber e colleghi1 propongano una revisione della definizione convenzionale di salute come “una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale e non esclusivamente l’assenza di malattia o infermità” data nel 1948 nella Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Salute. Essi, infatti, propongono una nuova definizione, che concepisca la salute come “l’abilità di adattamento e la capacità di auto governarsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive”.
Pertanto, sia che la salute a livello concettuale sia un diritto convenzionale da garantire ovvero che la consideriamo come una capacità innata, questa viene assicurata attraverso l’erogazione di servizi.

Erogare servizi significa governare dei processi produttivi e il concetto di governo è strettamente legato alle attribuzioni proprie del potere esecutivo, che non sono altro, che la capacità di applicare le leggi, cioè le convenzioni tra gli uomini nella società complessa. Per applicare le leggi è necessario avere il potere di farlo. Il potere, ovvero la capacità di potenza, cioè di azione, corrisponde alla capacità di esercizio di questo attraverso il monopolio dell’informazione o della forza, fisica ed economica.

Pertanto, per garantire la salute, quale che sia appunto la definizione teorico-concettuale che vogliamo darle, dobbiamo avere capacità di potenza per gestire le risorse utili a realizzare l’insieme di azioni necessarie a mantenere stati di benessere o capacità adattive, agendo sui determinanti di salute.

Questa lunga premessa teorica per rispondere a una sola domanda in questo tempo di lunga crisi: come garantire la salute a tutti e come farlo attraverso il mantenimento di un modello di gestione universalistico? Attraverso l’analisi del potere.

E il potere è analizzato dalla scienza politica, che come ricordano Lasswell e Kaplan2, può essere considerata come la scienza del potere. Per cui, per garantire la salute e il sistema universalistico, è possibile assumere che sia necessaria più scienza politica applicata alla sanità per continuare a garantire l’outcome salute.

Assistiamo ad una fase storico-sociale di evoluzione del pensiero scientifico medico che tende, giustamente, a un sistema esclusivamente basato sull’evidenza di letteratura. Tale sistema si interfaccia con quello finanziario, da cui derivano le risorse economiche per la gestione della sanità. Entrambi i sistemi si basano principalmente sull’osservazione dei dati. I dati, tuttavia, non sono che l’insieme organizzato di numeri per dare una rappresentazione della realtà. Se però ci si ferma all’analisi tout court del numero, del dato, trascurando l’inserimento in un contesto sociale, quindi politico, possiamo garantire veramente la sicurezza della salute come un “non bene”, ma bensì uno stato, di diritto o innato dell’uomo?

Per garantire la salute, non dovremmo basarci esclusivamente sull’epidemiologia, la biostatistica, l’econometria, l’economia sanitaria, la clinica peer reviewd, ma considerare anche l’aliquota “umana”, che è equilibrio di capacità di azione, quindi di esercizio del potere. Pertanto abbiamo necessità più che mai di includere la scienza politica con le sue competenze e peculiarità scientifico disciplinari e i suoi approcci nella gestione della sanità.

In tal senso è necessario che anche i politologi inizino a occuparsi di sanità, che promuovano studi di scienza politica applicata, poiché senza la scienza politica, che deve essere ricercata da chi si trova in ruoli programmatori, ma anche proposta da chi la teorizza, difficilmente possiamo continuare a garantire la salute.

Alessio Cortiana
Public Health PhD Student
School of Medicine and Surgery
University of Milano Bicocca


Note
1 BMJ 2011;343:d4163 How should we define health?, M. Huber et al.
2
Morgenthau, H. (1952). Power and Society; A Framework for Political Inquiry. By Harold D. Lasswell and Abraham Kaplan. (New Haven: Yale University Press. 1950. Pp. xxiv, 295. $4.00.). American Political Science Review, 46(1), 230-234. doi:10.2307/1950772

18 ottobre 2023
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