Gentile Direttore,
dobbiamo prendere atto che, nel giro di 24 ore la “giornata della salute mentale” è passata e si è già nella “giornata mondiale della vista”. La cultura dell’effimero è anche questo: essere per un giorno sul palcoscenico, illuminati dalle varie dichiarazioni di politici che, a seconda dello schieramento, sottolineano più le criticità o le promesse. Con tutti che condividono, almeno per quelle poche ore, la grande attenzione al problema.
Il Ministro poi, come riporta puntualmente Quotidiano sanità ha confermato la sua attenzione, enumerando pazienti in trattamento e prestazioni fornite, consegnando una targa alla memoria di Barbara Capovani ed evidenziando che il Tavolo Ministeriale sulla Salute mentale insediato a maggio ha prodotto 30 audizioni; ha anche rassicurato economicamente e garantito che sarà consentito alle Regioni spendere già che rimane eventualmente dei 60 milioni complessivi nazionali, che erano stati stanziati ancora due anni or sono.
Facciamo fatica a mettere insieme queste cifre con gli oltre 2 miliardi all’anno che sarebbero necessari per mettersi a livello della spesa minima necessaria… lo stanziamento era 1-2% di quanto servirebbe, ed i possibili avanzi sono decimali ... Sappiamo che la Grande Marcia era iniziata con un piccolo passo, il problema è che facciamo fatica a vedere gli altri.
L’analisi è indiscutibilmente ampia, quando però si tratta di proporre qualcosa si ha la sensazione che gli aspetti nuovi siano pochi. Ritroviamo infatti principi generali ed indicazioni sui livelli di assistenza ampiamente presenti nei due progetti obiettivo nazionali e nelle varie linee di indirizzo ministeriali. Vengono indicati requisiti per le strutture che fanno già parte di tante norme di autorizzazione ed accreditamento.
Poi vengono formulate nel dettaglio l’articolazione e le caratteristiche delle varie strutture, rispettando la consueta declinazione fra Dipartimento, Servizio psichiatrico di Diagnosi e Cura, Centro di Salute Mentale, Semiresidenzialità e residenzialità. Si declina anche la modalità per interventi di urgenza, emergenza e crisi, di lotta alla contenzione, di integrazione fra servizi, e con l’università.
Apparentemente c’è tutto, ma è questo secondo me il primo problema. Che senso ha irrigidire in una legge un modello, che finora è stato declinato in Progetti Obiettivo, che sarebbero molto più elastici e flessibili al mutare delle esigenze, e che poi già esiste?
La idea è che con questo si possa affrontare il problema, detto ma non approfondito, che poi le Regioni sono sovrane, ed decidono in modo autonomo non tanto il fatto che ci sia questa articolazione, ma quanto questa sia capillare e adeguatamente dotata di risorse?
Cosa succede se una Regione non ottempera?
E come si rapporta questo con le autonomie regionali che rimangono sovrane nella organizzazione della sanità?
Ma poi questo sistema di ragionare per luoghi e non per attività, o di confondere attività con luoghi, funziona realmente o finisce in un costante cercare di adattare i pazienti ai luoghi, dimenticando di concordare invece con l’interessato e la letteratura scientifica cosa serva a quel paziente e quali siano quindi gli interventi necessari?
E’ impossibile pensare un Dipartimento che abbia una sua fluidità e che quindi sappia adattarsi ad una diversa realtà territoriale, al mutare della richiesta con l’emergere di nuovi bisogni, a ciò che serve a quella persona invece di ciò che serve a quella struttura? E’ impossibile pensare ad una analisi dei dati che ci possa aiutare in questo senso, a capire cosa ne è dei percorsi delle persone, invece che enumerare utenti e prestazioni per i vari luoghi?
Alla fine la proposta, che dettaglia tutto, ma non gli standard minimi di personale, ripropone il finanziamento alla salute mentale del 5% del FSN, forse sperando che, essendo scritto in una legge, diventi per questo un obbligo in epoca di regionalismo differenziato. Mi si lasci qualche dubbio al riguardo, anche in relazione alla particolarità di una salute mentale che fa parte del SSN, ma sarebbe la sua unica realtà ad avere un finanziamento vincolato.
Ma poi vincolato per fare cosa? Per proporre più in grande il modello esistente, che era stato pensato in epoca post manicomiale per certi pazienti con certe esigenze, che non sono quelle ormai dominanti nei servizi? Per rischiare di offrire maggiore residenzialità invece che interventi sugli esordi, come sta avvenendo nonostante protocolli e linee di indirizzo? Con questo risolviamo le tante contraddizioni in cui attualmente si muove la salute mentale?
E’ una proposta importante, segno di attenzione al problema, ma mi porta più domande che risposte.
Una soprattutto: è mai possibile che di queste cose non ci sia un luogo ove parlare ad eccezione delle ospitali colonne di Quotidiano Sanità?
Alla fine credo che la giornata mondiale sia un problema, rischiando di essere l’unico giorno in cui se ne parla, ed inevitabilmente con toni aulici di entusiasmo o critica, invece di essere all’attenzione di un dibattito costante da cui possono emergere osservazioni e proposte.
Andrea Angelozzi
Psichiatra