Gentile Direttore,
quanti servizi televisivi sono andati in onda e quanti reportage giornalisti abbiamo letto negli ultimi 2 anni sulla sanità calabrese cronicamente afflitta da carenze di organico, disfunzioni organizzative, degenerazione burocratica, clientelare ed affaristica con reparti ed interi ospedali sull'orlo del collasso per cui alla gente non resta che emigrare per avere un'assistenza decorosa. In una regione commissariata da un decennio la situazione sembrava compromessa e avviata verso il punto di non ritorno, con molti Pronto Soccorso a rischio di chiusura per mancanza di personale.
Certo la sofferenza della sanità italiana è generalizzata e accomuna tutte le regioni anche se alla punta dello stivale si deve fare i conti con un surplus di crisi, simboleggiato dai bandi pubblici e dai concorsi per colmare i buchi di organico regolarmente deserti mentre continua la lenta emorragia di medici verso altri approdi. Una situazione paradossale che vede gli stessi medici calabresi, come i pazienti, migrare alla ricerca di migliori occasioni di lavoro e di trattamento economico, magari a gettone.
Una sorta di invisibile virus assediava il SSR calabrese, fino a quando si è fatta strada la pazza idea, la soluzione impensabile: visto che al Nord il covid era stato arginato con il supporto di équipe sanitarie provenienti da mezzo mondo perché non chiedere aiuto all’estero per sconfiggere il morbo organizzativo calabrese orchestrando una sorta di piano Marshal sanitario di ricostruzione del SSR? Così si è fatto appello alla sanità cubana per tentare di risalire la china. Detto fatto: un anno fa è stato firmato l’accordo con una SpA di servizi caraibica per “importare” 497 medici cubani; subito dopo aver terminato un corso intensivo di lingua e cultura dalla metà agosto 51 dei 171 fino ad ora arrivati sono stati mandati in prima linea, non senza prevedibili polemiche sindacali, professionali e dubbi sull'affidabilità clinica.
In poche settimane, dopo essere stati accolti da feste di benvenuto e momenti conviviali e superate alcune diffidenze, sono arrivati i primi riscontri positivi, a partire dal rafforzamento della trincea emergenziale. Le cronache riferiscono l'apprezzamento dei pazienti per la professionalità dei medici caraibici che si fanno ben volere, rimettono in moto la macchina organizzativa arrugginita e risollevano le sorti di servizi sull’orlo della paralisi. Insomma, un successo accompagnato dal calore della gente verso i nuovi arrivati che si stanno adattando e conquistando la fiducia degli utenti, tant'è che al bar c'è sempre qualcuno che offre loro il caffè nello spirito meridionale di accoglienza dello straniero.
Si dirà, niente di straordinario: nella situazione in cui versavano alcuni ospedali è bastato rimpolpare organici ridotti all'osso per migliorarne la funzionalità. Toccato il fondo del barile ci vuol poco per risalire. La crisi calabrese non è meno acuta di quella pandemica e tuttavia le obiezioni di carattere amministrativo, legale, assicurativo e formativo sollevate oggi non vennero avanzate nel 2020 durante la prima ondata di Covid. Certo le differenze contano: con la pandemia il soccorso organizzativo fu autonomo e di breve periodo mentre oggi i medici cubani sono inseriti a pieno titolo nell’organizzazione con un contratto finno al 2025 e già si paventa il rischio di ridiscendere sul fondo il giorno in cui se ne andranno
Eppure, si intravvede dell'altro, al di là del recupero di una fisiologica normalità, ovvero un valore aggiunto rispetto al minimo sindacale di efficienza e funzionalità. Sempre le cronache riferiscono che in alcuni servizi di radiologia le liste d'attesa sono state azzerate e un volonteroso medico cubano si è ingegnato per rimettere in funzione un ecografo, senza attendere le trafile burocratiche e a prescindere dalle farraginose regole aziendali. Se non è un miracolo questo.... Non a caso altri governatori si stiano interessando all’esperimento cubano-calabrese e dagli ospedali della zona si sono levate lamentele: perché non vengono a dare una mano anche a noi?
In Calabria è in atto una grande sperimentazione sanitaria, dai risvolti antropologici e socio-organizzativi, un inedito incontro transculture che promette di incrinare equilibri consolidati, resistenze corporative, alibi per mantenere lo status quo, rassegnazione e luoghi comuni come le lamentele per uno stato latitante; in realtà senza una "rivoluzione culturale" e civile dal basso non ci sono facili scorciatoie e semplici soluzioni calate dall’alto per uscire dal tunnel. Insomma, i cubani stanno esportando la rivoluzione castrista in Calabria? Il governatore non si scompone: “le buone idee non sono né di destra né di sinistra, del resto non mi importa nulla”.
Forse non è tutto oro quel che luccica, come dipingono la situazione le cronache idilliache, ed è presto per fare previsioni sugli esiti di lungo periodo dell’esperimento. Per ora, parafrasando il titolo del libro di un grande pedagogista "di strada", si può solo commentare: c'è speranza se questo accade a Reggio!
Dott. Giuseppe Belleri