Gentile Direttore,
per chi riveste un ruolo che non è di rappresentanza politica ma di fiducia ricevuta da una comunità scientifica a salvaguardia dell'etica della professione e del corretto rapporto con gli aspetti giudiziari della attività quotidiana, corre l'obbligo, in certe temperie che investono, come una sineddoche, una intera categoria dentro a un singolo episodio, di intervenire a evidenziare storture e anomalie.
Non certo a scudo corporativo, o sul legittimo piano sindacale, ma solo a tutela di quanto di prezioso è offerto alla comunità sociale dalla specialità che esercitiamo.
A causa della meritata popolarità di un giornalista rimasto vittima di una grave malattia, si è scatenata sulla stampa e sui mezzi di informazione una ridda di ipotesi, di "diagnosi", di accuse, di autodafé precoci, quando a mala pena era stata iniziata una attività inquirente, che sarebbe l'unica titolata a prendere decisioni dopo aver analizzato i fatti con l'aiuto di competenti.
Coerentemente con questa premessa, non intendo in nessun modo entrare nel tema tecnico in corso di accertamento, che peraltro coinvolge stimatissimi colleghi di chiara fama e consolidata cultura e perizia, che io non sono nemmeno titolato a valutare.
Non vorrei però ripetere la stanca litania "l'altro ieri tutti virologi, ieri tutti climatologi, oggi tutti radiologi e oncologi", ma la tentazione è forte. Infarciti di intollerabili errori tecnici molti articoli scritti dai tuoi colleghi si sono sguaiatamente dedicati a
Come, ahimè, capita anche in altri campi, un fatto intimo e personale è diventato argomento di gossip, per quanto tragico, con conseguenze però stavolta non solo sui colleghi coinvolti, ma sull'intera assistenza, instillando nella opinione pubblica, senza che ne fosse ancora provata la minima evidenza nei fatti, il dubbio che siano state somministrate terapie invasive impropriamente.
Io sono un pubblico servitore, ma mi interessa molto poco il fatto che il tutto si sia svolto nell'ambito del mercato sanitario privato, o, meglio, mi interessa moltissimo per altre fondamentali osservazioni che non rientrano negli scopi di questo intervento, e che mi riservo, se la cosa dovesse risultare interessante, di fare in tutt'altro contesto. Ma, da frequentatore delle reti sociali, sono a testimoniarti una ondata di odio generato da questa sguaiatezza francamente evitabile con maggiore sobrietà.
Il clima, per chi lavora nella Sanità, e anche per noi radiologi, spesso esposti ad una pretesa di oggettività impossibile anche dai nostri colleghi, è diventato ormai irrespirabile e la morte si è trasformata in un evento pubblicamente considerato impossibile.
Nonostante la comprensibile volontà di chiarezza dei parenti, che hanno avuto una percezione che qualcosa fosse andato storto, ed è esperienza comune che talvolta questo non corrisponda al vero, e anche che altre volte naturalmente sia possibile, come sempre nelle attività umane, forse ai cronisti sarebbe spettata una maggiore prudenza nell'entrare come il proverbiale elefante nella cristalleria.
Addirittura, uno di essi, si diceva legittimato dal rigore verso la verità del collega scomparso, che immagino invece avrebbe atteso di avere elementi più solidi prima di portare in piazza dei professionisti per un pubblico sacrificio. Questo, diciamo anche questo, non potrà che aumentare la paura e la diffidenza dei professionisti nel dover prendere decisioni, quasi mai univoche o definitive, nella preoccupazione di essere successivamente infamato a prescindere, ben prima che i fatti vengano accertati.
Io, che ho organizzato in altri tempi un corso per medici e giornalisti insieme sulla comunicazione sanitaria presso l'Ordine dei Medici di Roma in collaborazione con l'Associazione Stampa Romana, con un certo successo, non mi sogno nemmeno di insegnare ad altri il loro mestiere.
Tuttavia credo che, senza ledere in alcun modo il diritto di cronaca, sia da preservare uno stile professionale che rispetti sobrietà e soprattutto che non corra su dati incerti e confusi, come confermato dalle grossolane inesattezze rilevabili negli articoli, a conclusioni affrettate non supportate da dati reali, in danno alle persone, professionisti e pazienti.
Stefano Canitano
Presidente della sezione di studio Etica e Radiologia Forense della Società Italiana di Radiologia Medica e Interventistica