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Mmg. Ecco perché va mantenuto il rapporto di convenzione libero professionale 

di Antonio Panti

26 GIU -

Gentile Direttore,
QS ha pubblicato di recente il “Manifesto per la medicina generale”, proposto dalla FP CGIL e che espone per esteso le tesi sostenute su questo stesso giornale da Roberto Polillo. L’idea che il medico di famiglia sia il primo decisore della presa in carico del cittadino, quale figura di riferimento per l’assistenza primaria, sia per la promozione della salute che per la cura, coordinando l’equipe multiprofessionale del territorio, è senz’altro condivisibile, come lo è la constatazione del ritardo con cui si procede alla soluzione dei problemi del territorio nonostante le promesse durante la pandemia.

La CGIL ha ragione anche nel sostenere che lo snodo dell’assistenza territoriale è l’accordo della medicina generale con il quale si debbono definire il ruolo e i compiti di questa figura professionale.

Su questo punto il Manifesto della GIL è categorico: il medico generale deve essere del tutto integrato nel servizio e quindi, contrattualmente, non può che essere dipendente.

Penso che quasi tutti gli istituti contrattuali che la CGIL propone siano in effetti ottenibili in entrambi i rapporti giuridici di dipendenza o di convenzione. Inoltre, nonostante la gestione dell’invidia, i dipendenti invidiano i liberi professionisti e viceversa, ritengo che i medici operino con integrità e competenza indipendentemente dal rapporto di lavoro che è estraneo alla deontologia professionale.

Detto questo mi dichiaro a favore del mantenimento del rapporto di convenzione libero professionale e per una ragione basilare. Il servizio sanitario, anzi qualsiasi tipo di assistenza organizzata, costringe il cittadino entro una gabbia di regole entro le quali non ha scelte. Di fatto soltanto il medico generale è espressione di una preventiva fiducia; al di là di questo si va dove il servizio vuole. Temo, anzi sono certo, che il rapporto di dipendenza del medico generale finisca per affievolire o escludere questo unico diritto di scelta, residuo della libertà auspicata dalla legge di riforma.

Mi restano poi alcuni dubbi. Il primo riguarda la prossimità del servizio territoriale per tutti i cittadini. Almeno la metà dei medici ha più di un ambulatorio, situato in piccole frazioni, che gestisce con la propria retribuzione. Piccoli servizi di prossimità utilissimi per gli anziani. Ogni giorno può capitare qualche problema che il medico risolve di tasca propria e da sé. Lo farà il dipendente o chiamerà la logistica della ASL, ammesso che voglia mantenere il servizio nella borgatella con cento abitanti sperduta tra i monti?

La CGIL promette anche le ferie pagate. Bene, ma oggi il sostituto lo trova il titolare; se, invece, sta dentro la pianta organica come avviene in ospedale, temo che i conti non tornino.

Infine come si possono mantenere i diritti pensionistici acquisiti e quindi irrinunciabili? E’ un problema giuridico e economico non da poco, capace di innescare contenziosi pluridecennali.

Come andrà a finire? Spero non con una soluzione pasticciata e dannosa per medici e cittadini. Spero non con una soluzione ideologica. Ma ci spero poco.

Antonio Panti



26 giugno 2023
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