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Nei confini sfumati tra naturale e artificiale. Il rischio del transumanesimo

di Lucio Romano

05 MAG -

Gentile Direttore,
superare e annullare i limiti della dimensione biologica. Eliminare aspetti non desiderati come la sofferenza, la malattia, l’invecchiamento e persino l’essere mortali. Dovere morale è migliorare le capacità fisiche e cognitive della specie umana con un corpo in concordanza con i propri desideri.

È la scommessa del transumanesimo. Antropopoiesi tecnologica del postumano, essere naturale o artificiale con capacità fisiche, intellettuali e psicologiche migliori rispetto a un “umano normale”. Un’umanità 2.0 liberata dai suoi limiti. Un uomo nuovo, un oltre-uomo capace di riprogrammare sé stesso.

È la “filosofia dell’illimite” della Transhumanist Declaration, di Max More con la Lettera a Madre Natura, di Nick Bostrom che delinea spazi di vita, di relazioni, di sentire e pensare accessibili – secondo una scala gerarchica – dai livelli più limitati degli animali prima e degli esseri umani poi, per giungere infine a quelli – appunto senza limiti – dei postumani. Secondo questa visione il nostro attuale modo di essere umani abbraccerebbe solo un minuscolo sottospazio di ciò che è possibile o consentito dai vincoli fisici.

È la distopica narrazione tra l’immortalità nella vecchiaia nel mito di Titone e l’eterna giovinezza di Faust?

Stiamo assistendo a una evoluzione delle biotecnologie dagli orizzonti inediti, con implicazioni che riguardano anche la sicurezza e la giustizia sociale. In campo biomedico, ad esempio, dalla classica finalità curativa-preventiva-riabilitativa a quella potenziativa. Vale a dire dal miglioramento e dalla ottimizzazione – con interventi che spingono le capacità biofisiche all’interno della normalità statistica – al potenziamento (enhancement) inteso come intervento intenzionale finalizzato a modificare il normale funzionamento oltre il livello tipico della specie e oltre il margine statisticamente normale.

Una vera e propria sfida antropologica. Un nuovo mondo il cui paradigma è l’emancipazione dai limiti dati dalla natura con una ridefinizione radicale dello statuto umano. “Diversamente dal mondo antico, dove l’andare oltre i confini stabiliti dalla divinità è hybris che viene punita, la modernità è un andare al di là dei limiti, un plus ultra, un navigare verso l’ignoto.”

Con il neuropotenziamento cognitivo (cognitive neuroenhancement) si procede secondo una visione dell’intelligenza umana intesa come insieme di funzioni-prestazioni separate, su ciascuna delle quali poter intervenire. Come ci ricorda Remo Bodei, “nella loro ambiguità intrinseca le nuove tecnologie rivelano ora il proprio classico carattere di pharmacon, rimedio e veleno, e impongono una riformulazione dei compiti di facoltà che ritenevamo unicamente nostre: ragione, volontà, immaginazione.”

È la storia dei nostri tempi. Di un domani che già si profila nell’oggi. In cui si confrontano “naturalisti” e “normativisti” nella determinazione di ciò che rappresenta il terapeutico-riparativo e quanto, invece, è potenziamento di funzioni e capacità. Quest’ultimo, poi, fino a giungere al postumano.

I naturalisti pensano che si possa dare una descrizione scientifica oggettiva, avalutativa, servendosi di metodi statistici. L’esistenza o meno di una deviazione dalle norme regolanti le funzioni fisiologiche tipiche degli organismi umani costituirebbe un criterio di distinzione universalizzabile.
I normativisti, invece, reputano che ciò che viene classificato, nelle diverse epoche e società, come malattia sia sempre frutto di un determinato contesto sociale e dei valori culturali contingenti. Insistendo sugli aspetti di costruzione sociale inerenti alla definizione di salute e di malattia, i normativisti ritengono che i due concetti siano sempre permeati da giudizi di valore, storicamente e culturalmente determinati.

Generalmente si ammette, come già evidenziato dal Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB), che la linea di demarcazione fra terapeutico riparativo/enhancement di funzioni e capacità possa, talvolta, essere sfumata e presupponga, comunque, un accordo previo circa ciò che è normale / anormale. Per dirlo con Paolo Benanti, “la possibilità di intervenire sulla cosiddetta normalità per ottenere l’enhancement si fonda sulla convinzione, almeno implicita, che se la salute è divenuta ormai solo normalità, l’uomo necessita di strumenti esterni per raggiungere una pienezza di felicità e realizzazione che la salute stessa da sola non può garantire. Il miglioramento cognitivo è, nella sua radice antropologica più profonda, un tentativo di conquistare questa ‘pienezza di vita’ perduta nel vivere dei nostri contemporanei. I confini tra naturale e artificiale stanno sfumando, rendendosi indistinguibili.”

Necessaria una considerazione. Non bisogna cadere nel catastrofismo dei tecnofobi, quella della sconfitta dell’uomo, o nel trionfalismo dei tecnofili. Oppure riproporre un irrealistico luddismo. Fermare la ricerca e l’innovazione tecnologica non funziona. Piuttosto governare e abitare con discernimento, ovvero “capacità di valutare in modo corretto gli effetti delle azioni, con attenzione alle ripercussioni che esse hanno sia a livello personale che sociale. Discernimento nel segno della prudenza e della responsabilità”.

Diverse le tecniche potenzianti riportate nella letteratura scientifica biomedica, seppur con varie riflessioni bioetiche. Effetti in rapidissima evoluzione sulla base dei costanti progressi in neuroingegneria, nanotecnologia, biologia molecolare, genetica e scienze dei materiali. Ad esempio, i neurostimolatori o farmaci nootropici che possono incrementare la memoria a breve e lungo termine; impedire il consolidamento di memorie indesiderabili; aumentare la concentrazione, l’apprendimento e il controllo cognitivo. Questi potenzianti sono stati richiamati in letteratura con suggestive terminologie quali smart drugs, lifestyle drugs, viagra for the brain, cosmetic neurology.

E poi le tecnologie di ingegneria neurale come la stimolazione cerebrale profonda (Implanted Deep Brain Stimulators – DBS), le interfacce cervello computer (Brain Computer Interfaces – BCIs) e cervello macchina (Brain Machine Interfaces – BMIs). Strumenti potenzialmente trasformativi.
Il loro uso e le prospettive future sollevano problemi di sicurezza. Secondo il Rapporto del Pew Research Center, per quanto indirizzate a migliorare le capacità dell’essere umano, sussistono questioni complesse relative proprio a capacità di consenso, responsabilità legali e trasparenza dei processi decisionali.

A fronte di indubitabili benefici (sensori cerebrali impiantati accoppiati alla robotica in persone con paralisi, stimolatori transcranici fai-da-te, sistemi di stimolazione cerebrale a circuito chiuso, …) lo sviluppo dei sistemi BrainGate pone questioni etico-sociali e legali.

Se un dispositivo stimola il cervello mentre si decide un'azione, chi sarà il responsabile dell’azione? Un dispositivo potrà rendere accessibile agli altri l'interiorità dell’esperienza della singola persona? Il dispositivo cambierà il modo in cui si pensa sé stessi e la percezione degli altri? Tali interrogativi fondamentali sorgono anche quando un dispositivo è progettato solo per uno scopo relativamente circoscritto, come il ripristino del funzionamento tramite una protesi intelligente?

Il campo per la riflessione bioetica è ampio. Così quello del biodiritto e della politica. Prospettive inedite ci interpellano. Nuovi diritti verranno rivendicati. Nuovi doveri dovranno essere definiti. Sarà adeguato il richiamo a una gerarchia dei valori riconosciuti e condivisi oppure sufficiente il riferimento ai diritti fondamentali dell’uomo?

Auspicabili e necessarie nuove regolamentazioni. Tenendo comunque conto della strepitosa velocità di innovazione delle tecnologie, in un tecnodeterminismo che evolve in tecnocrazia, l’obiettivo è far corrispondere uno sviluppo che riconosca la centralità dell’uomo rispetto a quella attribuibile a un oltre-uomo.

Ritornano attuali e profetiche le parole del cardinale Carlo Maria Martini sugli orizzonti e i limiti della scienza. “L’intero cammino verso l’intelligenza artificiale finirà per svalutare il valore della persona, riducendola a pura meccanica? O, invece, saranno i valori dell’uomo a indurre la scienza ad aprire nuovi fronti grazie alle conquiste tecnologiche? Purché l’intelligenza umana rimanga padrona dei processi.”

Riemerge il riferimento imprescindibile alla dignità intrinseca, ontologica, inalienabile di ogni essere umano – ragione di “fondazione e legittimazione delle società democratiche” – a fronte di una dignità attribuita, manipolabile con la tecnica fino alla giustificazione del postumano.

In questo contesto la politica non può svolgere un ruolo ancillare. Necessario assumere responsabilità. Fondamentale il dibattito pubblico, aperto e inclusivo, per non compromettere valori democratici sostanziali.

Questo solleva importanti questioni sul rapporto tra il postumano e la democrazia, sistema politico che si basa sull’etica della convivenza, la partecipazione popolare e l'uguaglianza dei cittadini. Una partecipazione comunitaria senza deleghe deresponsabilizzanti e senza cedere a sconsigliabili passività morali. Altrimenti saranno élite che domineranno la global repository of intelligence, l’intelligenza globale del pianeta. Una vera e propria ingegneria sociale.

Lucio Romano
Medico Chirurgo e Docente di Bioetica
Componente Comitato Scientifico “Centro Interuniversitario di Ricerca Bioetica”



05 maggio 2023
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