Gentile direttore,
con Decreto 27 aprile il Ministro ha costituito un nuovo tavolo tecnico della salute mentale per garantire efficienza ed efficacia rispetto ai temi emergenti della salute mentale e per il miglioramento della qualità dei servizi attraverso l’implementazione dei percorsi di prevenzione, trattamento e riabilitazione, in collaborazione con le istituzioni, gli enti preposti, le Società scientifiche, le Agenzie regolatrici, le Associazioni dei familiari, del volontariato e del terzo settore.
Uno dei problemi che attende il tavolo è come erogare ai cittadini interventi che non siano solo farmacologici. I dati statistici ufficiali SISM 2019 indicano come gli interventi psicologici/psicoterapici rappresentino solo il 6,4% del totale delle prestazioni erogate nei servizi della salute mentale. Se si considera l’insieme degli utenti con diagnosi gravi (depressione grave, disturbi della personalità e del comportamento, mania e disturbi bipolari, schizofrenia e altre psicosi funzionali) emerge come solo il 2,4% di questi abbia ricevuto almeno una prestazione di trattamento psicologico/psicoterapico.
Questo nonostante nel documento approvato dalla Conferenza Stato-Regioni il 13 novembre 2014 in attuazione del PANSM venga raccomandato che per questi disturbi, in ciascuna delle tre fasi della malattia (presa in carico precoce, gestione della fase acuta e trattamenti continuativi e a lungo termine), siano previsti trattamenti psicologici/psicoterapici, in molti casi considerati di elezione.
Gli ultimi dati SISM disponibili (2020) non mostrano significativi cambiamenti in quanto l’attività psicologica/psicoterapica continua a rappresentare solo il 6,2% del totale delle prestazioni erogate nei servizi della salute mentale e quella relativa alle prestazioni psicologiche rivolte agli utenti con diagnosi gravi si attesta al 3,2%.
Una situazione che va contro le evidenze scientifiche, le linee guida internazionali e i desideri dei cittadini, che, soprattutto nei disturbi di ansia e depressione più comuni, preferiscono e richiedono in oltre sette casi su dieci un trattamento di tipo psicologico/psicoterapico.
Una situazione che non è in linea con la normativa e con ciò che Stato e Regioni dovrebbero garantire ai cittadini: “il Servizio sanitario nazionale garantisce alle persone con disturbi mentali la presa in carico multidisciplinare e lo svolgimento di un programma terapeutico individualizzato, differenziato per intensità, complessità e durata, che include le prestazioni, anche domiciliari, psicologiche e psicoterapeutiche necessarie e appropriate” (art. 26 dei Livelli Essenziali di Assistenza LEA).
Oggi nel SSN su 4790 psicologi psicoterapeuti dirigenti (Annuario Statistico Ministero Salute 2020) 2058 lavorano nei servizi di salute mentale per adulti e gli altri sono distribuiti in altri contesti territoriali (infanzia, consultori, dipendenze, hospice, ecc.) ed ospedalieri.
Un numero largamente insufficiente sia per la salute mentale che per l’ampia gamma di attività che contemplano la presenza di competenze psicologiche dentro una logica di integrazione e lavoro in rete ed in equipe. Basta solo sfogliare i LEA per rendersi conto delle situazioni e del numero di articoli che chiama in causa gli interventi psicologici di prevenzione, promozione, diagnosi, terapia e riabilitazione.
Nello specifico della salute mentale adulti (dai 18 anni in su) la situazione vede una sostanziale impossibilità di erogare agli utenti valutazioni ed interventi di questo tipo se non in misura del tutto residuale, con grave danno rispetto al concetto di appropriatezza sia clinica che economica, viste le evidenze sulla efficacia a lungo termine in molte situazioni, i vantaggi economici e i benefici di trattamenti combinati farmaci-psicoterapia.
E’ vero che la situazione dei servizi di salute mentale è da migliorare e potenziare nel complesso, anche con un maggiore collegamento con i servizi sociali e per il lavoro, con misure adeguate alla evoluzione dei bisogni, ma tutto questo richiede maggiore integrazione e non la sottovalutazione di una componente essenziale quale quella psicologica.
E’ altresì vero che i CSM non si occupano di tutte le situazioni di disagio psicologico, che sono più articolate nei diversi contesti e servizi del SSN, ma rappresentano indubbiamente una componente fondamentale della risposta a queste problematiche.
Purtroppo i segnali non sono incoraggianti se si guarda alla recente intesa Stato-Regioni del 21 dicembre 2022 che ha recepito un documento Agenas elaborato senza il coinvolgimento di competenze o società scientifiche psicologiche, che ha stabilito nei servizi salute mentale adulti (CSM e SPDC) un parametro di uno psicologo-psicoterapeuta ogni 20 mila abitanti (!!). Mentre lo standard degli psichiatri (a regime 6633) e quello del restante personale (infermieri, educatori, OTA/OSS, assistenti sociali, ecc.: a regime 30.864) appare misurato alle nuove esigenze, quello degli psicologi-psicoterapeuti (a regime 2494) appare piuttosto evidenziare una sorta di rinuncia ad occuparsi di questi aspetti. Una situazione paradossale parlando di servizi di “salute mentale”.
Riuscirà il nuovo Tavolo ad invertire questa situazione? Garantendo non solo numeri adeguati ma un approccio integrato (che includa lo “psico” tra il “bio” e il “sociale”) e non solo farmacologico alle persone con problemi mentali?
Guardando la composizione del nuovo Tavolo ci sarebbe da avere dubbi e preoccupazioni, non certo per la qualità delle persone (che non è in discussione) ma per una composizione sostanzialmente monoprofessionale. Dobbiamo e vogliamo sperare che i componenti del Tavolo siano in grado di “andare oltre” e garantire i necessari confronti, tenendo conto che non si tratta di “accontentare” questa o quella componente ma di leggere i bisogni reali e dare risposte appropriate, esigenza primaria di ogni pubblico servizio che si regge sulla fiscalità generale.
Daniela Rebecchi
Membro del GdL Sanità CNOP