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La scarsa attrattività delle professioni sanitarie

di Mauro Carboni

07 APR -

Gentile Direttore,
sono ormai trascorsi diversi mesi dalla firma definitiva del contratto comparto sanità e già stanno emergendo le prime difficoltà applicative. Un contratto scaduto nel 2021 che nel 2023 non riesce a prendere forma. E’ chiaro che molti impianti contrattuali aziendali non erano predisposti a recepire le novità introdotte dal ccnl e ciò sta rendendo tutto più difficile.

Era prevedibile che incentrare lo sviluppo delle carriere dei sanitari esclusivamente sul sistema degli incarichi scaricando l’applicazione sulla contrattazione aziendale avrebbe creato qualche problema. La differenza relativa, tra aziende, della consistenza del fondo economico destinato a remunerarli si traduce nel rischio di uno sviluppo eterogeneo del sistema tra regione e regione e tra azienda e azienda.

Un impianto contrattuale che invece di favorire un reale sviluppo delle carriere ne sancisce la precarietà. In molti casi si traduce in una vera e propria perdita economica per il personale interessato poiché, tra le altre cose, essere titolare di incarico non consente la monetizzazione dello straordinario.

“Fare carriera” dovrebbe concretizzarsi nella possibilità di salire nella “scala gerarchica” delle professioni, avanzare nei gradi dell’impiego. La disciplina degli incarichi propone una carriera “ad elastico”, non un evoluzione nell’inquadramento giuridico del professionista.

I rischi applicativi a livello decentrato? Stante un preesistente assetto organizzativo aziendale, in presenza di fondi insufficienti per un significativo sviluppo degli incarichi, si potrebbe verificare un taglio di alcuni di quelli esistenti per realizzarne di altra tipologia. Altro rischio potrebbe concretizzarsi nel mantenerne invariato il numero complessivo attribuendo un’indennità minima per tutti. Insomma le possibilità potranno essere molte, ma il rischio di un effetto paradosso sulle “carriere”, sull’organizzazione e sul funzionamento delle aziende è piuttosto concreto.

Nella contrattazione nazionale, una fotografia degli assetti organizzativi aziendali, poiché ogni azienda ha il proprio, avrebbe probabilmente favorito la previsione di applicabilità del sistema. Oggi si rischia di intaccare l’organizzazione delle aziende semplicemente perché il fondo incarichi non è stato incrementato tenendo conto delle strutture organizzative già esistenti e della necessità di colmare il vuoto degli incarichi professionali. Il disegno organizzativo aziendale rischia di diventare ostaggio del contratto!

Credo importante, per avere un quadro generale, citare alcuni dati. Nel 2016 su 238.945 dirigenti delle amministrazioni pubbliche, 112.746 (oggi 108.250) erano dirigenti medici del SSN, con un attivo nazionale di 225 aziende sanitarie pubbliche.
Nel 2020 i dirigenti delle professioni sanitarie stabilmente assunti nel SSN erano circa 400, prevalentemente nei ruoli di Direttore/Responsabile delle strutture di direzione.

Un panorama questo molto distante dalla valorizzazione del ruolo e delle professioni sanitarie. Sono diverse le fonti autorevoli a ritenere che con tali numeri sia difficile anche solo garantire il corretto funzionamento del sistema. Le professioni sanitarie avrebbero bisogno di un corpo dirigenziale di altra portata, anche per fornire un maggiore contributo alle strategie aziendali. Questo contratto sembra non riuscire a sviluppare nemmeno i livelli “quadro” e dare un corpo significativo alla quinta area per coprire le esigenze organizzativo-gestionali e cliniche indispensabili per assicurare la continuità dei servizi. C. Calamandrei & C. Orlandi, già 25 anni fa affermavano che “considerando le esigenze delle aziende sanitarie e alla luce dell’esperienza internazionale è opportuno ritenere il caposala (oggi diremmo funzione organizzativa di coordinamento) un dirigente di primo livello nel contesto della dirigenza infermieristica”.

La scarsa attrattività delle professioni sanitarie, a partire da quella infermieristica è anche figlia di queste politiche! Nel 2022 il calo delle domande nelle università è stato consistente. I laureati infermieri scendono sotto le 10.000 unità e si passa al 25° posto tra i paesi OCSE per le retribuzioni.
Ritengo che i contratti, così come le condizioni di lavoro, siano le cartine di tornasole dell’importanza che politica e sindacato attribuiscono alle professioni sanitarie ed i giovani siano molto attenti a questi indicatori.

Senza nuove risorse lo sviluppo delle carriere rimarrà solo sulla carta. Credo auspicabile una politica contrattuale al passo coi tempi. Per la sanità occorre un contratto nuovo, realistico, rispettoso dei professionisti e ricco di contenuti non di contenitori virtuali.

Dott. Mauro Carboni
Esperto di diritto contrattuale – Docente di organizzazione



07 aprile 2023
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