Gentile Direttore,
ieri in una lettera sui cui contenuti concordo in pieno, Antonio Panti si è schierato contro l’autonomia differenziata e ha auspicato la confluenza delle professioni sanitarie e delle loro articolazioni in un fronte comune in grado di smuovere il confronto pubblico e creare le condizioni per una svolta riformistica del servizio sanitario.
Ha poi indicato alcuni degli elementi che potrebbero essere il cuore di questa svolta quali: un finanziamento analogo a quello dei maggiori stati europei, una rigorosa programmazione nazionale vincolante rispetto alle autonomie regionali, il divieto di affidamento ai privati di spezzoni del servizio, l’abolizione del vincolo di assunzione e il coinvolgimento del personale nella governance del servizio.
Panti stesso ha però anticipato subito che “manca un punto d’incontro di tutte le diverse posizioni politiche ove tentare una sintesi unitaria”. In realtà quello che manca nel mondo delle professioni sanitarie è un punto di incontro delle diverse posizioni tecniche più che politiche.
La mia impressione personale è che non esista una idea di sanità pubblica condivisa nel mondo delle professioni sanitarie il che le porta a rappresentare ciascuna un proprio punto di vista specifico che quando si va al di là dei titoli (che Panti ha sintetizzato benissimo) porta a visioni molto differenti.
Se dunque è facile trovare la unanimità contro la autonomia differenziata e a favore di un maggior finanziamento della sanità, della rimozione dei tetti di spesa del personale e di un maggior governo del rapporto con i privati, emergono importantissime differenze su temi cruciali come ad esempio il ruolo degli ospedali, gli ambiti di competenza delle diverse professioni sanitarie e i modelli organizzativi della assistenza territoriale.
Chi partecipa al dibattito su QS ha di solito i suoi tormentoni (o cavalli di battaglia o fisse che dir si voglia) e su questi si basa nelle riflessioni che cerca di offrire al confronto.
Come sa chi ha la pazienza di leggere ogni tanto i miei contributi sa che il mio tormentone/cavallo di battaglia/fissa è rappresentato dalla programmazione ospedaliera, al secolo il DM 70.
Non voglio riprendere la discussione sul Decreto, mi limito a dire che una idea troppo diversa sul ruolo, sulla programmazione e sulla organizzazione degli ospedali impedisce al mondo (dis)unito della sanità di creare un fronte comune in grado di smuovere il confronto pubblico come auspica Panti. Se questo vale a livello nazionale, vale ancor di più a livello regionale.
Voglio offrire un esempio al riguardo preso dal Masterplan di Edilizia Sanitaria della Regione Marche approvato nel febbraio del 2022. Nell’Allegato 1 a questo Atto è riportata una Tabella (vedi qui sotto) in cui si utilizza la classificazione del DM 70 per la descrizione dei vari ospedali destinatari di alcuni finanziamenti del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e del PNC (Piano Nazionale degli Investimenti Complementari).
Questa classificazione viene usata per trasformare un ospedale di area disagiata (quello di Pergola) in un ospedale di base nonostante sia privo delle discipline/attività che lo caratterizzano come l’ortopedia e la terapia intensiva.
Altrettanto impropria è la classificazione di alcuni ospedali come sede di DEA di I livello in assenza di un atto formale (che manca) che classifichi tutti gli ospedali della Regione, visto che il DM 70 prevede un numero massimo di ospedali con DEA di primo e secondo livello.
Questo Masterplan non ha avuto alcuna “contestazione” da parte del mondo delle professioni e delle istituzioni sanitarie delle Marche (Università compresa), ammesso che qualcuno al suo interno si sia accorto delle implicazioni che esso comporta.
Chi sta leggendo queste righe sa che ci sono idee molto diverse sul ruolo degli ospedali e quindi sul DM 70 e la sua revisione. In questa sede oggi non conta riprendere i punti al riguardo su cui ci sono le differenze più importanti, ma solo prendere atto che i punti di vista su un tema essenziale come le reti ospedaliere sono molto diversi e lontani tra loro.
E a volte non ci sono nemmeno punti di vista che si confrontano, lasciando la politica indisturbata a fare le sue scelte come da anni avviene nelle Marche (tanto per dire, l’ospedale di Pergola ha sede nel Comune di cui è stato a lungo Sindaco l’attuale Assessore ai lavori pubblici della Giunta di centro-destra della Regione Marche Francesco Baldelli di Fratelli d’Italia).
Ma anche sul ruolo dei Distretti i punti di vista sono molto diversi come testimoniato da interventi che li vorrebbero “forti” come quello di Luciano Pletti o che li definiscono “evanescenti” come ha di recente scritto Bruno Agnetti.
Citavo a proposito delle questioni su cui si confrontano posizioni molto diverse all’interno del mondo della sanità anche quello del rapporto tra i vari ruoli professionali. Nel dibattito sui reparti di post-acuzie a gestione infermieristica sono ad esempio emerse posizioni molto diverse in occasione della bocciatura da parte del Consiglio di Stato di una unità di degenza attivata dall’Azienda Ospedaliera di Perugia su richiesta della CIMO e dalla AAROI.
Anche su ruolo dei distretti e livelli di autonomia/responsabilità della professione infermieristica non entro in questa sede nel merito, ma le forti differenze che ci sono dentro il mondo della sanità su temi come questi mi fanno temere che manchi una idea di sanità pubblica comune. Una idea che andrebbe costruita nel mondo della sanità in cui tendono a prevalere punti di vista parziali e contrastanti che hanno un enorme problema a trovare una sintesi da offrire alla politica e ai cittadini.
Politica che invece, almeno a livello locale, una idea ce l’ha: quella che porta più voti che non sempre è quella che porta più salute. Spesso nel silenzio dei professionisti e qualche volta con il loro sostegno.
Claudio Maria Maffei