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La metafora del calabrone e la sanità

di Giuseppe Belleri

18 GEN -

Gentile Direttore,
fino a qualche anno fa era in voga la metafora del calabrone: secondo i calcoli di uno studioso, basati sulle leggi dell’aereodinamica, era virtualmente impossibile spiegare come il fastidioso imenottero potesse spiccare il volo. In realtà ricerche successive hanno dimostrato che i calcoli erano sbagliati e che il calabrone non violava alcuna legge quando ronza per l’aria.

Ciononostante la metafora ha avuto una persistenza negli anni e viene ancora utilizzata per dimostrare che non tutti i fenomeni, ad esempio socioeconomici, si possono spiegare con un approccio scientifico riduzionistico e meccanicistico.

C’è qualche cosa che sfugge a questa prospettiva, nel senso del noto motto secondo cui “il tutto è più della somma delle parti”; talvolta dai processi sociali ed organizzativi emergono sviluppi inattesi, per un sorprendente valore aggiunto qualitativo rivelatore di risorse nascoste o sottovalutate.

È questo, a grandi linee, il succo dell’intervento delle ex parlamentari Bindi e Dirindin apparso su La Stampa del 13 gennaio scorso così sintetizzato nel titolo e sommario: “La Sanità svenduta in nome del mercato, ma l’Italia rimane un piccolo miracolo, dal numero di decessi evitabili con le cure (-30% rispetto alla media Ue) ai pazienti sopravvissuti ai tumori. Il servizio sanitario è malato ma svela le nostre capacità: raggiungere grandi risultati con poche risorse”.

Insomma il calabrone sanitario pubblico nonostante tutto vola ed anche alto, a dispetto dell’immagine di un bel che arranca agli ultimi posti delle classifiche internazionali. È più o meno questa la sorpresa che manifestano all’estero gli studiosi nell’analizzare indicatori ed esiti del nostro welfare, che li fa esclamare di incredulità: come fa lo stato sociale a reggersi in piedi nonostante un evidente sotto finanziamento rispetto alle medie della UE?

Il Covid-19 però ha sottoposto il sistema ad uno stress test aggiuntivo, più per i suoi effetti collaterali a lungo termine che per quelli acuti. Durante la pandemia la flotta pubblica per restare a galla si è disfata della zavorra ambulatoriale chiudendo i battenti delle strutture periferiche; con il lento tramonto del Covid-19 è arrivato il prevedibile rebound, per il combinato disposto tra la spontanea rinuncia della gente timorosa del contagio e per i milioni di prestazioni annullate e rinviate sine die; con il ritorno alla routine si è allargato il gap tra domanda ed offerta fino a divenire una voragine incolmabile, tanto da costringe la gente a rivolgersi al mercato puro, prontamente disponibile a compensare out of pocket gli effetti collaterali della ritirata strategica pubblica.

L’impatto più “dirompente” del Covid-10 è stato sul territorio e sulla cronicità ambulatoriale, rispetto alla risposta emergenziale infettiva, bene o male riassorbita dall’organizzazione ospedaliera seppure a prezzo del blocco dell’offerta. Anche perché il sistema è arrivato alla stretta pandemica appesantito da un surplus di domanda inevasa proprio nella specialistica ambulatoriale, dove già si registravano liste e tempi d’attesa abnormi, divenuti ora incolmabili sul breve periodo. Così a pagare il prezzo, in senso proprio e figurato, dei grandi risultati pre-pandemici sono stati da un lato gli operatori sanitari, in termini di stress, sistematici rinvii di contratti, tensioni gli utenti etc., a loro volta, dall’altro, indotti a mettere mano al portafoglio per ottenere le prestazioni negate dal pubblico.

Il mondo animale, questa volta vertebrato, propone un’altra metafora ad hoc: il pollo broiler, balzato alle cronache a seguito di un’inchiesta televisiva su una grande azienda zootecnica marchigiana bio, piuttosto “chiacchierata”. È il volatile d'allevamento più redditizio perché in 40-60 giorni raggiunge una ragguardevole stazza, grazie ad un petto prominente, tanto da non reggere più con le fragili zampe un corpo a tal punto sproporzionato da farlo crollare a terra sotto il suo stesso abnorme peso. L’analogia con il SSN è evidente: già prima della pandemia il sistema era gravato da una domanda esorbitante, anche perché appesantito da farraginose procedure amministrative e burocratiche nel tentativo di contenere gli effetti di due fenomeni speculari: le aspettative irrealistiche degli utenti e le prestazioni auto-indotte per il rilancio delle promesse a compensazione di quelle andate deluse (il bioeticista Daniel Callahan alla fine del secolo scorso le ha definite “false hopes”).

Tre sono le spie di un sovraccarico sistemico ingestibile a breve: la vicenda dei Piani Terapeutici sistematicamente rinviati per 2 anni e poi scaricati agevolmente sul territorio, il paradossale soluzione dei medici a gettone per coprire i turni scoperti in PS e lo schianto del “pulcino” lombardo della PiC nel 2020-2021 per un ingestibile fardello burocratico.

Ora il sistema rischia seriamente di collassare sotto il proprio peso come il broiler, per una contingenza storica in cui convergono in tempi brevi nodi problematici di lungo periodo, non riducibile al fantasma della presunta privatizzazione: un imponente ricambio generazionale, aggravato dalla defezione pensionistica precoce di operatori sanitari abbandonati sul territorio e nei PS, la contingenza economico-finanziaria pandemica e bellica, una generale sottovalutazione cognitiva dei problemi e delle dinamiche perverse innescate dal welfare.

Insomma, un vastissimo programma!

Dott. Giuseppe Belleri

Ex MMG - Brescia



18 gennaio 2023
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