Gentile direttore,
qualche giorno fa avevo promesso al familiare disperato e sconosciuto di un malato di mente che avrei risposto al suo quesito circa il perché si sia a tal punto liso il tessuto della Salute Mentale. La endiadi pericolosità e responsabilità e dunque la necessità di fronteggiare responsabilmente il pericolo dell’incontro con il trasgressore di cui prevenire condotte pericolose a sé e agli altri, tenute in ragione di una sofferenza psichica profonda e difficile da trattare, rinviano alle grandi riforme nel settore: Legge 180 e chiusura dei vecchi istituti di internamento giudiziario.
Una Salute Mentale adulta e autorevole avrebbe potuto/dovuto mettere a disposizione dei rei folli -dalla stessa Legge 180 chiusi strategicamente fuori della porta di una cura composita, non più basata cioè unicamente su farmaci e chiavistelli- una risposta alta ai loro problemi. E invece si è immiserita persino la rete in precedenza gettata.
Cosa ha impedito la naturale evoluzione di competenze acquisite e consolidate? Due fattori confluenti e anchilosanti. Da una parte, l’irrigidimento biologistico della psicopatologia, sempre meno interessata al divenire dinamico e sempre più irretita da una fede talebana in incertezze passate per certezze scientifiche. Sua alleata in questa evoluzione atrofica è stata la politochiatria al potere, con l’arte della cura sopraffatta dalla ideologia e il reclutamento dominato da appartenenze più che da competenze e buone prassi.
E poiché chi va con lo zoppo zoppicar fa le viste, gli psichiatri hanno appreso, da una politica in media scadente, che si poteva essere di banda per giustificare tutto, anche l’abbandono del malato al suo tragico destino, anche la stolta teorizzazione della imprevedibilità/imprevenibilità di ogni agito. Una vera tragedia in termini di dissipazione di un sapere onesto costruito laboriosamente da operatori persuasi della necessità di muoversi in maniera interdisciplinare e organizzata per opporsi ai problemi della sofferenza psichica.
L’organizzazione, data in mano a chi ha scelto di esser di banda, si è sfilacciata e il suicidio della Salute Mentale è diventato sempre meno ipotetico. Non più propensa a valorizzare la interdisciplinarità della eziopatogenesi e della cura, in quanto preda di un furore biologistico; nella impossibilità di darsi una organizzazione preparata, convinta e convincente, la Salute Mentale, che si era messa da sola nell’angolo, è stata da più parti avvertita come inutile, illanguidendo.
Ecco la risposta a quel familiare disperato: una convergenza diabolica tra l’imporsi della visione semplificata di un problema complesso e la contaminazione corruttiva del sistema da parte della politica, che ha contribuito ovviamente a fornire coperture di comodo, diventate coperture vicendevoli: ti tolgo risorse e tu taci; scegli l’accidia istituzionale e io taccio. Niente che gli addetti ai lavori non sappiano e non abbiano sperimentato sulla propria pelle.
Gemma Brandi
Esperta di Salute Mentale applicata al Diritto