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Non di solo vaccino vive la Sanità, ma soprattutto di professionalità e passione

di Ciro Isidoro

22 AGO -

Gentile Direttore,
i ricoveri nelle terapie subintensive e intensive e i decessi provocati dalla pandemia COVID-19 da marzo 2020 a oggi hanno fortemente provato la tenuta del nostro sistema sanitario, ma soprattutto hanno messo a dura prova la tenuta fisica e psichica dei medici e più in generale di tutti gli operatori della sanità.

I vaccini anti-COVID-19, già disponibili a dicembre 2020 e resi obbligatori per i medici (e i sanitari tutti) da marzo 2021, hanno rappresentato una prima soluzione tampone (nel senso di aver attenuato la gravità della malattia e limitato il numero dei pazienti che necessitano ricoveri), e tuttavia non hanno risolto definitivamente il problema.

Molti medici (e sanitari) dubitando dell’efficacia e della sicurezza di questi vaccini a mRNA hanno rifiutato la vaccinazione.  Questi medici sono stati etichettati in modo denigratorio “no-vax”, e sono stati sospesi dall’esercizio professionale senza stipendio (come previsto dalla legge).

E così abbiamo assistito e stiamo assistendo a qualcosa di surreale, e anche di poco edificante. In pratica, medici (e altri professionisti della salute) che per tutto il 2020 hanno lavorato fianco a fianco fino allo sfinimento per curare i pazienti ammalati di COVID-19 improvvisamente dal marzo 2021 sono divisi in SI-vax (i vaccinati) e in NO-vax (i non vaccinati, quale che ne sia la motivazione). Insomma, il virus li aveva uniti e il vaccino li ha divisi. Ma “a chi giova questa divisione?” Provo a rispondere con una domanda: forse ai politici che devono trovare il capro espiatorio di tutti i disastri fatti nella sanità pubblica e che la gestione della pandemia ha evidenziato in tutte le sue criticità?

E i pazienti? Già, i pazienti… ci sono anche loro, che non capiscono ma subiscono (si veda Ester Maragò).

E quale è stata la soluzione adottata dalla politica per far fronte a queste criticità? Ancora una volta una soluzione transitoria (ormai, si parla solo di “transizione” e non di “soluzione”): rivolgersi alle cooperative di colleghi in pensione che offrono servizi a caro prezzo.

Domandarsi perché la sanità tutta è allo sbando e quale dovrebbe essere e quale potrà essere il futuro della professione medica è un tabù da no-vax?

I motivi del disamore alla professione e dell’impossibilità di esercitarla come vorremmo noi e come ce lo chiedono i nostri pazienti sono stati ben illustrati dal Prof. Ivan Cavicchi su questo giornale e riassunti da Ornella Mancin. E la soluzione non è dividere i medici in pro- e anti-vax. Dobbiamo tornare a lavorare insieme per il bene del paziente, come prima del vaccino.

Sfide ben più grandi ci attendono: l’impatto della tecnologia e della digitalizzazione, il ruolo dell’insegnamento universitario e del tutoraggio professionale, le diverse mansioni e la collaborazione tra i professionisti della sanità, la formazione specialistica post-laurea, e molto altro. E solo insieme potremo affrontarle, avendo ben presenti tutte le implicazioni e per non subirne le possibili distorsioni.

E in questo l’ordine dei medici assume un ruolo importante nel governare la “transizione” alla nuova professione, impedendo di disperdere il patrimonio culturale e umano del “vecchio” medico. Perché non di solo vaccino vive la sanità, bensì e soprattutto di capacità professionale e di passione e amore per il paziente.

Ciro Isidoro

Professore Ordinario di Patologia Generale e Immunologia, Scuola di Medicina dell’Università del Piemonte Orientale, Novara

 



22 agosto 2022
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