Gentile Direttore,
su QS il Prof. Luigi Vero Tarca esprime, con garbo e precisione, la sua posizione filosofica sull’obbligo vaccinale per il personale sanitario lasciando trasparire, in filigrana, il risvolto politico: perché l’obbligo?
Il Prof. Tarca sostiene che il contrasto sull’obbligo vaccinale offre l’opportunità per una discussione pubblica sulla legittimità di questo sia sul piano del diritto che su quello politico della validità della fonte normativa e delle procedure adottate. Come imporre regole per tutti in un mondo democratico ma multivaloriale?
Non entro, per manco di competenza, nella discussione che nasce con i presocratici e giunge ai nostri giorni. Chiunque, anche fondandosi sui ricordi liceali, potrebbe partire da Platone e Aristotele per arrivare a Rowls attraverso Grozio, Hobbes, Rousseau, senza dimenticare le teorie sul diritto di Kelsen e Schmidt. Se ne ricava un dibattito importante su cui anche i profani hanno diritto alle proprie idee.
Ma non è questo il punto. Due considerazioni: non esiste società se non si danno regole di convivenza; la procedura di formazione delle regole distingue il regime politico ma non ne inficia la validità. Ciò perché senza regole non si dà convivenza.
La tutela della salute è un caso topico della crisi che nasce per i criteri di formazione delle regole perché si deve trovare sintesi la tra il diritto dell’individuo e quello della comunità e non sempre è possibile. La giustificazione della scelta, in casi siffatti, si trova in una norma, non solo kantiana, sul perché fare il bene e sul non danneggiare gli altri: neminem ledere.
Non è quindi nell’emergenza si debbono trovare accordi che rispettino i diversi convincimenti. In realtà assai spesso si deve decidere se le scelte sono vantaggiose per l’individuo o per la collettività: quando vi è contrasto prevale quel limite al diritto di ognuno che è il danno altrui.
Nella professione medica si deve ascoltare, provare empatia e proporre soluzioni. Questo vale anche in politica, intesa come scienza della convivenza. Ne traggo qualche conclusione. E’ certamente preferibile convincere a vaccinarsi piuttosto che obbligare. Ma di fronte a un possibile danno sociale che si fa? La ragione non è un bene di largo consumo e qualcuno che non si convince, nonostante la bontà delle argomentazioni, ci sarà sempre. Il problema nasce dai limiti della razionalità umana.
Tuttavia il discorso sulla libertà individuale trova un limite per i professionisti sanitari. Nessuno può essere costretto a prendere la patente ma se vuol guidare un autobus deve possederla perché il datore di lavoro non ha altro modo per garantire l’utenza. Il vaccino per i medici è un obbligo di servizio: la democrazia e le questioni filosofiche non vi hanno luogo. Chi non è vaccinato non sta a contatto con i pazienti, è una mera prudenza che il responsabile del servizio esige e che rientra tra gli obblighi contrattuali. Spesso la prassi scioglie i dilemmi.
Diverso discorso è del medico che sconsigli il vaccino in base a considerazioni che, per quanto suggestive, non hanno niente di scientifico. In tal caso il medico danneggia il paziente sottraendolo a una protezione della salute; il contrario della deontologia. Un medico siffatto non è tollerabile. La medicina è una prassi che si fonda sulla scienza: maghi fattucchiere e stregoni possono affermare qualsiasi fantasia i medici no.
Fermo restando la discussione e la tolleranza come principi della convivenza civile, questa ha bisogno di regole e di queste si parla quando si ha l’obbligo di tutelare la salute di tutti: a tal fine qualche preteso diritto deve essere contenuto. Ci si chiede poi, nella visione sociale della medicina, se si tratti di una limitazione del diritto individuale o il misconoscimento del fatto che i diritti della persona sono inscindibili dai diritti di tutti.
Antonio Panti