Gentile Direttore,
in questi giorni è molto vivace il dibattito riguardante la crisi dei Pronto Soccorso. Molti a livello politico ritengono che la questione sia da individuare esclusivamente nella carenza degli organici legata alla mancanza di medici formati per quel tipo di attività. Altri ,specie livello sindacale ritengono che la questione debba essere ricondotta all'aumento delle dotazioni organiche e alla predisposizione di opportuni incentivi salariali.
Alla luce della mia esperienza di ex direttore di dipartimento internistico ritengo che la questione sia molto più complessa e riconosca almeno 3 fattori causali. Il primo è, come ho già avuto di esprimere in altre lettere, la debolezza del territorio che non è, così come organizzato attualmente, in grado di fare fronte alle principali esigenze di urgenza o pseudourgenza che la collettività presenta. Lo dimostra il fatto che oggi quasi il 70% degli accessi in pronto soccorso è codificata come codici bianchi o verdi, cioè situazioni che normalmente dovrebbero e potrebbero essere ordinariamente gestite a livello territoriale.
Di questo credo si siano resi conto i legislatori che nella stesura del DM 71, riguardante il riordino del sistema sanitario territoriale ha disegnato una organizzazione incentrata sulle case della comunità che dovrebbe prevedere una presenza medica ed infermieristica rafforzata in grado di coprire quantomeno le 12 ore diurne e fare fronte così teoricamente a gran parte di quelle situazioni da codice bianco o verde che ora gravitano sul pronto soccorso.
Il problema reale che stride fortemente e contrasta con un'efficace realizzazione di questo decreto è ciò che sta venendo avanti come rinnovo della convenzione dei MMG. in questa bozza infatti si prevede che ciascun medico debba prestare solamente 6 ore all'interno delle case della comunità e mantenga la maggior parte del suo orario nella propria singola attività ambulatoriale, rendendo di fatto inapplicabile quanto previsto nel DM 71.
Il secondo elemento è costituito dalle attuali modalità di lavoro nella stragrande maggioranza dei pronto soccorso. Si tratta infatti di un lavoro" front office" nel quale nella maggior parte dei casi, il singolo medico,per lo più giovane e alle prime esperienze professionali, si trova a dover affrontare e a dare risposte ad un elevato numero di accessi. Questa modalità di lavoro, cioè il lavorare da soli, perlopiù senza confronto con altri colleghi, specie con i più anziani ed esperti unita nella maggior parte dei casi ad una mancanza di riscontri sull' esito di quanto è stato fatto, non aiuta la crescita professionale e risulta alla fine ben poco gratificante.
Il terzo elemento che si collega in maniera molto stretta al secondo è costituito dal fatto che a questi medici giovani manca, con le attuali modalità organizzative,il lavoro in equipe. Lavorare in equipe significa prendersi carico di un paziente dal momento del suo accesso fino al momento della dimissione, attraverso un confronto meglio se multidisciplinare e multiprofessionale, unica vera modalità di lavoro che fa fare esperienza e quindi fa crescere e gratifica i professionisti, il cui iter formativo si completa solamente in questa maniera. Purtroppo l'attuale organizzazione ospedaliera separa, nella maggior parte dei casi, in maniera piuttosto marcata l'area con letti di medicina d'urgenza, nella quale sarebbe possibile questo tipo di attività, dall'area front office di pronto soccorso.
Il problema quindi è un problema complesso e riguarda l'organizzazione dell'intero sistema sanitario, sia a livello ospedaliero che, ancora di più,. a livello territoriale. il DM 71, se realizzato effettivamente potrebbe essere un primo passo, ma se la bozza di convenzione dei MMG rimane così com'è credo che rimarrà nel libro dei sogni.
Poi occorrerebbe un grosso sforzo anche nel modificare l'organizzazione ospedaliera, riducendo le barriere tra i singoli reparti e creando comunque una maggior osmosi tra reparti, degenze e pronto soccorso. Cercando di realizzare modelli che tendano a superare e rendere veramente parcellare una attività di tipo singolo e favorendo invece al massimo il lavoro di equipe, meglio se multiprofessionale e multidisciplinare.
Dr. Giuseppe Chesi