Era tutto previsto, già prima del Covid
di Carlo Rugiu
21 MAR -
Gentile Direttore,
era il luglio del 2019 quando Marzio Bartoloni (
Scuola 24) lanciava un allarme medici fino al 2025, e poi il rischio bolla. Infatti, già allora si prevedeva una sovrapproduzione di neolaureati fra il 2025 e il 2030, con il rischio che chi si fosse iscritto all'università nel 2020 si sarebbe trovato a fine specialità, nel 2030, con lo spettro della sottoccupazione/disoccupazione o, in alternativa, costretto a fuggire all'estero.
Al di là del dramma umano per i diretti interessati e per le loro famiglie, si prospettava già tre anni fa il rischio di un consistente spreco di denaro, considerato che fra università e scuola di specializzazione ogni neo specialista costa alla comunità circa 250.000 euro.
Già allora, venivano identificate come aree di maggiori criticità i servizi di emergenza/pronto soccorso e la pediatria, come poi si sarebbe puntualmente verificato.
Pochi mesi dopo, sempre Bartoloni (
Il Sole 24 ore) riportava che stando al report di “The European House-Ambrosetti” gli italiani godevano di ottima salute – la migliore, dopo gli spagnoli, fra i 14 Paesi europei – nonostante un SSN “da metà classifica”. In particolare, il report identificava 10 minacce al SSN. Tra queste, alcune a distanza di due anni si sarebbero trasformate, sotto la spinta della pandemia, da minaccia in realtà: l’invecchiamento della popolazione, ed il conseguente carico di patologie croniche, l’esitazione vaccinale, la disomogeneità regionale, la carenza di medici e il ritardo nella digitalizzazione.
Alla fine del 2019, l’ANAAO sottolineava un nuovo problema che si andava a sommare al crescente numero di pensionamenti, rappresentato dalla fuga dei medici i quali, stanchi e demotivati, cominciavano a lasciare il SSN per un precoce pensionamento, spesso attratti dal privato o da un impiego all’estero: già in epoca pre-pandemia erano almeno 1.500 i medici che ogni anno emigravano verso altri Paesi europei e la gran parte rischia di non tornare nel Belpaese. Questo fenomeno rappresentava un evento nuovo, che prendeva origine dal fatto che lavorare in ospedale per un neolaureato non costituiva più il Gold standard, come invece era stato per molti medici in passato.
L'ANAAO inoltre stimava in 7.000 all’anno il numero di medici che avrebbero lasciato gli ospedali sotto la spinta della gobba pensionistica fra il 2020 e il 2025, cifra che poi, a seguito dell’impatto negativo della pandemia sulla professione medica, si è rivelata sottostimata.
Mediamente circa il 3% dei medici – su scala nazionale – lasciava l’ospedale, ma queste percentuali erano molto maggiori in Lombardia, in Piemonte e anche nel Veneto, forse per le maggiori opportunità che l’ospedalità privata e/o religiosa avevano iniziato ad offrire anche in queste regioni; un fatto nuovo è stato l’abbandono della corsia da parte di medici ultracinquantenni alla ricerca di un impiego sul territorio, nella medicina di famiglia o specialistica, attratti anche dalla possibilità di non svolgere turni notturni e festivi e con la speranza (risultata poi vana) di svolgere un’attività meno burocratica e con minor rischio di contenziosi con l’utenza.
Tale situazione avrebbe richiesto un adeguato turnover negli ospedali, che non è stato realizzato a causa delle restrizioni per le assunzioni in ambito medico, imposto dalla Finanziaria del 2007.
Per fare fronte a questa situazione è stato varato il Decreto Calabria – luglio 2019 – che ha permesso l’assunzione degli specializzandi degli ultimi due anni della scuola di specializzazione. In realtà, non riteniamo che gli specializzandi, sia pure in dirittura d’arrivo del loro percorso formativo, possano rappresentare una soluzione al problema, quanto piuttosto la classica soluzione all’italiana, un po' tardiva, che non risolve il problema della carenza di medici negli ospedali.
L’errata programmazione dei fabbisogni di specialisti, e i tagli lineari al SSN – unitamente al blocco del turn-over, e ai pensionamenti – hanno portato ad una situazione di grave disagio del SSN già prima del febbraio 2020.
I medici che passano dal pubblico al privato lo fanno perché l’ospedale non è più appetibile come un tempo: ospedali privati e cooperative (sic) offrono orari flessibili e stipendi maggiori. Una indagine della CIMO ha riferito come 18 UOC di Pronto Soccorso su 26 nel Veneto devono ricorrere alle Cooperative per coprire i turni. I neo specialisti preferiscono trovare un impiego nelle Cooperative, e i concorsi pubblici vanno deserti perché i giovani colleghi non vi partecipano. I neolaureati – dopo la pandemia – possono scegliere fra cooperative, USCA, ospedalità privata e pubblica, e gli ospedali pubblici non rappresentano più la prima scelta , come succedeva fino a pochi anni fa.
E’ evidente come oggi siano venute al pettine tutte le criticità del passato, frutto di una programmazione sbagliata. Aggiungiamo che negli ultimi 10 anni sono stati chiusi oltre 5.500 reparti ospedalieri, il che significa minori possibilità di poter ambire ad una apicalità. Ora, è indubbio che in passato ci sia stato un proliferare di UOC che, in alcune occasioni, costituivano dei doppioni o delle frammentazioni di altre già esistenti, ma come spesso capita in Italia, anche qui siamo passati da un eccesso all’altro, facendo tagli indiscriminati per “far quadrare i conti”.
Oggi, con molta amarezza e preoccupazione, dobbiamo prendere atto che la situazione generale del nostro SSN è molto seria e sconta scelte le scelte sbagliate del passato – con conseguenze previste da più parti e preannunciate da tempo, amplificate dalla pandemia.
E’ necessario che la la Politica ascolti, ora o mai più, prima che sia troppo tardi, i suggerimenti e gli spunti di riflessione che giungono dagli Ordini professionali, dalle Organizzazioni Sindacali e dalle Società Scientifiche, prima che il nostro SSN, un tempo nostro vanto e orgoglio, considerato un modello da riproporre in molti Paesi quale esempio di efficienza e di giustizia sociale, non diventi solo un ricordo del passato.
Carlo Rugiu
Presidente OMCeO Verona
21 marzo 2022
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