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Le Regioni e il personale: rischio “libro dei sogni” e dieci criticità

di Costantino Troise

07 MAR - Gentile Direttore,
il “Documento programmatico sui fabbisogni di personale sanitario” licenziato dai tavoli Tecnici delle Regioni ha diversi meriti, anche se è difficile sfuggire all’impressione di trovarsi di fronte a un libro dei sogni, farcito come è di passaggi parlamentari di non facile attuazione, se non a una manovra diversiva rispetto a un problema la cui urgenza è qui e ora.
 
Comunque sia, un primo merito è quello di affrontare la problematica in un’ottica di sistema, sfuggendo alla logica dei silos, il secondo nel riconoscere la fondatezza di molte delle proposte che avanziamo da diversi anni, il terzo, di maggiore significato politico, è quello di restituire un volto, e un ruolo, al convitato di pietra dei discorsi sulla sanità post Covid e dello stesso Pnrr, cioè il personale. Finalmente riconoscendo che la sua carenza strutturale, figlia di un fallimento (non voluto?) della programmazione, peraltro orfano di responsabilità politiche, riduce tutto il resto a “chiacchiere e distintivo”, alias cemento e macchinari, minando la stessa sostenibilità del SSN, qualunque siano gli investimenti in conto capitale realizzati.
 
Condivisibile anche l’allarme sull’insufficienza del FSN, soprattutto per la spesa corrente dedicata al personale, a dispetto dell’incremento di 2 mld per 3 anni realizzato dal Ministro della salute, un’inversione di rotta rispetto al passato non certo un cambio di prospettiva, come sembrava annunciare il mantra della sanità come investimento e non come costo. La stessa realizzazione del Pnrr rischia di aprire una voragine nella spesa in conto corrente.
 
Infine, è la prima volta che le Regioni, cioè i datori di lavoro dei medici dipendenti, prendono atto della “great resignation” che, non da oggi, li interessa, una grande fuga, soprattutto verso il privato, che nasce da una scarsa attrattività del lavoro ospedaliero, per giovani e meno giovani, sulle cui cause, e sui possibili rimedi, però, poco si indaga.
 
Rimangono, però, non poche questioni sulle quali il documento appare lacunoso se non evasivo.
1. Anticipare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro fin dal primo anno del percorso post laurea, un sogno europeo che inseguiamo da venti anni, mette a nudo l’incapacità dell’Università, che ha in monopolio il subappalto della formazione, di fare fronte all’aumento della offerta formativa. Il che rende necessaria la individuazione di sedi formative proprie del SSN, tra cui il Learning Hospital, di cui, però, non si parla, forse per non disturbare il monopolista.
 
2. Il riconoscimento della necessità per il lavoro medico di nuovi valori economici, in cima alle priorità, non può essere limitato al solo salario accessorio nè, tantomeno, disgiunto da diverse collocazioni giuridiche e diversi modelli organizzativi che portino i medici, e non chi governa il sistema, a decidere sulle necessità del malato.
 
4. Non c’è traccia di una riflessione, anche autocritica, su una governance aziendale, monocratica e assolutistica, che considera i professionisti alla pari di operai specializzati del terzo millennio, privandoli di ruolo nei processi decisionali e del controllo su prerogative della loro professione, con carriere lasciate esposte alla invadenza della politica.
 
5. L’acquisto di ore aggiuntive per il contrasto alla “pandemia sommersa” delle prestazioni accantonate è pura illusione in assenza di una fiscalità di vantaggio. Anche il ritorno al passato in cui si teneva insieme lavoro dipendente e convenzionato, appare irrealistico, se si considera che le attuali condizioni di lavoro negli ospedali fanno del tempo la moneta più preziosa in circolazione.
 
6. Assolutamente debole la parte che riguarda le ragioni della fuga dei medici, uno dei fattori più importanti della crisi in cui versa il SSN, e, soprattutto, le terapie per arrestarla. La scarsa attrattività del lavoro ospedaliero è destinata a permanere anche in eccesso di offerta, pronta a fare rotta verso lidi più gratificanti professionalmente e più remunerativi. L’assenza di percorsi di crescita professionale penalizza eccessivamente le discipline che non trovano spazio operativo in una rete pubblica trasformata in un grande PS e, quindi, votata ai soli interventi di emergenza e urgenza (si pensi agli ortopedici chiamati a trattare prevalentemente, se non esclusivamente, fratture del femore).
 
7. La modifica degli strumenti giuridici del reclutamento, vecchi e gravati di una latenza tra autorizzazioni e immissioni in servizio che si misura in anni, appare trascurata.
 
8. All’insofferenza, innegabile, per lo status di dipendenza, che risente anche di un pessimo clima organizzativo, viziato da elementi di autoritarismo e da eccessiva distanza tra Direzione e professionisti, non si può offrire, come unica risposta, maggiore flessibilità, cioè maggiore precarietà.
 
9. Inaccettabili le richieste di deroghe alla disciplina delle equipollenze, certo da rivedere e aggiornare senza favorire decisioni ad personam.
 
10. Curiosa, poi, in un documento sulle politiche del personale, l’assenza di riferimenti al CCNL, se non per lasciare trapelare un’insofferenza nei suoi confronti a favore di contratti autonomi e individuali.
 
Pretendere di ristrutturare il lavoro in sanità senza riconoscere il ruolo delle organizzazioni sindacali, in una eterna eclissi dei corpi intermedi, è pura velleità. La posta in gioco, cioè il destino della sanità pubblica, richiede e merita diversi approcci e diversi comportamenti. Prima le Regioni se ne rendono conto e meglio è, per cittadini e lavoratori.
 
Costantino Troise
Presidente Nazionale Anaao Assomed

07 marzo 2022
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