Coronavirus. Pediatri Cipe: “Regione ci autorizzi a prescrivere tamponi”
Per i pediatri il protocollo regionale di giugno per la telesorveglianza, la televisita e il telemonitoraggio pediatrico, “non è sufficiente”. Tanto più in vista della ripresa delle scuole a settembre, quando inizieranno anche le forme febbrili simil-influenzali “e si dovrà considerare ogni piccolo affetto come sospetto Coronavirus”. Per i pediatri “non possiamo permetterci di limitarci alla visita da remoto e di inviare tutti i bimbi, la cui condizione di salute peggiora, in ospedale tramite il 118”.
03 LUG - “La Regione Lazio autorizzi i pediatri di famiglia a prescrivere il tampone naso-faringeo per la ricerca dell’Rna virale nei bimbi. Il protocollo regionale approvato a giugno scorso, che ha dato seguito alla telesorveglianza, alla televisita e al telemonitoraggio pediatrico, non è sufficiente: non possiamo permetterci di limitarci alla visita da remoto e di inviare tutti i bimbi, la cui condizione di salute peggiora, in ospedale tramite il 118”. Lo affermano, in una nota, i medici della Confederazione italiana pediatri (Cipe) del Lazio.
“Quando a settembre si tornerà sui banchi e inizieranno le forme febbrili simil-influenzali, si dovrà considerare ogni piccolo affetto come sospetto Coronavirus: il protocollo regionale non ci permette di garantire la salute dei nostri assistiti ed è impensabile spedire tutti al pronto soccorso creando il panico nei vari Dea di primo e secondo livello se non la malaugurata esplosione della pandemia - aggiungono -. Per scongiurare questo pessimo scenario abbiamo bisogno di prescrivere il tampone per garantire al massimo la salute, nonché dare la certezza alle scuole che a frequentare ci sono bambini a cui è stato esclusa con il tampone la positività al Covid-19”.
“Come previsto dal Decreto della presidenza del Consiglio del 9 marzo, anche nella nostra Regione è tempo di istituire le Usca (Unità speciali di continuità assistenziali) come previste a livello nazionale. Nel Lazio sono nate le Uscar che nulla hanno a che vedere con le unità speciali del decreto presidenziale: contemplano visite domiciliari solo in casi eccezionali e impiegano soltanto 400 risorse, tra medici e infermieri, degli 800 che hanno dato adesione, peraltro remunerati dal Governo e non dalla Regione - proseguono i pediatri -. Le Usca nazionali sono fondamentali per effettuare le visite domiciliari nei casi sospetti e su richiesta dei medici e pediatri di base in raccordo con il Servizio di igiene e profilassi delle Asl. Da mesi aspettiamo queste unità speciali: noi pediatri intanto restiamo isolati da marzo nei nostri studi senza la possibilità di visitare i bimbi malati per mancanza di dispositivi di sicurezza; nel frattempo, sono stati istituiti sia la figura del “referente Covid”, del tutto aleatoria, che del comitato distrettuale, con un numero esagerato di figure professionali, di cui ancora si ignorano i compiti”.
“Non possiamo - prosegue la nota - rimanere con le mani in mano e aspettare che la situazione collassi in autunno. La tutela della salute dei bambini, nonché di tutti coloro che vi entrano a contatto, non possono attendere ancora una strategia efficace: è quanto mai necessario e urgente un piano che preveda la possibilità di farci prescrivere i tamponi e quindi di poter isolare i positivi per non passare dai cluster delle rsa a quelli dei pronto soccorso”
“L’attivazione delle Usca per il controllo a domicilio resta fondamentale in caso di positività al Covid mentre, con il tampone risultato negativo e sempre con le dovute precauzioni, potremo tornare a visitare noi i nostri pazienti a studio per garantire massima assistenza attraverso accertamenti diretti, senza mettere a rischio la nostra salute né quella dei nostri dipendenti ed evitando così la chiusura dello studio per quarantena” concludono i pediatri.
03 luglio 2020
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